Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

sabato 17 maggio 2014

LA FESTA DI SAN PASQUALE

Ci risiamo: torna la Festa di San Pasquale e come quasi tutti gli anni torma con la pioggia. Sono ben oltre cinquanta le primavere che ho vissuto, e solo in pochi casi ricordo che il santo si è fatto mancare la pioggia e i temporali... roba da far invidia perfino a Giove Pluvio, signore della pioggia e delle saette...però: mannaggia!
Eppure questa è una festa importante, sentita dal popolo pietramelarese, da sempre devoto a San Pasquale Bylon, tra l’altro è la prima festa della stagione: essa sarà seguita dalla pletora di feste e sagre che man mano, con il tempo sono divenute tradizioni.
San Pasquale Bylon, (1540 –1592) è stato un religioso spagnolo dell'Ordine dei Frati Minori Alcantarini: è stato proclamato santo da papa Alessandro VIII (1690). Nato il giorno di Pentecoste (in spagnolo Pascua de Pentecostés, da cui il nome di Pasquale) in una famiglia di umile condizione, da fanciullo fu garzone di un allevatore di pecore. Manifestò fin da piccolo la sua vocazione spirituale trascorrendo le lunghe ore del pascolo del gregge in meditazione e preghiera. Imparò a leggere da autodidatta esercitandosi sui libri di preghiere. A diciotto anni chiese l'ammissione al noviziato , nel 1564 fece la professione solenne di fede come frate converso. L'eucarestia fu il centro della sua vita spirituale. Scrisse una raccolta di sentenze per comprovare la reale presenza di Gesù nell'eucarestia ed il potere divino trasmesso al papa. Morì all'età di 52 anni, il giorno di Pentecoste, anche a causa delle frequenti mortificazioni corporali alle quali si sottoponeva. si vuole sia il “protettore delle donne” ed a lui le ragazze in età da marito si rivolgevano con la caratteristica invocazione:

San Pasquale Bailonne,
protettore delle donne
famm truvà nu bellu maritu
biancu, russu e culuritu


che, per chi non è avvezzo a queste cose significa “fammi trovare un bel marito bianco, rosso e colorito” (in altre parole: dotato di buona salute e in buone condizioni economiche)
Una festa quella di San Pasquale, che nonostante il progresso e la frequente pioggia ha mantenuto tutti gli elementi singolari che la caratterizzavano e la caratterizzano: il pellegrinaggio delle donne di Riardo, qualche giorno prima, l’arrivo la mattina della domenica dei pellegrini provenienti da Sant’Elia Fiume Rapido (FR), i cosiddetti "scarpitti", che tanto tempo fa arrivavano a piedi, la lunga processione, con le caratteristiche soste, all’Ariola, per esempio, dove alcune famiglie rifocillavano i musicanti con abbondanti bevute, il passeggio lungo l’omonima via, la sera, il concertino e i fuochi d’artificio.
E’ vero si tratta di tradizioni a volte futili e prive di vero significato religioso, ma tant’è … la cultura e l’identità di un popolo si nutre anche di questo.

mercoledì 14 maggio 2014

...e ancora friddu aggiu

“Maggiu e ancora friddu aggiu”, recitava il vecchio adagio pietramelarese, quasi a voler rimarcare con forza che, sebbene entrati ormai da tempo in primavera, la temperatura si mantiene bassa e spesso piove. E’ vero, ci troviamo in una situazione proprio di questo tipo! La sera dopo il tramonto e la mattina presto, l’aria è pungente ed il freddo si fa sentire. Si avverte immediata l’esigenza di un maglioncino o di un indumento che protegga da queste temperature decisamente “fuori stagione”. In campagna l’erba sfalciata tarda ad appassire e chi deve è costretto a rigirare più volte il fieno, negli orti ciò che è stato piantato stenta a crescere.
Tuttavia - ci facevo caso ieri sera e stamattina appena uscito - l’aria possiede una luce particolare, priva com’è della tipica umidità che ci caratterizza. Il vento e l’ultima pioggia hanno liberato l’atmosfera di quella caligine che prescinde dalla stagione, essendo presente in estate come in inverno, e la visibilità è netta. Chi ha tempo e pazienza potrebbe contare uno ad uno gli innumerevoli alberi che popolano la pendice del nostro Monte Maggiore, la cappellina di Fradejanne si intravede netta e precisa sullo strapiombo che domina la valle, i boschetti di acacia si fanno notare qua e la perché, pieni di fiori profumati di colore bianco, da lontano danno l’impressione di macchie lattiginose. L’alba ed il tramonto sono i momenti in cui queste sensazioni positive diventano più intense, specie per chi le sa apprezzare. Poche nubi alte e sottili si notano ma, secondo i meteorologi, c’è poco da essere ottimisti, sono solo i precursori di ben più imponenti sistemi nuvolosi che renderanno il tempo estremamente variabile nella giornata di oggi. Ma poco male! … appena la pioggia termina basta allontanarsi un po’ dall’abitato per venire letteralmente investiti da folate di odore di fieno oppure di fiori di acacia, o anche di da entrambi mescolati.
Sono emozioni queste che può apprezzare solo chi le ha vissute in prima persona e si accontenta di una vita da pendolare anche per esse.

mercoledì 7 maggio 2014

ADDIO

Ed è sempre così: quando una giovane vita lascia la comunità che l’ha generata, conferendo ad essa carattere e personalità, cultura e tradizioni, ognuno di noi si sente smarrito prima, defraudato di qualcosa poi. E’ successo nel cuore della scorsa estate, nel primo autunno ed adesso!
Quante domande ed interrogativi genera la cosa, in noi spettatori, ahimè, impotenti! … e se fosse rimasto quella sera tra le mura domestiche, se quell’auto non avesse lasciato Pietramelara , il nostro amico potrebbe ancora essere fra noi, con quella presenza delicata, con quel sorriso appena accennato e un poco triste, con il suo modo tutto personale , quasi schivo di interagire con la gente? La tragedia si sarebbe potuta evitare? Cos’è stato a determinare tante sofferenze? Il destino avverso, il fato come lo chiamavano gli antichi romani? Oppure una volontà di andare incontro alla propria sorte? Domande a cui, di sicuro, ne noi, ne altri più vicini a lui troveranno risposta. Ed allora a chi rimane non restano altro che le lacrime ed il rimpianto, prima, la rassegnazione dopo, man mano che il tempo passa. Mamma, padre, moglie, figli sappiate che chi vi ha lasciato non ha vissuto invano, dovete andar fieri di quello che è stato in vita, dell’onore di cui si è coperto da giovane soldato di pace, vivendo la propria missione con lo spirito più autentico, ed anche dell’entusiasmo che profondeva nella attività professionale.
Addio Massimo, Pietramelara non ti dimenticherà!

venerdì 2 maggio 2014

LETTERA AD UN PELLEGRINO LUNGO LA STRADA PER CASTELPETROSO

Carissimo,
l’ora è imminente ormai, manca poco e la sveglia suonerà, stridula e perentoria: la Messa di buon mattino, la raccolta ai piedi della scala di San Rocco, la Croce bene in vista e… via si parte per quel cammino che tanti altri prima di te hanno percorso. La strada, lunga ed insidiosa, il sole che scotta il viso e a volte la pioggia battente, la stanchezza, qualche vescicola ai piedi: saranno questi i tuoi compagni per oltre ventiquattro lunghe ore. Già altre volte ho scribacchiato di Castelpetroso e del Pellegrinaggio, ormai ben ultracentenario, e mai -e neppure ora lo farò- sono voluto entrare nelle motivazioni che spingono tutti quelli come te ad affrontare questa singolare esperienza: non è affar mio, è questione privata, etica e morale, pertanto confinata in quella sfera in cui nessuno, tantomeno un blogger di paese, può entrare a piacimento.
Non ho mai provato in gioventù l’esperienza che ti accingi a ripetere, ne penso di farla adesso, in età matura, tuttavia devo dire che ti ammiro, così come ho ammirato ogni altro tuo compagno di cammino e sono legato alla memoria di quanti si sono sempre impegnati a promuovere il pellegrinaggio, farlo sopravvivere in momenti bui e renderlo dignitoso e sicuro, anno per anno. Come potrei dimenticare le mitiche figure di zi Salvatore, di Rocco, di Giovannino e di tanti altri, uomini e donne per i quali i due/tre giorni dedicati all’Addolorata ed al Santuario, rappresentavano una parentesi fissa nell’anno, in cui ogni attività agricola, commerciale o di altro tipo veniva interrotta; un impegno inderogabile a cui tener fede. Che dire poi di coloro, e non sono pochi, che ritornano in paese da altri luoghi d’Italia, dalla Svizzera o dagli U.S.A. “p’ ì a truvà a Maronna” (per andare a far visita alla Madonna, n.d.r.)?
Chi si metterà in cammino domattina, come te, perpetuerà una tradizione che difficilmente sarà offuscata dall’avanzare della modernità, anzi, devo dire di più: non solo non si avvertono segni di crisi, ma è sempre più frequente il caso di uomini, donne, famiglie e gruppi provenienti da fuori Pietramelara che con gioia si uniscono a voi; inoltre il ricambio generazionale non è assolutamente un problema e già dall’adolescenza c’è chi inizia ad intraprendere questa esperienza che, con ogni probabilità, ripeterà di anno in anno.
In te e nei tuoi compagni si legge con chiarezza l’impronta di quella civiltà contadina, fine ottocento-inizi novecento, a cui dobbiamo tanto in termini di identità; ho sempre sentito parlare della catena di solidarietà tra te e i tuoi compagni di cammino, essa costituirà occasione per cementare amicizie e per approfondire conoscenze nella difficoltà, perché è nella difficoltà che emerge il lato vero delle persone; i canti gioiosi , gli inni a Maria, in dialetto ed in lingua, la dicono lunga sulla genesi di questo fatto Piatramelarese che tante altre realtà, esterne alla nostra, ammirano ed, a volte, additano con un pizzico di invidia.
Buon viaggio, amico mio, il pellegrinaggio ti faccia ritrovare te stesso, se ti senti smarrito a causa della vita che conduci, ed aumenti la tua Fede. Prega se puoi anche per il tuo blogger scribacchiante.
tuo aff.mo francesco

C'ERO ANCH'IO A CARDITELLO

Che grande festa! Stamattina a Carditello, località del comune di San Tammaro, sede di uno dei più autentici simboli del Regno del Sud, sembrava veramente sepolto il passato. La Reggia, ritornata oggi ufficialmente nel patrimonio dello Stato, dopo un periodo buio fatto di abbandono, degrado, vandalismo era la vera protagonista. La Sga, società strumentale del Ministero da qualche giorno aveva incamerato la Reggia e, giovedì mattina, firmato un contratto preliminare per cedere la dimora settecentesca al ministero dei Beni culturali e del Turismo, e tutti oggi volevano fotografarla, vederla, vistarla, ammirarla.
La Reale Tenuta di Carditello, progettata dall'architetto Francesco Collecini, allievo e collaboratore di Luigi Vanvitelli, nelle intenzioni di chi l’ha voluta, ospitava una dinamica azienda agricola, ben progettata nelle infrastrutture edili e ben organizzata negli allevamenti di pregiate razze equine, nella produzione e commercializzazione dei prodotti agricoli e caseari. E’ un complesso architettonico sobrio ed elegante di stile neoclassico, destinato da Carlo di Borbone a luogo per la caccia e l'allevamento di cavalli e poi trasformato per volontà di Ferdinando IV di Borbone in una fattoria modello per la coltivazione del grano e l'allevamento di razze pregiate di cavalli e bovini. Era immersa in una vasta tenuta ricca di boschi, pascoli e terreni seminativi, e si estendeva su di una superficie di 6.305 moggia capuane, corrispondenti a circa 2.100 ettari. Carditello era uno dei siti reali che si fregiava del titolo di "Reale Delizia" perché, nonostante la sua funzione di azienda, offriva una piacevole permanenza al re e alla sua corte per le particolari battute di caccia che i numerosi boschi ricchi di selvaggina permettevano. Quando ci passò Wolfgang Goethe restò incantato spiegando che bisognava andare di lì «per comprendere cosa vuol dire vegetazione e perché si coltiva la terra. (...) La regione è totalmente piana e la campagna intensamente e diligentemente coltivata come l’aiuola di un giardino».
Stamattina la musica, logica (quasi ovvia) cornice di un giorno festivo, si avvertiva da lontano: quella popolare delle tammurriate e delle pizziche , e quella più moderna, pop e jazz, suonata con soli strumenti acustici (fiati e percussioni). Associazioni varie di valorizzazione del territorio, di volontariato, formazioni politiche, istituzioni, tutti volevano essere presenti al “grande giorno”. Nutrito anche il “parterre”: migliaia di donne e uomini comuni, felici e soddisfatti per il traguardo raggiunto, sindaci di ognuno dei comuni del comprensorio, il presidente della Provincia, assessori provinciali e regionali, e poi la grande vedette, il vero protagonista, il Ministro dei Beni Culturali Massimo Bray, a cui va senz’altro ascritto il merito di aver compreso l’importanza del salvare dal degrado il gioiello di architettura; la sensibilità che ha dimostrata può veramente essere premonitrice del cambiamento in atto e della positività del momento che, voglio sperare, si protragga nel tempo.
Un sole tiepido,da fine inverno, riscaldava appena appena l’aria, e nell’atmosfera che si era andata a creare, quasi ci si dimenticava di essere nel pieno centro di quella che, a volte con poco rispetto, da qualche mese va sotto il nome di “terra dei fuochi”. Sembrava che quella campagna fosse tornata ad essere percorsa solo da schiere di operosi contadini, consapevoli del proprio ruolo e della propria importanza sociale, e non da biechi affaristi senza scrupoli, collusi alla politica ed alla camorra, colpevoli di aver ridotto a pattumiera la terra più bella e più fertile di tutta l’Italia. C’ero anch’io, in rappresentanza dell’Ordine Professionale a cui appartengo, ed in qualità professionista impegnato nel sistema agricolo, ma anche e soprattutto per manifestare la soddisfazione mia personale nel veder risorgere una delle vestigia più luminose di quello che fu il “Regno del Sud”. In mezzo a tanta gioia l’amarezza per la scomparsa di Tommaso Cestrone, il volontario della protezione civile che aveva dedicato la vita, negli ultimi anni, a proteggere ciò che restava della Reggia, scomparso la notte dello scorso 25 dicembre, pochi giorni prima che finisse l’incubo.