Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

martedì 28 novembre 2017

A CHI VA LA MAGLIA NERA?

C’ho provato anch’io…si, a leggere e documentarmi un po’ sul web, intorno a questo ultimo posto in classifica che la nostra Provincia ha beccato: ho visto gli indicatori presi in esame, ho cercato di ragionarci sopra, ho confrontato la nostra realtà con quella delle provincie confinanti e quelle più lontane… ma c’è tanto da scandalizzarsi, tanto da scrivere e riempire le colonne dei vari media? E’ così grande la sorpresa? Penso proprio di no! Il degrado oggettivo fotografato dall’autorevole quotidiano che da ben 28 anni stila la classifica, lo conoscevo bene io, così come lo conosceva ognuno che per motivi vari di lavoro, di studio, di affari gira le nostre zone.
Gestione fallimentare del ciclo rifiuti, servizi inesistenti o quasi, diritto allo studio e allo sport di fatto negato alle giovani generazioni, occasioni di lavoro sempre più rare, sistema economico precario, insieme a tant’altro sono le componenti arcinote del risultato negativissimo sortito dalla nostra provincia, un tempo “Terra di lavoro” e ancor prima “Campania Felix”.
Tuttavia penso che una cosa non sia stata detta con la sufficiente chiarezza: la maglia nera non va al territorio, che ci riserva ancora spazi di incredibile suggestione e monumenti che hanno sfidato i millenni, la maglia nera va alla nostra classe dirigente, incapace oggi come ieri di decisioni impopolari e priva di capacità progettuale, va a noialtri, che nel segreto della cabina elettorale finiamo per votare sempre la stessa categoria di persone, indipendentemente dallo schieramento. L’ente provinciale, ormai di fatto sciolto, e la regione, hanno avuto, infatti, alternanze al potere, ma sia con la destra che con la sinistra il risultato è stato sempre lo stesso, ed ugualmente disastroso.
E si badi bene: neppure noi dell’entroterra ci salviamo, anzi certi malcostumi che hanno preso origine altrove nel passato, oggi sono presenti nell’alto casertano, più e meglio che nelle zone di origine; basta aprire un giornale e la cronaca, anche quella locale, ne è piena.
Possiamo ancora svegliarci, abbiamo ancora possibilità di risalire la china, almeno di qualche posizione? Sinceramente non saprei…

venerdì 10 novembre 2017

FRATE ANSELMO

Il 7 ottobre del 1571, giorno della battaglia di Lepanto (una città greca posta all’imboccatura del golfo di Corinto), è una data molto importante perché segnò la fine dello strapotere dell’Impero Turco nelle acque del Mediterraneo, si fronteggiarono due grandi flotte: la Lega Santa e i Turchi, composte da centinaia di navi. La cosa si risolse in una grande disfatta dei turchi, che persero quasi tutte le navi e circa 35.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri. Da quella data in genere gli storici fanno partire il definitivo tramonto della potenza turca, nonché l’espansione della civiltà occidentale.
Pochi sanno, tuttavia, che a tale battaglia prese parte attiva anche un nostro concittadino, un monaco cappuccino di nome Frate Anselmo da Pietramelara, partito con un gruppo di confratelli dal Convento di Paliano (FR) al seguito di Marcantonio Colonna. Nella battaglia il nostro si distinse nell’uso delle armi più che nei pii uffici per il quale era stato imbarcato. Insieme ad altri monaci doveva infatti, a bordo di quelle navi, amministrare i sacramenti ai marinai, rimettere i loro peccati e, se del caso, anche combattere. Narrano le cronache dell’epoca: “Il qual caso come parve al padre Anselmo da Pietramelara che fosse venuto, perchè dopo molta uccisione di Cristiani la galera sua era piena di nemici, così afferrò con ambe le mani un roncone: e invece d'elmo crinito e di corazza lucente, camuffato di aguzzo cappuccio e di bigio saione, non altro mostrando che il ferro acuto e l’ispida barba, con sì fiero piglio e di tanto furore avventossi contro i nemici, e così grande spavento mise nelle anime loro al solo mostrarsi, che dopo aver cò suoi manrovesci straziato sette turchi , cacciò tutti gli altri in fuga, o spinseli a gettarsi nel mare; senza che nessuno s'ardisse affrontarsi con lui. L' annalista Boverio ne fa sapere che frate Anselmo raccontando il suo fatto in Roma al Papa, il fece sorrider”.
L’episodio fece scalpore, quindi, al punto che anche l’allora Papa Pio V si interessò alla cosa e volle ascoltare divertito dalla stessa bocca di frate Anselmo, il racconto dei fatti. Leggo inoltre da altro contributo rinvenuto sul web “Frate Anselmo di Pietramolara, prefetto dei monaci, che si troverà su una galera di cui si erano impadroniti i turchi, presa una spada con due mani ne distenderà sette, facendo arretrare gli altri. Rimarrà illeso e andando poi a chiedere perdono al papa, sarà confortato sentendosi rispondere di essere “più degno di lode che di dispensa”.
Sono convinto, anche mancando le fonti, che frate Anselmo fosse stato il figlio cadetto di una famiglia nobile, addestrato in gioventù a maneggiare le armi, ma costretto dalla legge del maggiorascato a farsi monaco: una vicenda che richiamerebbe quella di Gertrude, la Monaca di Monza, di manzionana memoria. Un uomo di chiesa combattivo e risoluto nel difendere il proprio mondo, i valori secondo i quali era stato allevato, la sua stessa possibilità di continuare liberamente ad essere monaco. Risolutezza, spirito combattivo, animosità: caratteri da sempre presenti nella nostra comunità, ieri più che attualmente, da prendere ad esempio soprattutto oggi, tempo in cui la globalizzazione del pianeta mina dalle fondamenta l'identità occidentale.


venerdì 3 novembre 2017

CONTRANOMI

I contranomi affibbiati alle persone e alle famiglie costituiscono uno (dei tanti) caratteri distintivi del vivere in paese. E’ sempre un po’ difficile parlarne e scriverne, anche perché, essendone l’uso ancora corrente, si rischia di urtare la suscettibilità di qualcuno; ricordo ancora le polemiche che si levarono quando il carissimo e compianto Don Roberto, una trentina d’anni fa, diede alle stampe un calendario parrocchiale che riportava, appunto, un elenco di soprannomi e la loro probabile origine.
Le motivazioni che li hanno determinati sono le più svariate: si va da cose assolutamente innocue ed inoffensive, del tipo mestiere o attività esercitata (ju pittore, ju fattore,ju seggiaru, ju craparu, fuciliere, ecc.), per passare dalla provenienza da altri luoghi (ju ianese, a’ baiarda, a’ riardese), fino ad arrivare ad evidenziare il richiamo di difetti fisici e menomazioni traumatiche (ju zuoppu, ju surdu, manimuzzu), o tratti del carattere particolarmente negativi, uscendo platealmente dalla traccia del “politically correct”.
Molte volte le famiglie si sono trascinati addosso i soprannomi, o contra nomi, per generazioni e generazioni, tanto che è divenuto, a volte, difficile individuare una persona contraddistinta in tal modo, chiamandola con il vero nome e cognome, senza aggiungere quella nota distintiva da tutti conosciuta in paese. Non succede da noi, a Pietramelara, ma in qualche paese dei dintorni, il soprannome è citato persino sugli annunci funebri affissi ai muri, allo scopo di permettere di individuare con maggiore facilità a tutti chi è la persona passata a miglior vita (vedi foto di copertina).
Nel nostro dialetto dare un soprannome ad una persona, corrisponde al verbo “accacciare”, e chi viene “accacciato” in un determinato modo difficilmente può liberarsi da tale carattere distinitivo: c’è chi riesce a scherzarci sopra e chi no. In alcuni casi il contra nome viene anche femminilizzato ed allora la mogli e le figlie di Ju pittore, diventano “’e pitturesse”, così come per le “fatturesse”, le “papesse”...e così via.
Quante volte, nel passato, da giovani, o anche adesso ci siamo ritrovati a sorridere insieme di questo o quell’altro soprannome, a cercare di spiegarcene l’origine, a considerare, infine, quanto ancora sia aderente alla realtà attuale.
Fanno ridere, è vero, e suscitano in genere ironia, ma sono parte imprescindibile della nostra identità; non ci si dovrebbe scandalizzare o arrabbiare, allora sentendosi chiamati con il proprio soprannome, perché esso dovrebbe farci sentire integrati in un tessuto sociale di tipo rurale, nel quale l’ipocrisia, le metafore e il “dire per non dire” non sono mai esistiti! Ad esempio, nel tempo remoto in cui si sono generati alcuni contra nomi, nessuno mai si sarebbe sognato di definire uno zoppo “diversamente deambulante”, con il rischio di non essere compreso da nessuno, bastava ed avanzava quella semplice parolina accoppiata al nome di battesimo, sarà stata anche forte ed offensiva, ma allo stesso tempo scevra da ogni equivoco.