Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

giovedì 30 dicembre 2021

PIETRAMELARA 2022: CONFERME O INTEROGATIVI?

 

Il bilancio di un anno che sta per concludersi è fatto a volte di rimpianti, di cose lasciate incompiute, di volti che non si vedranno più, pertanto il vostro blogger scribacchiante preferisce altro: non è molto meglio guardare avanti?
Il 2022 che è ormai alle porte sarà cruciale per la pandemia che ci affligge ormai da ben due anni; ne usciremo solo grazie a un senso di responsabilità diffusa, che tenda a minimizzare la negatività delle teorie no-vax. Anche se ritengo utopistico convincere certe teste di legno, sono speranzoso che la platea dei non vaccinati si assottigli sempre di più, che anche nei paesi del sud del mondo cresca l’incidenza delle vaccinazioni; è ormai chiaro infatti che le varianti del COVID hanno origine nei luoghi ove il virus può propagarsi e ricombinarsi con maggior libertà, grazie all’inconsistenza della barriera vaccinale.
Veniamo a Pietramelara: nella prossima primavera ci sarà il rinnovo (salvo proroghe) del Consiglio Comunale e del Sindaco. Non si profilano grosse novità all’orizzonte… soliti nomi, a meno di novità dell’ultimissimo momento. Sarà la pandemia, sarà il doversi occupare di cose più importanti, quali ad esempio la ricerca di un lavoro, i nostri giovani continuano a manifestare disinteresse alla gestione della cosa pubblica; chi si aspettava, come il sottoscritto, la nascita di un movimento di opinione portatore di idee e istanze innovative anche stavolta rimarrà deluso. Il distacco di una nutrita fetta della popolazione dalle problematiche che riguardano lo sviluppo della comunità in senso sociale ed economico, finiranno per favorire il mantenimento dello status quo, almeno per altri cinque anni. Se guardiamo l’immediato futuro con gli occhi di adesso, sembra che per ora l’unica vera preoccupazione dell’amministrazione in carica sarà quella di dover creare una lista civetta, che la metta al riparo da brutte sorprese elettorali: ma anche questa ritengo sia un’eventualità remota.
Sul versante ecclesiastico e religioso abbiamo assistito, nella Parrocchia di Sant’Agostino, al balletto, a volte farsesco, di parroci che si sono avvicendati con velocità ultrasonica: la notizia del trasferimento di Don Giosuè nel pieno della trascorsa estate, prima ipotizzata e poi cruda realtà, la nomina di Don Marco a economo e la sua fuga dall’altra parte del mondo, dopo qualche mese. Quanto diversa la figura di parroci che sono rimasti al proprio posto anche per mezzo secolo, nella forte convinzione della missione affidata loro; erano altri tempi, diranno i miei quattro lettori, non si era verificata ancora quella penuria di preti che costringe il vescovo a limitare fortemente le proprie possibilità di scelta. Certamente… ma non ci esimiamo dal mostrare incredulità e stupore. Sarà la prossima una nomina definitiva? Oppure si tenderà, come in altri paesi, anche più grandi di Pietramelara, ad unica comunità inter parrocchiale, con un solo sacerdote che si affannerà per lasciare aperte, di volta in volta, le nostre tre belle chiese?

sabato 25 dicembre 2021

UNA PIAZZA A DON ROBERTO

 



Per quanto non sia frequente, su queste pagine scribacchiate, soffermarsi e descrivere l’operato di questa Amministrazione Comunale, ritengo particolarmente giusta ed appropriata la scelta di intitolare a Don Roberto Mitrano, al nostro carissimo Don Roberto la piazzetta che prenderà il suo nome.
La legge 23 giugno 1927, n. 1188 (Toponomastica stradale e monumenti a personaggi contemporanei) dispone che l’attribuzione della denominazione a nuove strade e piazze pubbliche da parte dei Comuni è subordinata all’autorizzazione del Prefetto. Ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2, 5 e 6 della normativa citata, "nessuna strada o piazza può essere intestata a persona che non sia deceduta da almeno dieci anni". Successivamente, il sempre più frequente ricorso alla deroga ha indotto il Ministero dell’Interno a delegare ai Prefetti, a decorrere dal 1 gennaio 1993, la facoltà di autorizzare le intitolazioni di luoghi pubblici e monumenti a persone decedute da meno dieci anni
Tanto premesso, va detto che il piccolo Roberto nacque il 5 ottobre 1927. Entrato in seminario all’età di 10 anni, nel 1937, fu ordinato sacerdote il 9 luglio 1951. Insegnante in seminario per qualche anno, assistente diocesano di Azione Cattolica, parroco a Statigliano di Roccaromana per 4 anni dal 1953 al 1957, poi a Pietramelara dal novembre 1957 presso la Parrocchia dell’Annunziata, che all’epoca riportava l’antica denominazione di “San Nicola di Bari”; nel 1986, fu investito del servizio anche per la parrocchia di San Rocco, presso l’omonima chiesa madre. Nel luglio del 2011, dieci anni or sono, festeggiò ben 60 anni di sacerdozio. Nel settembre 2014 si dimise da parroco, a causa dell’età avanzata e delle sue condizioni di salute, che negli ultimi due anni erano peggiorate. Morì dopo una travagliata malattia il 31 agosto 2016.
La figura di Don Roberto ha rappresentato per ogni pietramelarese una solida guida morale e spirituale. Molte generazioni hanno seguito i suoi insegnamenti dalla giovinezza alla vecchiaia, per lunghi decenni: punto di riferimento, insomma, umano e religioso. Dedicò   una vita intera all’ attività pastorale e ad un infaticabile cammino di fede e di rinnovamento culturale e sociale. In particolare chi scrive, insieme a ogni suo coetaneo e compagno, lo ha sentito vicino anche come docente presso il Liceo di Vairano; indimenticabili le sue lezioni che partivano sì dalla religione, ma spaziavano a ogni aspetto della vita: dall’etica e all’estetica. Gli intensi e lieti momenti vissuti nei campi estivi (a Roccamonfina, Villetta Barrea, Valtellina), che organizzava, erano destinati a costituire un momento di socialità tra noi, giovani in un cruciale momento di formazione umana; per taluni questi erano, data l’epoca, la sola occasione per qualche giorno di vacanza.
Parlare di Don Roberto, specie per quelli della mia generazione e un po' come parlare di se stessi: sorridere per le spigolosità del suo carattere, dai frequenti moti di insofferenza, anche nel corso delle funzioni liturgiche; noi ci riflettevamo in lui, e lui in noi. Come dimenticare che fu Don Roberto, agli inizi di questo millennio, a volere il Museo di Arte Sacra, in un locale attiguo alla Chiesa di Sant’Agostino, e di cui oggi si è persa persino la memoria?
Per Pietramelara celebrare Don Roberto, anche attraverso l’intitolazione di una piazza, significa consegnare alle future generazioni un pezzo autentico e fondamentale della sua storia.

lunedì 20 dicembre 2021

DAI MERCATINI LA RINASCITA DEL CENTRO STORICO

 

Il Mercatino del Borgo 2021, dello scorso sabato sera, ha destato interesse e partecipazione; non si sono viste “adunate oceaniche”, questo sì, ma la gente animata da curiosità è comunque uscita per vedere gli stand allestiti, trascorrere, nonostante il freddo pungente, un momento di socialità che da tempo non si viveva. La pandemia, che di giorno in giorno si fa più aggressiva e preoccupante, forse ha in qualche modo frenato quei gruppi e quelle persone in più che avrebbero voluto partecipare ma non lo hanno fatto.
Freddo, timore del COVID, tiepida partecipazione degli stendisti hanno in qualche modo temperato il successo dell’iniziativa, che comunque c’è stata, e si sta consolidando come tradizione. Quali le considerazioni che ne derivano? La voglia di vivere il centro storico da parte dei pietramelaresi comunque emerge, alla prima occasione utile. È segno questo del profondo legame della nostra comunità con i luoghi che l’hanno generata e formata: se vi è una motivazione solida ed attrattiva si esce, nonostante il freddo, nonostante i timori di cui sopra. 
Spingiamoci allora più in là con il ragionamento: mi viene da pensare che con la ristrutturazione e la rifunzionalizzazione dell’edificio ex elementari di via Marconi e annessa piazza, si potrebbe cominciare a programmare un ritorno del mercato domenicale nel centro storico, nei tempi e nei modi voluti dalla vigente normativa in materia. L’esperimento di qualche anno fa, terminato con il referendum dell’aprile 2019, invalidato dalla scarsa partecipazione, unito al discreto successo dei mercatini stanno a dimostrare che, per risollevare le sorti di un centro storico sempre più agonizzante, far ritornare il mercato in paese è una misura di sicura efficacia, checché ne pensino i detrattori, gli acriticamente contrari e i manutengoli di imprenditori mossi da interessi contrari.


martedì 14 dicembre 2021

LEONI DA TASTIERA

 

Apprendo da Wikipedia che: “Leone da tastiera (keyboard warrior in inglese, letteralmente "guerriero da tastiera") è un'espressione dispregiativa e sarcastica del gergo di Internet usata per riferirsi a utenti del Web che, differentemente da quanto farebbero di persona, scrivono in modo aggressivo, talora insultando, offendendo, screditando o minacciando altri utenti. L'espressione fa riferimento al fatto che tali comportamenti sono agevolati dalla sensazione di deresponsabilizzazione derivante dall'uso di utenze anonime. Secondo uno studio avvenuto in Canada, alcuni dei tratti che caratterizzerebbero il cosiddetto "leone da tastiera" sono narcisismo, machiavellismo, psicopatia e sadismo”.
Scorrendo le pagine dei social nei gruppi pietramelaresi, sembra che l’espressione sia in grande auge, tanto da essere usata e abusata anche da personaggi particolarmente in vista, sullo scenario comunale. E’ un modo come un altro per controbattere le polemiche dovute a differenti modi di vedere e di pensare; niente di male, diranno i miei quattro lettori, il leone è da sempre il re degli animali terrestri pertanto essere paragonato ad esso suscita sentimenti di orgoglio, gratificazione, appagamento. Beh …è il contesto a fare la differenza!
Del leone rimane, al limite, la violenza (verbale) ma comunque il “da tastiera” contiene disprezzo; nel senso che ci si sente al sicuro, protetti dal web, al limite utilizzando l’anonimato e/o celandosi dietro profili “farlocchi”.
Ritengo però che nelle ultime vicende “telematiche”, nel corso delle quali si è utilizzata tale espressione informatico/felina tali condizioni non si sono verificate: chi ha scritto, manifestando dissenso, lo ha fatto su profili riferibili a se stesso, con chiarezza e assumendosene, ovviamente, ogni responsabilità: è pertanto improprio ed offensivo l’utilizzo dell’espressione “leone da tastiera”.
Assistiamo quotidianamente ad una stucchevole e continua auto vanteria, condita da un “mantra” ripetuto all’infinito, di cui non se ne può più, e chi reagisce con cognizione di causa rendendo “pan per focaccia” viene tacciato di essere, appunto, un “leone da tastiera”.

 

 

lunedì 13 dicembre 2021

IMPORTANTI ANNIVERSARI

 


Grande musica a Vairano Scalo: nell’ambito dell’evento organizzato dalla Parrocchia dei SS. Cosma e Damiano, ed in occasione del X Anniversario della costruzione dell’organo Mascioni, si è tenuto ieri sera, 12 dicembre, nell’omonima chiesa, il primo dei cinque concerti organizzati per celebrarlo. Il ciclo di concerti, iniziato ieri sera, è disposto temporalmente nell’arco delle feste natalizie e si concluderà domenica 9 gennaio 2022 (cfr foto di copertina).
Del primo concerto dicevamo… di scena l’organista Andreana Pilotti, di Pietramelara e il sassofonista Alfredo De Francesco di Teano; programma ricco e variato che ha spaziato dalla musica “sacra” in senso stretto, alla classica, sino a intrattenere il nutrito parterre con melodie più “accessibili”, quali il famoso Adagio in Do minore di Benedetto Marcello. L’evento è stato introdotto dal parroco Don Luigi De Rosa e presentato dalla prof.ssa Angela Dragone.
Notevole per le caratteristiche l’organo di cui si celebra il decennale, a detta del M° Emanuele Cardi, a cui si deve il progetto fonico: “Ogni nuovo organo dovrebbe essere una realizzazione unica, pregevole, destinata a sopravvivere di parecchie generazioni alla sua committenza e che porti in sé il desiderio di “invecchiare” il più tardi possibile. Quello della Chiesa di Vairano è uno strumento dai forti connotati stilistici di una particolare scuola, adattati alle dimensioni sonore e alle esigenze liturgiche e, non ultime, alle prospettive artistiche che certamente scaturiranno da questa interessantissima realizzazione. Uno strumento con caratteristiche peculiari della tradizione romantica francese e della scuola di Cavaille-Coll, nonché innovazioni tecniche introdotte da quest’ultimo. Gli apprezzamenti di tantissimi colleghi provenienti da tutto il mondo che avevano avuto modo di suonare questi strumenti negli ultimi quindici anni mi avevano convinto che anche a Vairano si poteva proporre un’operazione simile. Sono fiducioso che questo strumento saprà ricompensare gli sforzi di una comunità intera e del suo parroco, Don Luigi, attento come pochi verso l’arte in generale e la musica in particolare”. 
Don Luigi De Rosa, il parroco, nell’introduzione del concerto, da parte sua ha affermato: “L’organo è tenuto in grande onore nella Chiesa, esso infatti, accompagnando i canti e i momenti liturgici, aggiunge splendore alla celebrazione, favorisce la preghiera dei fedeli e innalza la loro mente a Dio. L’organo a canne è uno strumento musicale che fin dai tempi più antichi ha ornato le nostre chiese. Un potente mezzo di preghiera e di elevazione spirituale. Tra tutte le opere d’arte che impreziosiscono le nostre chiese, l’organo è forse il vero trait d’union tra il terreno e il Divino. Sono questi i motivi che mi hanno spinto a promuovere e realizzare l’organo a canne per la chiesa di Vairano, pur affrontando non poche difficoltà. In realtà, un organo è un investimento per la generazione attuale e anche per quelle future: ne sono testimonianza i numerosi strumenti antichi che ci sono nel mondo e di cui fruiamo tutti oggi. Peraltro, desidero ricordare che la casa organaria Mascioni, da me scelta, è senz’altro una garanzia per professionalità e competenza. Alla Famiglia Mascioni va il mio sentito ringraziamento per la disponibilità mostrata. Un sentito e doveroso ringraziamento lo rivolgo al Maestro Emanuele Cardi, per il progetto fonico dello strumento”
 
 

giovedì 9 dicembre 2021

Pioggia dell'Immacolata. Pericoli evitabili?

 

Le intense piogge che da ieri pomeriggio non hanno concesso tregua all’intero territorio dell’alto casertano sono state causa di spavento, apprensione e in qualche caso di danni, per fortuna contenuti. I più se la sono cavata con qualche pulizia straordinaria ai locali terranei della propria abitazione, anche se non mancano casi denotati da aspetti più drammatici, riportati dalla stampa locale.
Per concentrare il discorso sul territorio del nostro comune, mi preme sottolineare che la piana è un vasto “bacino imbrifero” destinato a raccogliere e smaltire acque provenienti dalle pendici circostanti: si tratta di un’area di   oltre 15 km quadrati, destinata a raccogliere acque scaricate da pendici di pari estensione (misure da google earth). La pioggia caduta nella scorsa nottata è stata veramente ingente: pensate che dalle 22 alle 23 sono caduti ben 70   mm di pioggia (dati stazioni meteo del comune) che, rapportato alla superficie di circa 30 Km quadrati, significa che in appena due ore si sono riversati 215.000 metri cubi di acqua, questo su terreni già saturi di pioggia per il lungo periodo piovoso, che dura da circa un mese.
Si sarebbero potuti evitare gli allagamenti, lo spavento e i danni? Non è né facile né elegante interpretare il ruolo del “io l’avevo detto”, ma i quattro lettori che seguono questo blog scribacchiato ricorderanno che più e più volte ci si è soffermati sulla manutenzione di cui ha bisogno il territorio e le opere realizzate per la sua protezione (cfr http://scribacchiandoperme.blogspot.com/2013/11/dissesti-idrogeologici-siamo-al-sicuro.html e http://scribacchiandoperme.blogspot.com/2020/12/maltempo-quali-rischi.html ).
Negli anni settanta fu realizzata un’opera idraulica destinata a fare da gronda per le acque del Monte Maggiore, essa parte dalla località “casino” e, tramite l’ex percorso del rivolo Pescara, sfocia nella zona dei pantani. Essa, per quanto ben progettata e realizzata, ha rivelato ieri notte un’efficienza ed un’efficacia quasi nulla nei confronti di quelle acque. Fu dotata all’inizio del percorso di una vasca di laminazione che, tuttavia, da ben cinquant’anni non è stata mai svuotata   dai detriti che inevitabilmente in un lasso di tempo così ampio l’avranno ormai riempita: una piena efficienza di essa avrebbe permesso senz’altro di mitigare l’impatto di un evento piovoso intenso come quello vissuto; infatti tutte le acque della pendice settentrionale del Monte Maggiore a causa della vasca ingombra di detriti e melma, non hanno potuto incanalarsi (se non in minima parte) nel canalone descritto, riversandosi con tutta potenza  su via Montemaggiore, Viale Europa e Via Angelone. Le zone più basse di via San Pasquale, nei pressi del campo sportivo hanno subito le peggiori conseguenze; Alessandro che, con la  famiglia alleva bovini nei paraggi, ha affidato a fb  drammatiche lamentele: “I miei animali sono finiti sott’acqua”.
La rete scolante dei fossi di confine meriterebbe d’altronde un’attenzione costante e continuativa, in presenza di vegetazione essa tende a frenare l’acqua e a colmarsi di terreno trasportato da essa… ma questa è una storia vecchia che coinvolge la mancata volontà di assumere decisioni impopolari, sanzionando che viene meno a propri doveri verso la comunità.
Il famoso canalone, per altri “ecomostro”, ma fiore all’occhiello per la scorsa amministrazione, invaso com’è di vegetazione nei tratti terminali, non ha potuto che rivelare i propri limiti.
Conclusioni: episodi come quello di ieri notte si verificano ad intervalli più o meno costanti, tuttavia si evidenzia che un’attenzione più intensa al territorio innalzerebbe, e di molto, la salvaguardia della comunità che vi dimora.

lunedì 29 novembre 2021

UN' ALTERNATIVA AL BIVIO DI RIARDO

 

Curve pericolose, dossi a distanza ravvicinata, attraversamento del centro abitato di Riardo con strettoie non eliminabili, frequenti allagamenti nella stagione piovosa: raggiungere la S.S. Casilina in tali condizioni è divenuto molto più difficile rispetto a qualche decennio fa! Il bivio di Riardo da oltre un secolo e mezzo sbocco naturale del traffico proveniente da Roccaromana, Pietramelara e dalla stessa Riardo, non sembra più sufficiente. Sono maturati i tempi per un secondo sbocco sulla Casilina, più a sud, che possa in qualche modo rimuovere le criticità di cui sopra. Una nuova arteria stradale, che permetta con rapidità e sicurezza di immettersi sulla Casilina, all’altezza della contrada Torricelle, in agro di Teano, nei pressi dell’area di servizio, diviene di giorno in giorno più impellente.
Ci penso da molto tempo, e può sembrare velleitario se non utopistico, ma sono convinto che l’impegno, lo spirito costruttivo e collaborativo fra i vari soggetti istituzionali da coinvolgere, possano portare alla realizzazione dell’opera entro questo decennio; il vero problema, infatti, risiede nella sfiducia e nella rassegnazione.
I comuni di Roccaromana, Pietramelara, Riardo e Rocchetta e Croce, insieme agli enti sovracomunali Comunità Montana del Monte Maggiore e Provincia, si dovrebbero fare promotori di un partenariato che commissioni uno studio di fattibilità, valuti i costi connessi, reperisca le risorse finanziarie e proceda alla realizzazione dell’opera. I vantaggi che ne deriverebbero sono molteplici, in primo luogo l’aumento della sicurezza. I cittadini di Riardo non si vedrebbero costretti a passeggiare con l’incombente pericolo di un’auto o di un automezzo pesante che li possa investire, inoltre nel loro comune si registrerebbe una notevole riduzione del inquinamento da traffico; ritengo che le attività commerciali riardesi non ne soffrirebbero più di tanto, esse infatti si basano soprattutto su una clientela locale che, data la diminuzione del traffico, la diminuzione del caos e l’aumentata possibilità di parcheggio nei pressi dei negozi sarebbe indotta ancor di più a frequentarli.
Un’occhiata alla foto di copertina può offrire un idea di massima del percorso: si parta dal "quartiere svizzero", località Mancini, lungo l’omonima strada, si continui in località Saiano, con apertura di un braccio ex novo (meno di mezzo chilometro) che sbocchi presso la Madonna della Stella, da dove si riprenda con qualche variante il percorso attuale verso Valdassano e da qui alla Casilina. E’ ovvio che la carreggiata e le sezioni attuali vadano adeguate a un carico veicolare molto più intenso, si tratta infatti di vicinali larghe non più di un paio di metri, da portare almeno a cinque.
Tra i vantaggi che ne deriverebbero vi è da considerare inoltre la riduzione dei tempi di percorrenza, con circa due chilometri in meno necessari a raggiungere lo stesso punto (da Google Earth 11,16 chilometri percorso attuale/ 9,42 chilometri con la nuova strada). Infine si consideri che si ventila da tempo l’eventualità di un casello autostradale a Teano, proprio in località Torricelle, punto che costituisce proprio, come detto, l’estremo sud-ovest della nuova arteria. I nostri comuni, defilati come sono, risentono ormai da troppo tempo di ogni problema tipico delle aree interne: spopolamento, mobilità problematica, penuria di servizi reali; la realizzazione di tale opera contribuirebbe di sicuro alla loro soluzione.
I veri politici devono saper sognare… dai sogni infatti scaturiscono idee destinate a rivoluzionare gli equilibri attuali.
 

sabato 27 novembre 2021

LA TORRE DI BABELE

 

E’ proprio vero che la storia si ripete: Giambattista Vico, grande pensatore del Settecento e nostro conterraneo, non potrebbe avere per questa sua teoria filosofica più conferme, nell’epoca attuale. E’ successo anche, ad esempio, che a 45 anni dalla sua pubblicazione, abbia fatto ritorno uno dei più grandi capolavori della discografia rock italiana: LA TORRE DI BABELE, album iconico della carriera di Edoardo Bennato. Correva l’ormai lontano 1976, ed il cantautore di Bagnoli pubblicò quel disco cult, destinato ad un successo che ha delineato i tratti artistici somatici del grande rocker italiano. La “Torre di Babele” rappresenta la metafora biblica, ripresa in musica e versi da Bennato, di un’umanità sempre alla ricerca del progresso economico, scientifico e tecnologico ma che, alla fine, non riesce neanche più ad utilizzare un linguaggio comune.
Erano anni quelli caratterizzati da forti inquietudini sociali, la contestazione sessantottina non si era ancora spenta, e si era alle porte di quelli che sarebbero stati definiti gli “anni di piombo”. La copertina dell’ellepì (così chiamavamo i dischi che contenevano più brani, a 33 giri), disegnata dallo stesso Edoardo, ex studente di architettura, rappresentava la progressione dell’uomo nella sua ricerca e costruzione delle armi in tutta la sua fase evolutiva: “costi quel che costi”, gli uomini dovevano costruire una torre che arrivi fino al cielo per sfidare l’entità divina e dimostrare la superiorità dell’uomo “su ogni altro animale” (cfr. foto di copertina).
Cosa faceva e pensava Pietramelara in quel periodo? Nonostante il clima generale abbastanza fosco, a livello nazionale, come già sopra delineato, il nostro paesello defilato e dedito a pensare cose più concrete, manteneva la sua serenità interna. La Democrazia Cristiana, dopo decenni di egemonia, aveva ceduto la guida del Comune a una sinistra che vedeva in Gianni Sorbo un leader credibile, oggetto di stima e considerazione, anche al di fuori del suo elettorato. Il vostro blogger scribacchiante, fra tempeste ormonali e alti/bassi frequentava il quarto anno di liceo, in una Vairano Scalo non ancora trafficata, caotica e commerciale come quella odierna. Il juke box in piazza risuonava spesso e volentieri i pezzi tratti da “La torre di Babele”: come dimenticare brani densi di significato come “Venderò”, “Franz è il mio nome”, “Cantautore” (dedicato da Edoardo con autoironia a se stesso)?  Il successo del disco fu forte, a tal punto che solo l’anno dopo, nel ’77 usci “Burattino senza fili”, altro capolavoro che avrebbe consolidato Edoardo Bennato fra i maggior interpreti del Rock italiano. 
Si sostava fra i tavoli in piazza, divertiti ad osservare le persone più anziane a storcere il muso ascoltando quei pezzi graffianti; noialtri, giovani di allora, eravamo ben disposti ad investire, invece, quelle cinquanta/cento lire per riascoltare quegli stessi brani, che qualche influenza sul nostro ego in via di formazione dovettero pur avere.
 

 

 

lunedì 15 novembre 2021

CASERTA, POCO MOBILE IN CLASSIFICA


Novembre, penultimo mese dell’anno: comincia il periodo dei ricorrenti bilanci, delle classifiche che usualmente grandi quotidiani nazionali come “Il Sole 24 ore” e “Italia Oggi”, usano fare come conseguenza giornalistica di studi statistici effettuati sui vari territori del Paese. In una precedente nota, scribacchiata su questo blog due anni fa, non era ancora iniziata la pandemia, ma sarebbe esplosa di li a poco (http://scribacchiandoperme.blogspot.com/2019/12/qualita-della-vitaottimismo-giustificato.html), osservavo “lo sconforto rimane: 93simo posto. Che dire? ... poco o nulla: frotte di giovani che fanno valigia e partono alla ricerca di nuovi orizzonti e migliori fortune, lasciano presagire che di qui a poco il nostro Mezzogiorno d’Italia, inteso come comunità, corre seri pericoli di sopravvivenza. E non mi consola affatto il dato relativo alle altre province campane, che se la cavano peggio di noi: Avellino e Benevento, 94simo e 95simo posto”.
E’ proprio di stamattina, 15 novembre, l’uscita dell’ennesima classifica tra le province italiana, questa volta redatta da Italia Oggi, sulla base di tale studio “La qualità della vita viene definita "buona" o "accettabile" in 63 province su 107, lo scorso anno erano 60 su 107. Tradotto in termini di popolazione, 22 milioni 255 mila residenti (pari al 37,4% della popolazione italiana) vivono in territori contraddistinti da una qualità della vita scarsa o insufficiente, contro i 25 milioni 649 mila residenti della passata edizione, pari al 42,5% della popolazione”. Un miglioramento se ci si riferisce alla scala nazionale, ma se si va ad approfondire ecco le dolenti note: “La provincia di Parma conquista la vetta della classifica sulla qualità della vita, seguita sul podio da Trento e Bolzano. Tutte del Sud le ultime (…) Quest'anno la maglia nera va a Crotone, preceduta da Napoli e Foggia (che era ultima lo scorso anno). A metà classifica Roma, che scivola al 54/simo posto (l'anno scorso era al 50/simo), seguita dalla prima provincia meridionale per qualità della vita, che è Matera. Si collocano in fondo alla classifica 4 delle 5 province campane (nell'ordine Benevento, Salerno, Napoli e Caserta)”.
Cosa fa la nostra provincia? … niente di buono! Prima di tutto l’ordine si è invertito, e se come detto sopra due anni fa la nostra provincia in Campania era quella più performante, attualmente è solo la penultima in tema di qualità della vita, seguita solo da Napoli, area metropolitana che sprofonda negli ultimi posti posizionandosi addirittura al 106simo; e poco consola che se nello scorso anno Caserta occupava la 94sima posizione, oggi essa si accontenta nello scalare un solo ed unico gradino, passando al 93simo posto (cfr. immagine di copertina). I grandi temi della qualità ambientale, dell’efficienza dei servizi resi alla popolazione, dello sviluppo economico sostenibile restano al palo. E’ fin troppo facile individuare nella classe politica la responsabilità, solo che non basta, molte negatività sono prodotte dalle comunità e dai loro singoli individui: basta fare un giro per le campagne anche breve per imbattersi in improvvisate discariche e in fossi usati abitualmente come ricettacolo occasionale di rifiuti (ma questo è solo un esempio). Manca il senso civico del rispetto dei beni comuni, e dell’ambiente che di tali beni è il più importante in assoluto. Ma ciò che vedo come assolutamente negativo è il distacco della gente dalle istituzioni, specie dei giovani! La cittadinanza attiva latita, e così si perde anche quel controllo sulle istituzioni teso ad ottenere servizi diffusi e capillari e migliore qualità della vita.

venerdì 5 novembre 2021

LE VICINALI NELLA POLEMICA

 


Con un post su Facebook uscito nel pomeriggio di ieri la sig.ra Teresa Marsocci, facente parte dello staff del noto ristorante Villa Solatio, lamenta la mancata manutenzione della strada che conduce al proprio luogo di lavoro, sito in località Pantani, in agro di Pietramelara, con grave pregiudizio per l’attività economica. La foto di copertina, ripresa dal post, d'altronde lascia poco spazio all'immaginazione. 
Questo il nucleo del post: “I mesi invernali costituiscono per la mia attività la pianificazione, con visite alla struttura Villa Solatio, degli eventi per gli anni 2022 / 2023. Quali risultati potrei avere, se il primo impatto che ha il cliente è quella di una strada comunale fangosa e dissestata? Vi assicuro scarsi!!!
"La strada è davvero brutta", "ci siamo spaventati", "abbiamo avuto paura di perderci". Questi sono solo alcuni commenti di chi viene a visitare Villa Solatio. Sono ben oltre 15 anni che viene fatto presente alle amministrazioni passate e presenti questo problema, ad oggi ho visto solo ripulire le siepi per le varie vie del paese, recupero e pulizia dei fossi, ma questo non mai è accaduto in questa strada fangosa e dissestata del comune di Pietramelara”.
Seguono piccate risposte del vicesindaco, assessore ai lavori pubblici, che in sostanza sostiene la tesi che la strada è privata, e che pertanto si genera un’impossibilità a manutenerla impiegando risorse pubbliche.
Per la verità il problema non è limitato al solo tronco stradale in questione; se si percorre infatti il tratto alto di via Mancini e l’adiacente via Saiano, la situazione è ancora più grave rispetto a quanto lamentato dalla Marsocci, e ritengo che l’evento piovoso di mercoledì pomeriggio, nella sua eccezionalità (120 mm di pioggia in poche ore), abbia causato inconvenienti anche altrove.
Ritornando alla vicinale che conduce al noto ristorante, ritengo che vada fatta chiarezza. La situazione giuridica della strada vicinale è solitamente questa: il resede della vicinale, compresi accessori e pertinenze, è privato, di proprietà dei titolari dei terreni latistanti, mentre l’ente pubblico è titolare di un diritto reale di transito.
Per le strade vicinali ad uso pubblico il Comune, è tenuto a concorrere alle spese per la manutenzione, sistemazione e riparazione della strada vicinale, ai sensi dell’art. 3, del D.Lgs. Luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446. Detto articolo prevede, infatti l’obbligo del Comune di partecipare agli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade vicinali, nella misura variabile da 1/5 fino a metà della spesa a seconda dell’importanza delle strade, purché la strada sia soggetta a pubblico transito. Sussiste tale requisito ogni qual volta la strada vicinale possa essere percorsa indistintamente da tutti i cittadini per una molteplicità di usi e con una pluralità di mezzi, mentre è irrilevante che la stessa si presenti disagevole in alcuni tratti e poco frequentata nel complesso. L’uso pubblico, assimilabile a una servitù collettiva, legittima i comuni a introdurre alcune limitazioni al traffico, ad esempio vietando l’uso di alcuni mezzi (specie di quelli molto impattanti) in modo continuativo o in particolari periodi, come per il resto della viabilità comunale.
L’ufficio tecnico Comunale deve tenere un “elenco delle strade vicinali” consultabile dagli interessati. Tale elenco ha valore meramente “dichiarativo” e non “costitutivo”, ovvero il fatto che una strada sia inclusa come vicinale ad uso pubblico non determina automaticamente l’acquisto di tale caratteristica. Secondo la giurisprudenza (si veda ad esempio T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 12 dicembre 2007, n. 16202) occorre fare riferimento alla situazione reale in cui si trova la strada.
 

giovedì 4 novembre 2021

4 NOVEMBRE.VALORI ANCORA ATTUALI?


Oggi, 4 novembre, ricorre la data dell’entrata in vigore dell'armistizio di Villa Giusti (firmato il 3 novembre 1918), che sancì la resa dell'Impero austro-ungarico all'Italia.
La Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate è una giornata celebrativa nazionale italiana. Fu istituita nel 1919 per commemorare la vittoria italiana nella prima guerra mondiale, evento bellico considerato completamento del processo di unificazione risorgimentale.
La festa e la ricorrenza furono istituite nel 1919, la celebrazione del 4 novembre è l'unica festa nazionale che abbia attraversato decenni di storia italiana: dall'età liberale, al Fascismo, all'Italia repubblicana. Nel 1921, in occasione della celebrazione della Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate, il Milite Ignoto venne sepolto solennemente all'Altare della Patria a Roma.
Fino al 1976 il 4 novembre è stato un giorno festivo, dal 1977, in pieno clima di austerity, la ricorrenza è stata resa "festa mobile", con le celebrazioni spostate alla prima domenica di novembre.
Del milite ignoto italiano si diceva: l'idea di onorare una salma sconosciuta risale in Italia al 1920 e fu propugnata dal generale Giulio Douhet. Il relativo disegno di legge fu presentato alla camera italiana nel 1921 e ne fu relatore l'onorevole De Vecchi, che affermò fra l'altro: "Deve essere rivendicata ai nostri uomini d'arme la priorità del proposito di trasportare solennemente a Roma i resti di un caduto ignoto, perché ivi ricevano i più alti onori dovuti a loro e a seicentomila fratelli". Approvata la legge, il Ministero della guerra diede incarico a una commissione di percorrere i campi di battaglia per raccogliervi undici salme d'impossibile identificazione, fra le quali la sorte ne avrebbe designata una, da tumulare in Roma sul Vittoriano. La commissione esplorò attentamente tutti i luoghi nei quali si era combattuto e fu scelta una salma per ognuna delle zone visitate. Le undici salme ebbero ricovero, in un primo tempo, a Gorizia, di dove furono poi trasportate nella basilica di Aquileia il 28 ottobre 1921. Quivi si procedette alla scelta della salma destinata al riposo sull'Altare della patria. La scelta fu fatta da una popolana, Maria Bergamas di Trieste, il cui figlio Antonio era caduto in combattimento senza che il suo corpo potesse essere identificato.
Il viaggio si compì sulla linea Aquileia-Venezia-Bologna-Firenze-Roma e la cerimonia ebbe il suo epilogo nella capitale. Il Milite Ignoto, che da un gruppo di decorati di medaglia d'oro fu portato a S. Maria degli Angeli, sulla cui porta era stata apposta questa epigrafe: "Ignoto il nome - folgora il suo spirito - dovunque è l'Italia - con voce di pianto e d'orgoglio - dicono - innumeri madri: - è mio figlio". Il 4 novembre 1921 vi fu la definitiva deposizione all'Altare della patria.
I miei ricordi, che vanno molto indietro nel tempo, mi parlano di una Pietramelara attenta e partecipativa per le cerimonie che di anno in anno venivano organizzate: santa messa “al campo”, celebrata da Don Pasqualino Izzo, già tenente cappellano nel secondo conflitto mondiale, che all’omelia rievocava le esperienze vissute al fronte, discorso del sindaco del tempo che sottolineava l’importanza della manifestazione e dei valori connessi ad essa, intervento di qualche reduce, la banda che intonava inni patriottici. Nel sessantotto, anno di contestazione, vi fu la celebrazione del cinquantenario della vittoria (cfr. foto di copertina) e, in tale occasione, furono fatti sfilare i reduci della Prima Guerra Mondiale ancora in vita, a ognuno di essi fu consegnata una piccola medaglia.
Quanto sono ancora attuali i valori sottesi a tali eventi? La Patria e l’Unità Nazionale sono concetti che sfidano il tempo, e lo fanno soprattutto quando, politicanti di basso profilo ed elevata visibilità mediatica, predicano (senza successo) che l’Italia debba continuare a procedere “a due velocità”, e che il ruolo del mezzogiorno rimanga simile a quello di colonia, nonostante l’elevatissimo tributo di sangue da esso versato nel corso degli ultimi conflitti mondiali.

sabato 23 ottobre 2021

UN BANCO DI PROVA PER PIETRAMELARA

 

E’ iniziata nel tardo pomeriggio di giovedì, con l’arrivo in paese del primo gruppo di cittadini europei, la maratona che coinvolgerà l’APS Pro Loco Pietramelara ed i suoi ospiti in un insieme di attività volte alla conoscenza del nostro territorio, della nostra gente, delle nostre tradizioni più autentiche.
Il progetto è stato finanziato nell’ambito dell’Iniziativa denominata “Europe for Citizens” o per usare espressioni della nostra lingua “Europa per i cittadini”: si tratta di un programma dell'Unione Europea che finanzia progetti volti a: contribuire alla conoscenza della storia dell'UE, dei suoi valori e della sua diversità da parte del pubblico europeo. Incoraggiare la partecipazione civica e democratica dei cittadini a livello dell'UE.
Il programma insegue un duplice scopo:
– contribuire a una maggiore conoscenza dell’Unione, della sua storia e della sua diversità da parte dei cittadini;
– promuovere la cittadinanza europea e migliorare le condizioni per la partecipazione civica e democratica a livello europeo.
La preparazione dura da circa un anno, con l’incarico ad un professionista specializzato in “progettazione europea”, la stesura del progetto, l’iter burocratico che ha condotto alla sua approvazione e al relativo finanziamento.
L’accoglienza di circa 160 persone provenienti da quattro nazioni europee (Francia, Romania, Bulgaria, Spagna) ha dato luogo, complice il tempo inclemente, a qualche difficoltà organizzativa, che nonostante tutto è stata superata alla grande. Gli ospiti sono per lo più persone che hanno ricoperto o ricoprono ancora cariche pubbliche nelle comunità di appartenenza, pertanto rivestono caratteristiche di particolare rappresentatività. Grande sforzo di ricerca è costato il reperire alloggi per un numero così elevato di persone, ma alla fine, anche ricorrendo ad alloggi siti nella vicina Roccaromana, tale difficoltà è stata aggirata.
L’evento di presentazione ed inaugurazione del progetto, già previsto per ieri sera, venerdì 22 ottobre è stato posticipato a stamattina alle 11, sempre nell’ampia ed accogliente Palestra; vi saranno interventi di benvenuto da parte del Sindaco di Pietramelara, Pasquale Di Fruscio, del Presidente dell’Associazione Pro Loco, Franco Tabacchino, insieme a brevi comunicazioni del vostro blogger scribacchiante, del Preside Vincenzo Di Lauro e del progettista Cristiano Buonocore.
Quale l’importanza di tale progetto per il nostro paese? Ritengo che prima di tutto sia esso utile a far conoscere in ambito continentale Pietramelara, nella sua gente dotata di particolare ospitalità, nei suoi monumenti principali: il borgo medioevale, le chiese, il complesso archeologico delle “grotte di Saiano”; far conoscere l’ambiente naturale che vi insiste, con i boschi del Montemaggiore dotati di una vasta biodiversità; rendere nota la storia che hanno vissuto queste popolazioni; e “dulcis in fundo” la nostra enogastronomia con i piatti e le preparazioni derivanti da una plurisecolare tradizione contadina.
Infine, ritengo che questi tre giorni, potranno costituire un banco di prova nell’ottica di trasformare il nostro comune in un grande “albergo diffuso” che si apre a cittadini di ogni popolo e razza, per farsi conoscere mediante l’ospitalità e l’inclusione.

martedì 19 ottobre 2021

INDEBITE INGERENZE

 

La vicenda travagliata della presidenza della Comunità Montana del Monte Maggiore, con la recente detronizzazione del Sindaco di Pietramelara, Avv. Pasquale Di Fruscio (cfr. foto a destra), da presidente, richiama alla mente del sottoscritto, a cui la memoria non difetta, lo svolgersi dei fatti legati ad essa dal momento dell’istituzione dell’Ente.
Le comunità montane, la cui istituzione voluta dal legislatore con legge 3 dicembre 1971, n. 1102, e adesso disciplinate dall'art. 27 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico sugli enti locali), cominciarono a prendere corpo dopo la metà degli anni settanta; con l’avvento dell’amministrazione Sorbo, nel 1975 occorreva separare fisicamente e politicamente due forti (ed ingombranti) personalità organiche a quel consesso: il sindaco del tempo Gianni Sorbo ed il leader “dissidente democristiano” Giuseppe Peluso (che sarebbe diventato sindaco nel 1989). Un precedente accordo fra i vari comuni aderenti alla Comunità Montana, prevedeva che fra Formicola e Pietramelara erano in palio la sede dell’Ente e la carica di presidente; in altre parole a chi sarebbe andata la sede sarebbe stata preclusa la presidenza.  La politica formicolana, molto lungimirante, fu pronta a rinunciare in quel momento alla presidenza, concessa al pietramelarese Peluso aggiudicandosi in tal modo per sempre la sede dell’Ente montano. Il progetto era chiaro, cedere la presidenza per il momento e tenersi la sede; in un secondo tempo si sarebbe dato l’assalto anche alla carica più alta. E così avvenne: tanto tuonò che piovve! …ci fu tolta la presidenza e in cambio avemmo la vicepresidenza, in seguito anche questa non fu più appannaggio pietramelarese e ci si dovette accontentare di qualche assessorato, con interruzioni temporali più o meno lunghe. Se non si fosse ceduto sulla sede, forse oggi Pietramelara avrebbe potuto ancora esercitare quel ruolo di baricentro politico/amministrativo dell’intero Monte Maggiore!
E veniamo ai giorni nostri… amministrare un ente sovracomunale è frutto di una serie di equilibri precari che variano con il tempo, fu così che, nel Giugno 2020, a Salvatore Geremia di Rocchetta e Croce (cfr. foto a sinistra) subentrò Di Fruscio, grazie ad ordini impartiti dall’esterno del perimetro del territorio montano; alla stessa stregua, dopo qualche tempo, un anno o poco più, è stata la volta per Di Fruscio di cedere il passo, sempre per le stesse odiose ingerenze del potere politico, ma mi domando è mai possibile tale situazione farsesca? Fino a quando dovremo subire che qualcuno che non conosce il nostro territorio, non conosce gli uomini e le comunità, debba imporre il proprio diktat politico, con il solo fine di stendere i propri tentacoli sempre più lunghi e viscidi, sempre più ramificati?  Non sono un “fervente difrusciano” e questo è notorio a chi mi conosce, tuttavia mi irrita tantissimo questo continuo intrufolarsi nelle faccende di casa nostra… come può un Ente assumere un indirizzo politico continuo e coerente se, secondo la posizione dell’utero di questo e quel consigliere regionale, ogni sei mesi/un anno cambia il vertice dell’ente stesso?

venerdì 15 ottobre 2021

UNO STREPITOSO SORPASSO

 

È una notizia diffusa nella giornata di ieri, che ci riempie di legittimo orgoglio: in Francia, i consumi di mozzarella hanno superato quelli del formaggio camembert. Lo scrive il quotidiano francese «Le Figaro», secondo cui, a settembre, le vendite del comparto mozzarella sono state superiori per la prima volta a quelle del re dei formaggi francesi.
Le specialità culinarie italiane sono sempre più apprezzate nel mondo, in particolare, in Francia, e le Figaro sottolinea infine che «si mangia camembert nei ristoranti o durante i pasti casalinghi più tradizionali, mentre la mozzarella sta bene in molti piatti facili da fare e più trendy».
Mi è sembrato giusto, da interprete di un territorio dove la mozzarella si produce da secoli, sottolineare tale strepitoso sorpasso, ma… qual è la storia di questa prelibatezza che l’intero mondo ci invidia e che, nel complesso, produce occupazione e sviluppo economico quanto un grande stabilimento industriale?
La nostra mozzarella fa parte del grande gruppo denominato “formaggi a pasta filata”, che hanno origini antichissime.
Tra il X e il XII secolo nelle zone paludose Tirreniche, tra la piana del fiume Volturno e la piana del fiume Sele, iniziarono a svilupparsi gli allevamenti bufalini, come testimoniato da documenti del monastero di San Lorenzo in Capua. Il nome “mozza” deriva dalla pratica di ”mozzare” la pasta cotta dopo l’aggiunta di acqua calda, rendendo la cagliata morbida ed elastica.
Il termine mozzarella appare per la prima volta in un testo famoso di Bartolomeo Scappi, cuoco della corte papale, nel 1570.
Alla fine del 1700, grazie ai Borboni, che costruirono il primo caseificio sperimentale, la mozzarella prese un largo consumo e la pasta filata in genere agli inizi del 1900 raggiunse una tale fama che portò le piccole produzioni locali a svilupparsi e a diventare vere e proprie produzioni industriali. Successivamente la bonifica delle zone paludose favorì l’espansione degli allevamenti bufalini e la crescita della produzione di mozzarella in tutto il centro-meridione, dal sud della provincia di Roma fino in Puglia e passando per il Molise.
Nel 1981 nacque il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana che esercita la vigilanza, la valorizzazione e la promozione di questo straordinario formaggio del Centro-Sud Italia, apprezzato in tutto il mondo.
Nel 1996 è stata ottenuta la Denominazione di Origine Protetta (DOP) per la Mozzarella di Bufala Campana: si tratta di un prestigioso marchio europeo con cui vengono istituzionalmente riconosciute quelle caratteristiche organolettiche e merceologiche di questo formaggio, derivate prevalentemente dalle condizioni ambientali e dai metodi tradizionali di lavorazione esistenti nella specifica area di produzione. Questo riconoscimento è il più importante marchio DOP del centro-sud Italia, il quarto a livello nazionale per produzione ed il terzo tra i formaggi DOP italiani.
Attualmente le zone di riconoscimento ed origine del latte idoneo alla produzione della Mozzarella di Bufala campana DOP sono: le regioni Campania, Lazio (nelle province di Latina, Frosinone e Roma), Puglia (provincia di Foggia) e  in Molise il solo comune di Venafro.
La realtà della nostra zona, comuni dell’alto casertano, è in costante e sostanziale progresso: allevamenti a conduzione familiare, accanto ad aziende capitalistiche, almeno un paio di caseifici per comune, in grado di esitare produzioni di gran pregio, alcune delle quali riconosciute con importanti premi. Quale il futuro? … l’espansione degli allevamenti non potrà procedere all’infinito, perché un elevato numero di capi da luogo a inconvenienti ambientali per lo smaltimento delle deiezioni; inoltre è sempre più difficile reperire addetti di stalla, che già oggi provengono per lo più dall’India e dintorni. Il mercato della mozzarella continuerà ad espandersi ma ciò non potrà prescindere da un livello qualitativo che dovrà in ogni caso soddisfare le esigenze dei consumatori.
 

domenica 10 ottobre 2021

SETTEMBRE 1860: MERCENARI E TRADITORI IN UNO SCONTRO

 

Foto 1

Nei trenta secoli di storia vissuti dal nostro territorio e dai suoi abitanti, non sono stati frequenti scontri bellici cruenti, la posizione defilata geograficamente non ne facevano una postazione strategica da difendere, qualsiasi epoca si consideri. Tuttavia un episodio della guerra per l’unità nazionale, vide la campagna fra Roccaromana e Pietramelara come teatro delle operazioni. Questi i fatti: tra il 16 e il 17 settembre 1860, un ungherese, il maggiore Csudafy, al comando di un reparto di garibaldini, costituito da tre compagnie, si diresse da Caserta verso Piedimonte, allo scopo di tagliare le retrovie borboniche ed isolare così Capua da Gaeta. Varcato durante la notte il Volturno presso Dragoni per schivare forze ostili o, chissà, per errore, Csudafy si dirige verso Roccaromana. L’attacco al presidio borbonico quivi acquartierato e forte di 260 uomini, avviene alle 10 e 30 del mattino; data la sproporzione delle forze il comandante borbonico maggiore Gennaro Angellotti chiede rinforzi al colonnello Kezich, che è di stanza a Pietramelara con ben tre reggimenti.  L’aiuto viene negato pertanto i borbonici sono costretti a ripiegare verso la vicina Pietramelara; la campagna fra i due borghi è interrotta da fossi e siepi, si può immaginare che dopo ripiegamenti successivi i borbonici abbiano organizzato una linea di difesa, presso il rivolo di Murro. Gli uomini di stanza a Pietramelara, al secondo rifiuto di Kezich di inviare rinforzi, insorgono ed allora l’alto ufficiale, alle strette, invia un battaglione al comando del maggiore De Francesco, che riesce a riequilibrare le forze e respingere i garibaldini fino al ponte di Roccaromana, dove anche i civili partecipano alla battaglia e fanno ripiegare gli “stranieri” fino a Piedimonte d’Alife, dove pare che Csudafy abbia tentato il suicidio, puntandosi una pistola alla tempia.

La presenza di un Ungherese fra i vertici garibaldini conferma che mercenari presero parte agli scontri, ed   è evidente che il comportamento di Kezich sia stato dovuto a un tradimento già in atto, frequente fra gli alti ufficiali borbonici che già avevano intravisto, a breve, il tramonto del Regno delle Due Sicilie. L’infedeltà dei vertici militari fu una delle cause della dissoluzione di una Nazione che, almeno sulla carta, aveva tutti i numeri per sopravvivere a un attacco proditorio e non dichiarato da parte di uno staterello di dimensioni geografiche ed economiche inferiori.

Quanti siano stati i caduti dello scontro da ambe le parti non si sa; quello che si è potuto riscontrare lo dobbiamo a quella inesauribile fonte di notizie che sono i registri parrocchiali: nel Libro dei Defunti della Parrocchia di San Lorenzo Martire (oggi Sant’Agostino), anni 1856/1895, abbiamo notizia che furono allestiti alla meglio due ricoveri per feriti, nel Palazzo Ducale e in Municipio; ancora  leggiamo i nomi di quattro soldati, Ferretti Alberto di età imprecisata , da Mirandola (FE), deceduto il 20/09/1860 nel Municipio di Pietramelara garibaldino o bersagliere (in bello Arcis Romanae a militibus Naeapolitani ictus scopetti vulneratus); Stanzione Stefano, di età  imprecisata , marito di Rinaldi Carmina  deceduto il giorno successivo, borbonico; de Buccis  Giuseppe di età imprecisata ,  deceduto in Municipio; Turnelli Beniamino di anni 20, deceduto il 21/09/1860 nel Palazzo Ducale (in palatio ducis Arcis Romanae).

Foto II

Cosa rimane, oltre alla memoria e a qualche sbiadito documento, di questa cruenta interruzione della tranquillità che ha sempre regnato dalle nostre parti? Due segni di importanza quantomeno equivalente: nel piazzale antistante l'ex Ospedale, fu eretto nel 1951, per opera del Sindaco  Diomede Rinaldi, un monumento in onore dei Garibaldini che persero la vita a Roccaromana (I foto di copertina); sulla strada che porta da Pietramelara a Roccaromana, invece fu eretto un secondo cippo nel 2017, in località Murro, questa volta dedicato ai caduti borbonici (II foto di copertina). 

Bibliografia:

1.   Atti del Convegno di Studi “Cinque secoli di storia nell’Alto Casetrtano”, Giugno 1996

2. Liber Parochialis S.Laurenti Martiris huius terrae Petramellaria in quo adnotantur mortui a die prima mensis Julii 1856

domenica 26 settembre 2021

IL ROMANZO DI PIETRAMELARA

 

Illustri clinici, un giornalista di grido, un parterre interessato, le autorità: questa la cornice dell’evento celebratosi ieri sera nel Chiostro di Sant’Agostino. Il chiostro, un tempo nucleo del Monastero Agostiniano di Santa Maria della Carità, sembrava la location ideale per presentare il libro dato alle stampe dal Prof. Gaspare Bassi, dal titolo “Il romanzo di Pietramelara- venti secoli di guerre ed eroi”, tratto da appunti del proprio nonno ed omonimo Don Gaspare Bassi, deceduto nel 1949. Riprendo le espressioni dell’autore, relative all’opera data alle stampe essa è: “espressione del grande amore che il nonno aveva verso i suoi concittadini, dei quali nel libro, con orgoglio, sottolinea sempre le doti di bontà, di religiosità, e di rispetto delle tradizioni”. E’ questo, a parere di chi scrive, un approccio di grande forza per chi vuole descrivere un luogo e una comunità che vi dimora e che vi ha dimorato nei secoli; approccio che, tra l’altro, condivido in pieno nelle cose che scribacchio. Venti secoli di storia locale sintetizzati in un quaderno di appunti, per lungo tempo disperso e poi, quasi per caso, ritrovato dal Bassi junior, il quale guidato dall’amore per il nonno e per i luoghi natii, ha pensato di darlo alle stampe per farne dono a Pietramelara e ad ogni suo amico e collega interessato alla cosa.
La storia parte dalle guerre sannitiche e dalle stragi e distruzioni che ne seguirono, e di dipana lungo le guerre puniche, con la campagna di Annibale nell’Italia meridionale, quindi il tramonto dell’Impero Romano e le lotte tra Carlo Magno e i saraceni con il contributo di Nicolò Monforte, la presenza dei Cavalieri di Malta in Pietramelara, durata fino al XIX secolo, la distruzione e il sacco avvenuta nel 1496, il tramonto politico dei Monforte e l’avvento di Faustina Colonna, con il dominio asburgico di Carlo V, l’Inquisizione e il correlato sorgere delle Congregazioni e confraternite religiose. La lunga descrizione si interrompe agli inizi del Settecento… non se ne conosce il motivo ma, non vi è dubbio che la volontà del Bassi era quella di giungere fino ai suoi giorni, al risorgimento e l’unità nazionale; forse dovette esserci un motivo di forza maggiore ad impedire il completamento dell’opera.
Dalla sommaria scorsa che ho potuto dare all’opera, di cui sono venuto in possesso ieri pomeriggio, emerge un fatto incontrovertibile: Don Gaspare Bassi, vissuto tra l’ottocento ed il novecento in Pietramelara è un intellettuale che si è   documentato come ha potuto dalle fonti archivistiche disponibili, date le caratteristiche del periodo; certo, se avesse posseduto un PC connesso al web, avrebbe documentato in modo ancor più rigoroso il suo lodevole lavoro. Comunque l’autore di “Frammenti” (questo è il nome originariamente dato alla ricerca) è il prodotto di un humus culturale diffuso in Pietramelara anche in periodi più bui dell’attuale. Basti pensare che nel settecento, come già riportato in precedenti pezzi su questo blog scribacchiato “operavano in paese 4 notai, servendo un’area geografica probabilmente molto più vasta, alcuni “dottori fisici”, così si chiamavano i medici allora, avvocati e innumerevoli sacerdoti, canonici e chierici” (cfr. ERRICO LEONE E IL PUNTO DI PARTENZA, 25 MAGGIO 2019 http://scribacchiandoperme.blogspot.com/2019/05/errico-leone-e-il-punto-di-partenza.html). In tale clima dovette maturare la coscienza civica e storiografica di Don Gaspare, o come lo chiamavano tutti in paese “Ron Gasparrinu”. Al nipote fedele, ed ancorato alla tradizione familiare, Professor Gaspare Bassi il plauso di tutta Pietramelara, per aver ribadito, dando alle stampe l’opera, ancora una volta il ruolo di tale comunità nell’Alto Casertano.

venerdì 17 settembre 2021

L'ARCO DI SANTA MARIA

 

Nonostante manchi da circa 77 anni, ancora sopravvive chi lo ricorda bene, anche se… certo, costui avrà più di ottantacinque anni! Parlo dell’Arco di Santa Maria (vedi foto di copertina), principale ingresso del centro storico di Pietramelara fino al 23 ottobre 1943, giorno in cui fu minato dalle truppe tedesche per ostacolare in qualche modo l’avanzata alleata che, dopo aver attraversato il Volturno nel caiatino, era risalita per le alture di Liberi ed aveva ormai raggiunto Roccaromana. Aver minato l’arco, a ben pensarci, fu un’operazione bellica del tutto priva di senso tattico e strategico, data la potenza della macchina bellica alleata, ma dettata forse solo dalla volontà di imprimere un’ulteriore sfregio alla nostra cittadina, già provata in ogni modo dalla guerra.

La storia di questo monumento, la cui denominazione è dovuta alla vicinanza con il Monastero di Santa Maria della Carità, oggi sede municipale, si fonde ed interseca con quella del Regno di Napoli nel Rinascimento, e quella di un suo protagonista assoluto, Carlo V d'Asburgo (Gand, 24 febbraio 1500 – Cuacos de Yuste, 21 settembre 1558). Il giovane sovrano, a soli sedici anni, ereditò dal nonno anche il trono d'Aragona, concentrando nelle sue mani tutta la Spagna, compreso il Regno di Napoli, che le apparteneva. Sbarcato a Messina, Carlo V risalì il meridione e il 25 novembre 1535 entrò in Napoli dalla Porta Capuana, prendendone possesso.
Era trascorso meno di un quarantennio dal quel tragico 13 marzo 1496, giorno in cui Pietramelara fu messa a “foco ed a sacco”, per il tradimento dei Monforte nei confronti degli aragonesi, motivo per il quale qualche sopravvissuto alla cruenta strage doveva essere ancora presente. Deve essere stata iniziata in quegli anni la costruzione della porta, e la presenza sulla chiave dell’arco dell’aquila asburgica di Carlo V stava a suggellare almeno due cose: che la città era stata riabilitata presso la corte dopo l’infamante bando a cui era stata sottoposta, e che in essa non erano presenti eresie. Carlo, infatti, fu il più acceso nemico dello scisma luterano, fino ad essere definito Difensor Ecclesiae da papa Leone X. Lo stemma quasi nella sua interezza fu recuperato dopo il crollo e sito nell’androne del nostro comune. Mancano le due teste coronate dell’aquila e parte dell’ala destra; lo scudo contenuto nello stemma porta i simboli di ogni possedimento di Carlo, che si vantava del fatto che sul suo Impero “non tramontava mai il sole”.
La costruzione dell’arco è da mettere in relazione con un’altra presenza storica importante a Pietramelara, quella dei Cavalieri di Malta, che cessò solo dopo l’unità nazionale, con l’alienazione dei beni che furono messi all’asta ed acquistati dal Barone Giovanni Sanniti. Nel 1524, infatti, Carlo aveva offerto ai Cavalieri Ospitalieri l'isola di Malta, e non è un caso che gli antichi e vasti possessi dei cavalieri in Pietramelara iniziavano proprio dall’arco fino ad estendersi alle falde del Monte Maggiore. Un legame fisico ed ideale che rafforzava il rapporto fra il potere imperiale e l’importante opera sociale dell’Ordine, che in paese aveva realizzato uno “xenodochio” (albergo per stranieri e viandanti), posto lungo la via Francigena del Sud, che congiungeva Roma a Gerusalemme.
Per la storia recente, negli anni 80, in occasione di una Sagra al Borgo, fu realizzato un simulacro scenografico dell’arco, a dimensioni reali, da parte del compianto Nunzio Marco Della Torre, un segno fugace del legame di Pietramelara con la sua porta più importante.
 



martedì 14 settembre 2021

IN UNA TESI L’AMORE PER UN TERRITORIO

 
Chi non si è mai lamentato dei giovani del nostro paese e del loro poco amore per i luoghi e per i valori connessi con esso? È vero … le giovani generazioni a volte dedicano scarso interesse per cose definite “superate”, ma le eccezioni esistono, per fortuna.
Il caso che vi voglio raccontare è quello di un giovane, che con il tempo e con l’impegno ha saputo costruirsi una preparazione e una professionalità. Si tratta di Franco Mainolfi, neo-dottore forestale (cfr. foto di copertina), il quale per il suo lavoro di tesi magistrale ha scelto un tema strettamente connesso al territorio di Pietramelara e dintorni: ANALISI DEGLI HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO DELLA Z.S.C. “CATENA DI MONTE MAGGIORE. Per la cronaca la laurea magistrale è stata conferita nello scorso agosto dall’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE, Dipartimento Agricoltura, Ambiente e Alimenti. Veramente interessante il lavoro svolto, per l’approccio scientifico, per i risultati di studio conseguiti e per i possibili sviluppi divulgativi per gli interessati. Ma va sicuramente anche lodato il grande attaccamento per un territorio e l’amore per la terra che ci ha generato.
Rete Natura 2000 attualmente è composta da Zone di Protezione Speciale (ZPS), Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone Speciali di Conservazione (ZSC); essa è un insieme di aree destinate alla tutela di habitat e di specie (animali e vegetali) ritenuti meritevoli di protezione a livello europeo. Il tutto per garantire la vitalità a lungo termine di alcuni habitat e di alcune specie di rilievo europeo.
Obiettivo del lavoro di tesi è stato il monitoraggio degli habitat di interesse comunitario, tramite rilevamenti della vegetazione, in un sito della rete Natura 2000 della Campania: la Zona Speciale di Conservazione “Catena di Monte Maggiore”, contrassegnata dal codice identificativo comunitario IT8010006, che racchiude la parte montana dei comuni di Roccaromana, Pietramelara, Riardo, Rocchetta e Croce, Formicola e Liberi. I rilievi di campo anno abbracciato un periodo di un anno esatto, da luglio 2020 a giugno 2021. Va detto che altro merito della tesi è stato quello di colmare una lacuna, cioè di aver studiato un habitat non presente nel formulario standard della Zona Speciale di Conservazione “Catena di Monte Maggiore”; l’habitat studiato per la prima volta in zona è stato quello contrassegnato con il codice 9340: Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia (leccete), e che non si tratti di cosa di poco conto lo dimostra anche la sola grande diffusione delle leccete nel nostro Monte Maggiore. Nella tesi sono stati capillarmente descritti gli habitat di interesse comunitario presenti, in altre parole le note singolari che fanno dei nostri boschi ambienti unici e particolarmente pregiati: le faggete, i castagneti e le citate leccete.
Confortante il punto di arrivo del lavoro, citando testualmente il Mainolfi: “Lo stato di conservazione degli habitat è giudicato complessivamente molto buono in quanto non è stata rilevata alcuna presenza importante di specie bioindicatrici di fattori di disturbo antropici”. In altre parole il nostro territorio montano non ha subito impatti da parte delle azioni umane, che possano aver compromesso le sue molteplici funzioni: economico/produttiva, di riequilibrio ambientale, di fruizione turistica, ecc.
Il Monte Maggiore è uno dei gioielli di cui la Campania dispone, le comunità dei paesi e villaggi che gli fanno da corona hanno, sinora, saputo mantenere una sorta di sacro rispetto nei suoi confronti. L’auspicio, anche per dare un senso sociale al lavoro di Franco, è che le future scelte politiche relative al territorio sappiano muoversi in tale direttrice. 

martedì 31 agosto 2021

DI COSA PARLA PIETRAMELARA?

 

Di cosa parla Pietramelara? Appare chiaro che, se fino a qualche anno fa, il centro fisico e geografico delle discussioni e dei capannelli era Piazza San Rocco, oggi il fulcro è diventato virtuale e si è spostato sui social network, ed allora: restauri della cappella di Santa Maria a Fradejanne, avvicendamento del parroco in Sant’Agostino (immaginato o reale?), centinaia di mutuati senza medico di base, embrioni di movimenti pre-elettorali.
Che qualcosa si cominci a muovere nella politica locale è avvertito ed avvertibile; certo, a distanza di soli otto mesi dalle elezioni, sembra un po' tardi per cominciare a dire la propria: la vita e le azioni di un’amministrazione vanno seguite da quanto essa si insedia, cercando di intuire le motivazioni delle scelte e delle non-scelte, esercitando il ruolo di controllo che la legge assegna alle minoranze consiliari, ruolo che sembra l’attuale gruppo di opposizione abbia esercitato di rado e con limitatissima incisività. Al di fuori dell’assise, al contrario, cominciano i primi sussulti: per il momento è ufficiale solo l’iniziativa del giovane Mario D’Ovidio, che insieme ad un gruppo di amici ha cominciato a riflettere sul futuro del paese, con l’obiettivo dichiarato di dialogare con tutte le compagini politiche presenti sul territorio, al fine di progettare assieme la città che verrà. Interessante la dichiarazione programmatica resa a un web giornale locale: “Rendere Pietramelara attraente deve essere una prerogativa fondamentale – queste le parole di Mario- vogliamo che Pietramelara diventi un paese operoso: ambiente, sviluppo economico, associazionismo e cultura saranno al centro del dibattito”. Sono parole a cui l’unica chiosa riguarda il fatto che Pietramelara “operosa” lo è già, e da sempre. Dalle voci raccolte sembra che al primo incontro, tenutosi in località “segreta” si siano registrate numerose adesioni al progetto.
Qualcun altro, già elettore (per propria ammissione)  di “Per Pietramelara unione e solidarietà” gruppo che fa capo al sindaco Di Fruscio, ed evidentemente deluso dal dopo elezioni, si è già attivato per tentare un esperimento simile: lo si vede soffermarsi tra tavoli e panchine della piazza, insieme ad amici da coinvolgere. I due gruppi si fonderanno… oppure no? Staremo a vedere, sono comunque tentativi a cui guardare con interesse.
Nulla trapela dai gruppi “storici” …Cosa farà Di Fruscio? Si ricandiderà o cederà lo scettro? Confermerà la squadra già trionfatrice delle scorse elezioni, o apporterà qualche correzione? Ci saranno defezioni volontarie? Chi vivrà vedrà. Dall’altra parte ciò che è evidente, tra i  leonardiani, reduci da un mandato elettorale trascorso in assoluto silenzio, è che  "ritiratisi in aventino", si interrogano, nei pomeriggi d’estate davanti a un frequentato bar, su quale futuro li aspetti.
Loredana Palumbo, altra ex difrusciana delusa, prendendo spunto dalla nota vicenda del medico di base, affida a fb un post lamentando di essere stata considerata solo “un numero per la lista” e, in polemica con il gruppo che l’ha portata in assise, continua: “l’attuale maggioranza si appropria dei meriti di tutti… basta scorrere i social o la pagina istituzionale dell’ente impropriamente utilizzata per scopi propagandistici”. Come non essere d’accordo?  … ci si fa fotografare in ogni luogo e in ogni frangente, cercando di aumentarsi la visibilità, sgomitando fra compagni ed avversari.
 

giovedì 19 agosto 2021

CI PENSERANNO GLI ELICOTTERI E I CANADAIR...

 

Quali danni può aver determinato sui boschi e gli habitat del Monte Maggiore il vasto incendio dei giorni intorno al ferragosto? E quali sono i tempi in cui si può ipotizzare che tutto ritorni alla normalità?
Andiamo per ordine: quello a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi, almeno sulla pendice nord del Monte Maggiore, la nostra, possiamo dire si sia trattato “solo” di un incendio di sottobosco, che ha percorso una superficie boscata stimabile in quattro/cinque ettari.  La parte interessata, a monte della strada panoramica per Rocchetta, tra le località “nevere” e “noccia”, è ricoperta da boschi cedui in stato di avanzata conversione in alto fusto, l’essenza prevalente è il faggio, seguono per importanza macchie di carpino e castagno. Il fatto che il danno si sia limitato al sottobosco non attenua la gravità dell’incendio; il sottobosco, infatti, esercita un importante azione idrogeologica e di mantenimento della biodiversità di un ambiente. Lo strato di terreno vegetale in tali luoghi è estremamente sottile, e pertanto dilavabile alla prima pioggia intensa; inoltre il sottobosco costituisce nutrimento e ricovero per moltissime specie animali selvatiche. Inoltre va detto che per le specie arboree colpite dal fuoco i danni effettivi potranno essere valutati solo nella prossima primavera, alla ripresa vegetativa.
Lo strato di cenere depositato dal fuoco è impermeabile, per cui nei primi 1–2 anni dopo l’incendio l’acqua piovana potrebbe stentare a penetrare nel suolo, defluendo in superficie. In questo modo, in particolare in caso di forti piogge, si verificheranno fenomeni erosivi. In caso di piogge prolungate ciò può addirittura provocare colate detritiche.
La rapidità di recupero del bosco dipende dal tipo e della frequenza degli incendi. In caso di incendi frequenti e intensi, sopravvivono solo quelle specie che si sono adattate al fuoco, le cosiddette specie piroresistenti. D’altra parte, gli incendi boschivi alterano le condizioni di vita e favoriscono la diffusione di nuove specie. Dopo un incendio, la struttura temporaneamente più rada della foresta e l’aumento di sostanze nutritive nel breve termine offrono buone condizioni di vita per molti animali e piante.
Facciamo adesso il punto “ex post” sulla situazione determinatasi: è la rassegnazione davanti alla dimensione del fenomeno (di per se modesto) ciò che ho potuto notare; in altre parole siamo stati di fronte a una filosofia del tipo “ci penseranno gli elicotteri e i canadair a spegnere l’incendio”, e così pensando e facendo un incendio che si poteva estinguere in un paio d’ore è stato lasciato a bruciare per ben tre giorni (14, 15 e 16 agosto); mi si perdoni l’autocitazione, ma già nel pezzo di domenica su questo blog si affermava che “Il bosco si spegne da terra(cfr. http://scribacchiandoperme.blogspot.com/2021/08/una-maledetta-tradizione.html). I mezzi aerei possono costituire un valido aiuto, nient’altro! D’altronde senza uomini a terra, una volta domato l’incendio non si può procedere alla bonifica, cioè alla separazione fisica delle superfici percorse dal fuoco a da quelle non raggiunte da esso, servendosi di zappe o pale; senza un’efficace bonifica, e specie in questi giorni di caldo intenso, basta un nonnulla perché il fuoco riprenda vigore facendo ulteriori e gravi danni.
 
 

domenica 15 agosto 2021

UNA MALEDETTA TRADIZIONE

 

Tanto tuonò che piovve! ... si dice così quando qualcosa di negativo che accade è stato da tempo previsto; il vecchio adagio è riferito all’incendio che da ieri interessa il nostro caro Monte Maggiore. Si tratta di una vera e propria consolidata e maledetta tradizione che nei giorni di ferragosto e della festa patronale di San Rocco, qualche malvagio ci debba rovinare l’occasione. Si parte da lontano: nel 1974, circa un cinquantennio or sono assistetti da adolescente al grande incendio della località in seguito detta “tunnu iarsu” (rotondo bruciato, ndr); in seguito ero giovane e facevo volontariato antincendio come tanti miei coetanei, forse nell’85, e proprio nel giorno dell’Assunta, dovetti intervenire con i miei compagni in un altro vasto incendio in località “quattro cuponi”, ai confini con Riardo... oggi purtroppo ci risiamo!
Mi sembra alquanto fuori luogo additare le responsabilità istituzionali coinvolte, è questo il momento dell’operatività, non delle recriminazioni. Da blogger del territorio, l’analisi del fenomeno con il quale ci confrontiamo trae spunto anche dal commento dell’amico Carmelo Colapietro, posto in calce ad un post su FB dell’onorevole Aldo Patriciello, imprenditore nel settore sanitario ed eurodeputato, nel quale descrive la giornata particolare vissuta a Vallefiorita, nel cuore delle Mainarde ed afferma che quei luoghi incantevoli che meriterebbero una cura e un’attenzione migliore.
Nella sostanza Colapietro, con anni di esperienza nell’organizzazione del volontariato antincendio, evidenzia il bisogno che la Regione delegata dallo Stato abbia più attenzione alla questione aumentando gli investimenti sulle dotazioni dei mezzi ed sulla formazione di uomini specializzati. “La trasformazione del Corpo Forestale dello Stato in Carabinieri Forestali- continua nel commento- ha spiazzato gran parte del sistema operativo per la lotta attiva agli incendi boschivi e quello di polizia giudiziaria. È bene richiamare l’attenzione che tutte le calamità possono essere fronteggiate se le stesse sono precedute da un sistema di prevenzione costante e specializzato”.
Vado oltre: l’investimento maggiore deve riguardare il capitale umano, soprattutto in questo periodo di clima balzano, che ci espone a picchi di temperature estreme. Si deve partire da lontano, dalla scuola, con una campagna di sensibilizzazione ambientale, più pratica che teorica; inoltre ogni comune mantenga in costante allerta una nucleo di volontari all’uopo formati, perché il fuoco, al di là degli elicotteri   e dei Canadair, costosi ed imprecisi, si spegne da terra; solo chi è presente sul posto, a pochi metri dalle fiamme è in grado di affrontarle con energia e facendo leva sull’esperienza. Ed allora gli investimenti devono riguardare l’equipaggiamento leggero: motoseghe, decespugliatori, pompe a spalla;  il nostro territorio, infatti,  non permette per l’orografia l’impiego di autobotti e ingombranti mezzi fuoristrada. Lo dico nella veste di blogger ma anche e soprattutto di tecnico, con alle spalle un’intensa esperienza di volontariato.