Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

giovedì 30 aprile 2015

PRIMO MAGGIO A FRADEJANNE

E’ una tradizione antica quella di salire alla piccola chiesetta di Santa Maria a Fradejanne, per il nostro dialetto “’ncoppa ‘a Maronna a Fradjanne”. Fino a qualche decennio fa la ricorrenza cadeva l’otto di maggio, giorno sacro alla Vergine, in cui tra l’altro si recita anche la “supplica”; dagli anni ottanta in poi il giorno è stato anticipato ad oggi, primo dello stesso mese, concomitante con la “festa del lavoro”,forse per favorire una più larga partecipazione. E’ un evento che coinvolge molti fedeli e pellegrini, provenienti da Pietramelara, Riardo, Roccaromana, Rocchetta e Croce, Formicola e Giano Vetusto. Uno o più sacerdoti celebrano la messa, nella chiesetta omonima oppure nell’eremo del San Salvatore situato sull’altro versante a monte del paesino di Croce. Ci si incontra tra amici e tra famiglie e si sale insieme per i sentieri del Monte Maggiore, ricchi di natura e panorami e quasi del tutto privi di pericolo. Per noialtri il programma è abbastanza codificato: si parte dal pianoro delle “fosse della neve”, ci si inerpica per il sentiero, che fa anche da “Via Crucis” fino alla chiesetta di Fradejanne, si ascolta la Santa Messa; chi sale per la prima volta rimane a bocca aperta di fronte al panorama mozzafiato che si gode dal ciglio del profondo strapiombo (vedi foto di copertina); chi vuole poi si inoltra sino al San Salvatore, sito a circa mezz’ora di cammino; al ritorno ci si ferma per il rituale picnic, o per dirla alla pietramelarese per il cosidetto “cummitiegliu” (etimologia: piccolo convito); è tutto un trionfo di frittate agli asparagi, salsicce e salumi vari, formaggi freschi e stagionati, la “pizza ‘e pummarole”, la pizza “cas’ e ove” e tant’altro della nostra gastronomia rurale.
Da parte di chi scrive molti ricordi ( … e ti pareva) di quando, in gioventù, seguivo gli operai forestali della Comunità Montana: insieme a loro abbiamo tracciato e realizzato il sentiero che da “fosse della neve” reca a Fradejanne, evitando di passare per “noccia”, con un notevole risparmio nella percorrenza che si è in tal modo abbreviata di una ventina di minuti
E’ una festa popolare, anche se da qualche anno ha perso un po’ di smalto, le cui origini, si è detto, risalgono a secoli e secoli fa, quando la montagna era popolata da boscaioli, carbonai e, chissà, da qualche banda di briganti: qualcuno che si prendesse cura delle loro povere anime doveva pur esserci; deve risalire a quei tempi, difficilmente databili con precisione, la costruzione delle due chiesette di Fradejanne in agro di Pietramelara, e del San Salvatore che appartiene a Rocchetta e Croce. Probabilmente qualche monaco eremita, Frate Giovanni, divenuto poi nella nostra lingua “Fradjanni” si ritirò in quei luoghi, incominciò a costruire il piccolo tempio e si occupò anche di dipingere l’immagine della Vergine, a dire il vero molto grossolana nel tratto e di scarso pregio artistico, ma ugualmente tanto presente nella memoria collettiva e nelle fede popolare di ognuno di noi.

venerdì 3 aprile 2015

TIPI STRANI

L’universo della mia infanzia, quello che io sono solito definire “prima galassia” (cfr.DUE GALASSIE,30/10/2011 http//scribacchiandoperme.blogspot.it/2011/10/due-galassie.html) , è costellato di personaggi particolari, figure che la memoria conserva, attori di uno spettacolo vivido e colorito, di cui Pietramelara è stata contemporaneamente palcoscenico e platea. Eccovene un piccolo campionario.
Ero un bambino di pochi anni, eppure la sua figura mi è rimasta impressa: si chiamava Ottavio,”Ottaviucciu” per tanti, pare che da giovane avesse fatto il sarto, e che nel suo mestiere avesse portato la fama di sapere il fatto suo, preciso nel tagliare, pronto ad individuare gusti e preferenze dei clienti che si rivolgevano a lui; proveniva da una famiglia benestante, anche se popolare e non borghese; si racconta che la passione non corrisposta per una donna lo avesse fatto precipitare in una profonda depressione, prima, ed in un’alienazione assoluta in seguito; non era pericoloso, e non dava fastidio a nessuno, nel suo continuo vagare, giorno e notte, per le strade del paese parlava in continuazione da solo, in un dialetto stretto e a bassa voce; aveva dei vezzi, tipo quello di non accettare sigarette se non quelle già parzialmente fumate da coloro che gliele offrivano; per qualche intemperanza un giorno fu ricoverato in un ospedale psichiatrico, un “manicomio” come si diceva allora, e non fece più ritorno in paese.
Che dire poi di Alò, donna anziana, sulla settantina, che abitava in via San Pasquale in un basso? … aveva vissuto in America da giovane, e il suo nomignolo era dovuto al tipico saluto americaneggiante che rivolgeva a tutti: “Hello”, in paese poi corrotto in Alò. Portava sempre dei grandi occhiali da sole molto scuri e si dipingeva le labbra con un rossetto di colore rosso vivo, i capelli erano sempre tinti; fumava e molto. Dovevo starle simpatico, perché ricordo bene che incontrandomi, da bambino con i miei, era solita rivolgermi un saluto particolare “Hello Francis”, con la voce roca e profonda, tipica di chi una sigaretta accende e l’altra spegne. La solitudine l’aveva fatta precipitare nell’alcolismo e man mano la spirale in cui era caduta la condusse sino alla morte.
Rivangando ancora nella memoria mi torna alla mente Frantonio (Frate Antonio), monaco questuante del Convento di San Pasquale, che girava chiedendo l’elemosina con una cassettina per le offerte in una mano e un campanello nell’altra;portava una bisaccia a tracolla dalla quale estraeva caramelline alla liquirizia che offriva ai bambini che mettevano una monetina nella cassetta; la cosa era più che notoria a tutti e quelle caramelline, che forse sono ancora in commercio, per tale motivo venivano universalmente chiamate “caramelle ‘e Frantonio”; la sua voce era di tono indefinito e variabile, andava dal basso profondo all’acuto, qualcuno per tale motivo si divertiva a chiamarlo “Frantonio settevucelle”; era originario dell’hinterland napoletano e nessuno sa il motivo per cui prese i voti, rimase presso il nostro convento per due o tre decenni ma poi, verso la metà degli anni 70 lo lasciò.
Storie tristi di amori delusi, di solitudine, di alienazione; anime perse che nella loro umiltà qualcosa l’avranno sicuramente lasciato se, a distanza di un cinquantennio qualcuno ancora parla e scribacchia di loro, come di tanti altri personaggi ancora, nel mio “Mondo Piccolo”, per tanti versi rassomigliante a quello di Giovannino Guareschi: “piccolo” proprio perché fatto non di grandi imprese e di uomini illustri, ma delle vicende di persone comuni e umili di un paese di campagna, tra le quali anche coloro che occupano posizioni più importanti nella gerarchia del mondo del paese, restano comunque piccoli, cioè umili e semplici come tutti gli altri abitanti, senza differenza alcuna con i tipi strani di cui vi ho parlato.