Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

giovedì 26 gennaio 2012

DUE SORELLE

Sono come due sorelle per me … e sono molto affezionato ad entrambe: si chiamano Tristezza ed Allegria. Mi fanno sempre compagnia, e quando si vede una, l’altra non è che sia lontana oppure sta riposando, è solo nascosta appena un po’ più in la, pronta a scacciare l’avversaria e, prontamente, prendere possesso del mio umore.
La vittoria è un fatto del tutto momentaneo e transitorio, anche perché la partita fra le due è sempre aperta e sembra non finire mai. L’interminabile lotta in me tra le due non è che sia iniziata tanto tempo fa, forse la si può far risalire a quando sono spuntati i molari “del Giudizio” … o giù di lì.
Con questo non voglio dire che sono un musone, né un ridanciano o, peggio ancora, una persona volubile e fortemente influenzabile dalle cose e dalle situazioni, la proverbiale “Jatta e’ zi Maria” (cfr nota), tanto per intenderci; fatto sta che le sorelline coesistono pariteticamente in me e, anche se si possono vedere come il fumo negli occhi, nessuna delle due rinuncerebbe all’altra, neanche per tutto l’oro del mondo.
Chi, come il sottoscritto, ha un difetto, quello di lasciar troppo facilmente trasparire l’ingombrante presenza dell’una o dell’altra, per non essere vittima di incalzanti ed indiscreti interrogatori, a volte deve ricorrere all’aiuto di una terza sorella anch’essa molto importante per me: Solitudine. Non è questa una compagna con cui trascorro molto tempo o, per lo meno, dedico a lei molto meno tempo delle altre due, tuttavia sono convinto, oggi più che mai della grande utilità del suo aiuto, soprattutto in determinati momenti.
In campagna, nel silenzio, poi, vi assicuro che si apprezza moltissimo Solitudine: sono momenti di piacere intenso, gli unici in cui ritrovo me stesso!

Ndr: “a Jatta e’ zi Maria, che primu chiagne e roppu rire” (la gatta di zia Maria che prima piange e dopo ride) è, nell’immaginario comune della nostra infanzia, l’animalizzazione dell’umore mutevole.

mercoledì 18 gennaio 2012

Una mattina di gennaio un sacrificio pagano

Ricordate?...Sono questi i giorni centrali di una stagione in cui si consumava (e si consuma ancora anche se molto meno) un rito cruento e festoso al tempo stesso: nel gelo tipico di queste mattine, il silenzio del paese veniva squarciato da urla agghiaccianti, rantoli che divenivano via via più flebili, fino ad estinguersi del tutto di nuovo nel silenzio. Qualche forestiero poco avvezzo alle “nostre cose” poteva impressionarsi, ma si trattava solo dell’uccisione del maiale. Era una sorta di sacrificio pagano il cui rituale si tramanda da secoli attraverso le generazioni. Un gancio ed un coltello appuntito per trafiggere il povero suino destinato a salsicce, prosciutti e lonze; esso veniva poi “scorticato”, cioè privato delle setole, si provvedeva infine a privarlo delle interiora e una volta decapitato lo si divideva in due metà, in senso longitudinale. Tali metà erano e sono dette ancora “pacche”, nel nostro dialetto denso di sonorità. A questo punto il rito si interrompeva e si lasciavano le “pacche” appese per permettere alla carne troppo fresca di frollare al rigido inverno. Solo all’indomani mattina il lavoro riprendeva ed il maiale veniva “scurtellato” cioè diviso nei vari tagli.
Crescendo il maiale si alimentava di cose povere, rifiuti alimentari che venivano pertanto sottratti all’immondizia e nobilitati; il rito dell’uccisione del maiale, poi, era collegato con tante altre tradizioni che facevano da cornice e corollario: lo scambio degli “arrusti” (assaggi) fra famiglie del vicinato e della parentela, il riunirsi delle donne per tagliare “a punta di coltello” le carni da insaccare; tra l’altro la regola imponeva che le donne venissero scrupolosamente ispezionate dalle anziane di casa, per evitare che qualcuna, indisposta dal ciclo mestruale, toccasse le carni e che queste, così contaminate, andassero incontro ad un’ineluttabile avariarsi.
Questa breve sintesi di una tradizione, ci rende conto di una cultura contadina le cui regole, fisse ed immutabili, non sono state mai scritte da nessuno, tuttavia vigevano codificate attraverso la tradizione orale.
L’uccisione del maiale era in passato un episodio gioioso e ricco di significati sociali e solidali, soprattutto tenuto conto delle condizioni economiche non particolarmente floride in cui si viveva dalle nostre parti, un occasione per “scialare” con cose semplici e buonissime: carne sauccicciara, zuffrittu, braciole di cotiche, sanguinacci e tanto altro.
Il maiale rappresentava, per la nostra gente, il parallelo del “Dio Bisonte” dei nativi nordamericani: di esso nulla era inutile, pelle, orecchie, piedi, interiora, tutto poteva placare una fame atavica, figlia di una povertà dignitosa e mai miserabile.

sabato 7 gennaio 2012

VENTO

Il vento stamattina è freddo, ostile, e ti ulula contro quasi a volerti rimproverare qualcosa. Il suo borbottio, a volte sussurrato, a volte intenso richiama “le voci di dentro”, per usare un’espressione eduardiana.
A piedi o in bici, cammini contro vento, ascolti e ti ascolti. Allontanandosi dal paese i rumori prodotti dall’uomo si fanno sempre più sommessi, attenuati e quando rimani solo, nel bel mezzo dei campi, rimane solo la voce del vento e ti sembra che qualcuno ti cammini accanto e ti parli a volte con accenti amichevoli, a volte con piglio severo; se alzi lo sguardo verso l’alto le nuvole, poi, disegnano geometrie insolite, sempre mutevoli. Sono momenti di umore altalenante, affascinato come sei dalla bellezza che ti circonda ma, al tempo stesso, colpito dal freddo pungente e dai pensieri cupi che ti suggerisce il contesto.
Mentre ragiono, tra me e me, mi ritorna alla mente un adagio sentenzioso, molto da filosofo “del pensiero debole” , letto tanti anni fa in un quadretto appeso alla parete: “pigl’ o juorn comme vvè, a femmina comm’ è… e o vient’ comme soscia”

N.d.r. : …per chi ha poca confidenza con il napoletano, il proverbio si traduce più o meno così “prendi il giorno così come viene, la donna secondo il suo verso e il vento nella sua direzione”