Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

domenica 29 dicembre 2019

SULLA MACCHINA DEL TEMPO

Che cos’è un compagno di scuola? … a volte più di un amico, è una persona con la quale per anni interi sei stato costretto a condividere tempo, emozioni, gioie, a volte tristezza e arrabbiature. Si …ma questo passa in secondo piano, perché il tempo che hai trascorso con lui è stato quello dell’adolescenza e della prima gioventù; è stato il tempo delle dolcissime malinconie, per amori non ricambiati, è stato quello delle sonore e fragorose risate per scherzi, prese in giro, o per l’ironia su questo o quel professore.
Ed allora la bellezza di ritrovare non uno ma una decina di compagni di scuola, in una sera di inverno vicino ad un focolare caldo e rassicurante, è qualcosa che difficilmente la parola o la scrittura potranno rendere. Certo… avrei preferito rincontrarli tutti, o almeno di più, perché chi per pigrizia, ritrosia, affari in corso o obblighi familiari non è potuto esserci, ha veramente buttato al vento un occasione di gioia corale. Stare insieme a voi, carissimi, mi ha fatto davvero salire sulla macchina del tempo, per tornare a quei favolosi anni ’70, vissuti insieme nei banchi di scuola. Li ricordate anche voi vero? … la contestazione post sessantottina, certo ma anche un’intensa voglia di vivere, stare insieme, giocare, divertirsi con poco o nulla.
L’ospitalità calorosa di Gilda ed Ernesto, hanno costituito la proverbiale “ciliegina sulla torta”. Traspariva dai vostri volti l’emozione di rivederci, e devo dire che quest’atmosfera così intensa l’ho respirata a pieni polmoni, per conservarne un po’ e metterla da parte; non si sa mai, le tristezze nella vita sono sempre dietro l’angolo e una piccola riserva di quella materia, preziosa quanto voi, può sempre far comodo. La tecnologia che mancava quarant’anni fa, tramite il nostro gruppo whats app “quelli della maturità 77” ci terrà legati e pertanto non demonizziamola, così come si fa per moda: sarà il nostro filo di Arianna. Essa ci terrà compagnia, ci permetterà di organizzare i prossimi appuntamenti che mi auguro più numerosi ed altrettanto pieni di gioia. Alla prossima, carissimi!
FRANCESCO, BLOGGER E FILOSOFO "DEL PENSIERO DEBOLE"

lunedì 23 dicembre 2019

SAN PASQUALE

Si tratta di uno dei luoghi maggiormente connessi alla pietramelaresità, forse anche perché nelle immediate adiacenze riposano i nostri cari; d’altronde tale legame si rafforza nel periodo natalizio, nella sera della vigilia vi si celebra infatti ancora il rito (precristiano) del “fuoco di Natale”. Parlo del Convento di San Pasquale: per iniziare ritengo doverosa una sintetica digressione storica.
L’ordine francescano fu portato in Campania verso il 1215 da frate Agostino d'Assisi, discepolo di san Francesco. Nel 1670 la Provincia francescana di Terra di Lavoro era divisa in Osservante e Riformata, e fra queste, si inserì anche la Custodia di San Pietro d'Alcantara. Gli Alcantarini diffusero anche la devozione a San Pasquale; forse è questo il motivo per cui con il tempo l’originaria intitolazione del convento a “San Francesco” (riportata fino all’ottocento in documenti ufficiali) fu sostituita fu sostituita con quella a “San Pasquale”.
Nella prima metà dell’ 800 i Frati Alcantarini erano diffusi in più conventi del napoletano e del casertano, ed erano riusciti a scampare alle leggi punitive borboniche e alla soppressione napoleonica, fortuna che non toccò agli agostiniani di S.Maria della Carità, che lasciarono il convento, oggi municipio, nel 1808, in epoca murattiana. Con l’unità d’Italia tuttavia il convento di San Pasquale fu inglobato nel patrimonio del nostro comune. I monaci vi sono comunque rimasti fino ai primi anni ’90 del secolo scorso, quando l’ultimo guardiano, Padre Angelico, perì in seguito ad un incidente stradale. Molte tradizioni legate ad esso sono ormai tramontate: si conserva ancora il pellegrinaggio dei devoti provenienti da S. Elia Fiume Rapido, in occasione della festa si San Pasquale, e il “formaggio dei monaci” preceduto da una benedizione degli animali lattiferi.
L’edificio conventuale annesso all’omonima chiesa sorge intorno ad un significativo chiostro di forma rettangolare, unica la forma a ferro di cavallo degli archetti del chiostro. E’ stato edificato su alcuni speroni calcarei di cui si notano all’interno affioramenti, che si ritrovano nell’attiguo cimitero. I piani sono due: da quello superiore si può accedere alla zona del coro. La chiesa, originariamente doveva essere a navata unica con copertura a capriata visibile, sostituita da una volta a botte, probabilmente nel seicento, furono anche aggiunte allora le cappelle laterali per motivi di consolidamento statico. In testa all’altare una tela cinquecentesca raffigurante San Francesco a colloquio con il Cristo.
Dato lo stretto legame con il popolo, il convento ha vissuto e prosperato della solidarietà e dell’elemosina. Ma anche l’interesse dei cosiddetti signori nei suoi confronti era notevole: a titolo di esempio riporto il decreto borbonico 3975 del 31/04/1857, con il quale si autorizza il vescovo di Teano a esigere i canoni di un “predio rustico” (fondo agricolo) donato da don Biagio Rinaldi al convento, con atto del notaio Del Mastro in Pietramelara, obbligando i frati a utilizzare tali risorse secondo le regole dettate dal donante.
Molti monaci illustri e con fama di santità hanno dimorato nel convento: cito Padre Sempliciano della Natività, al secolo Aniello Francesco Saverio Maresca, che dal 1853 al 1855, è stato di comunità nel convento di San Francesco a Pietramelara, con grande fama di predicatore, dovette allontanarsene per motivi di salute.

martedì 17 dicembre 2019

QUALITÀ' DELLA VITA:OTTIMISMO GIUSTIFICATO?

Causa un certo disagio, diciamoci la verità, il vivere in una provincia che sistematicamente si pone agli ultimi posti nella ormai consueta classifica basata sulla qualità della vita, che “Il Sole 24 ore” redige anno per anno. Questo blog scribacchiato se ne è già occupato circa due anni or sono (cfr. http://scribacchiandoperme.blogspot.com/2017/11/a-chi-va-la-maglia-nera.html) quando addirittura finimmo in coda alla classifica (107simo posto!!!), con un titolo interrogativo ma brutale “A CHI VA LA MAGLIA NERA?”. In quella sede, analizzando sconfortato i dati scrissi che: “la maglia nera non va al territorio, che ci riserva ancora spazi di incredibile suggestione e monumenti che hanno sfidato i millenni, la maglia nera va alla nostra classe dirigente, incapace oggi come ieri di decisioni impopolari e priva di capacità progettuale, va a noialtri, che nel segreto della cabina elettorale finiamo per votare sempre la stessa categoria di persone, indipendentemente dallo schieramento”.
Mi ritrovo oggi a ragionare sui risultati di quest’anno della stessa classifica, e (purtroppo) lo sconforto rimane: 93simo posto. Che dire?... poco o nulla: frotte di giovani che fanno valigia e partono alla ricerca di nuovi orizzonti e migliori fortune, lasciano presagire che di qui a poco il nostro Mezzogiorno d’Italia, inteso come comunità, corre seri pericoli di sopravvivenza. E non mi consola affatto il dato relativo alle altre province campane, che se la cavano peggio di noi: Avellino e Benevento, 94simo e 95simo posto.
Bisogna dire però che, a ben analizzare i dati, uno spiraglio di luce in fondo al tunnel si comincia a scorgere, basta solo vedere l’evoluzione dell’ultimo triennio in costante progresso, nonostante la permanenza nella “zona bassa” della classifica: anno 2017, 107simo posto – anno 2018, 101simo posto– anno 2019 93simo posto. Se poi scendiamo un poco più nel particolare approfondendo l’analisi, emergono ulteriori dati interessanti: la Provincia di Caserta guadagna un inaspettato 11simo posto per quanto attiene l’aspetto “Demografia e Società”, e all’interno di essa mi compiaccio per un lusinghiero quarto posto per il tasso di natalità, che in qualche modo contempera il temibile fenomeno dell’emigrazione giovanile di cui sopra.
Nonostante il “cautissimo” ottimismo… certo le preoccupazioni permangono, se diamo uno sguardo all’aspetto “Ricchezza e consumi” (101simo posto), oppure ancora a quello “Ambiente e servizi” (99simo posto). Ed allora lo stato della sanità pubblica, quello dell’inquinamento, e la raccolta dei rifiuti urbani vanno senza dubbio migliorati. Uno sforzo ulteriore da parte della politica in tal senso dovrebbe tendere a innalzare la quota della raccolta differenziata (69simo posto) e far in modo che migliorando la qualità dei servizi sanitari venga contrastata la tristissima “Emigrazione ospedaliera” (80simo posto).
Milano è Milano!... e chi può paragonarvisi? Il suo primo posto forse è pienamente meritato: prima in “Affari e Lavoro”, seconda in “Ricchezza e consumi“, terza in “Cultura e tempo libero”, ma quel 107simo posto in “Giustizia e sicurezza” lascia interdetti anche noi che, nella zona più bassa della classifica, ci poniamo in posizione molto migliore per tale aspetto (82simo posto).





domenica 15 dicembre 2019

LA CHIESA DELL'ANNUNZIATA

A conferma della sua importanza artistica è stata dichiarata monumento nazionale. Parlo della Chiesa dell’Annunziata, fondata nel 1497 circa, da Faustina Colonna, con la funzione di “cappella palatina” del maestoso palazzo ducale che sorge nelle vicinanze ed a cui era collegata tramite i “giardini del Pomaro” (di cui si conserva ancora il nucleo). Rinnovata nell’interno e ornata di stucchi e altari marmorei nel sec. XVII, vanta una preziosa pala d'altare raffigurante l'Annunciazione e presenta, a rivestimento della cupola absidale, affreschi raffiguranti i quattro Profeti Maggiori, che sono stati attribuiti alla scuola del Giorgione (attribuzione dubbia). La presenza di tale lavoro, di scuola veneta, del cinquecento testimonia gli importanti legami commerciali che Pietramelara svolgeva con le importanti corti rinascimentali del Nord Italia.
La testimonianza storica più preziosa e dettagliata relativa a tale edificio di culto la ritroviamo in una lettera scritta nel 1922 da Giulio Marcello, Priore p.t. della “Congregazione delli Fratelli della SSma Annunziata della Terra di Pietramellara schiavi del SS Sacramento” ed indirizzata al parroco del tempo Don Giambattista Lambiase. In tale lettera che ha la forma di sintesi di uno studio all’uopo condotto, ed il cui stile tradisce un certo attrito tra mittente e destinatario, forse a causa di una disputa legale, si comunica che una volta succeduto alla Colonna, nel Feudo, Don Paolo Mendoza, costui istituì detta congregazione. Le regole furono sottoscritte dagli adepti il 16 aprile 1619 e nel 1638 il Papa Urbano VIII la riconobbe ufficialmente con propria bolla. Passato il feudo di Pietramelara alla Famiglia Giovino, la cappella dell’Annunziata fu ceduta dal patrimonio feudale alla congregazione, che ne mantenne la proprietà fino al 1823. In tale anno il Municipio di Pietramelara, non disponendo di risorse per costruire un cimitero, chiese alla congregazione, ed ottenne, il permesso di seppellire i morti nella Chiesa dell’Annunziata, offrendo in cambio la possibilità di officiare nella Chiesa di Sant’Agostino, divenuta ai primi del ‘800, per effetto delle leggi napoleoniche, di proprietà comunale.
L’impianto architettonico dell’edificio è a tre navate: in esse vi sono tre cappelle per lato. Il bellissimo altare in onice e alabastro (si vuole estratti nel Montemaggiore) fu fortemente rimaneggiato nei primi anni ‘60 da Don Roberto Mitrano, parroco, per adeguarlo ai dettami del Concilio Ecumenico: fu eliminata la balaustra originaria e furono delocalizzate le porte laterali; in quegli anni fu altresì costruita la torre campanaria, a sinistra della Chiesa.
La storia recente della chiesa si fonde con quella di Don Roberto, per un cinquantennio parroco: furono anni di grande fermento giovanile, che si venne a coagulare intorno ad essa: le attività di animazione di quel tempo segnavano successi partecipativi di grande rilevanza, in una Pietramelara distante dall’attuale, perché connotata da un fortissimo “comune sentire”. Il Mitrano in altre parole intuì che la contestazione giovanile di quegli anni andava interpretata e (in qualche modo) gestita, facilitato nel suo intento da un tessuto rurale ancora estremamente sensibile a certi valori, anche nei più giovani ed arrabbiati.

mercoledì 27 novembre 2019

UNA COLATA DI CEMENTO SUL BORGO

La celebrazione dell’edizione 2019 di “Cantine al Borgo”, travagliata dalla vicenda dell’esposto, ed inoltre mortificata dal tempo inclemente delle ultime settimane (sigh!), non ha reso giustizia agli ottimi componenti dell’Associazione “I giovani crescono”.
Solo ieri si è appreso di un cospicuo finanziamento POC destinato al nostro Comune, per iniziative nel campo della cultura, di cui non possiamo che rallegrarci. Ma… cosa lega l’una e l’altra cosa? Qual è il nesso?
Cantine al Borgo, l’ormai ultra quarantennale Sagra al Borgo, Magie del Borgo (finanziata con un precedente POC), sono eventi che già nella denominazione richiamano l’ elemento fisico urbano, a cui ogni cittadino è legato. La bellezza e la suggestione del millenario borgo di Pietramelara è fatto ormai notorio e condiviso, sul quale anche questo blog scribacchiato più e più volte si è soffermato; esso si contraddistingue come strumento di marketing di indubbia efficacia per gli organizzatori degli eventi, che tengono ben presente la cosa. Al di là, tuttavia, dei minimi benefici all’economia che producono, non sembra che essi, in tanto tempo, abbiano inciso più di tanto sulle sorti di questa parte del paese amata da chiunque: basta fare un giro da quelle parti per rendersene conto! Degrado e abbandono la fanno da padrone soprattutto in alcune zone.
Le iniziative (di per sé lodevoli) servono a ben poco, se fine a sé stesse. Bisogna invertire l’ottica e la strategia di intervento: affannarsi a cercare di valorizzare e rivitalizzare un borgo in agonia mediante gli eventi, in altre parole, lascia il tempo che trova.
Sinora qualche intervento strutturale è stato realizzato,e finanziato con sostanziose risorse di origine comunitaria, ma il limite di esso è dimostrato in modo inequivocabile dal fatto che si è potuto intervenire solo sulla parte pubblica (vicoli, piazzette, spazi comuni) senza poter incidere sulla parte più malata, quella di proprietà privata. Allora, anche nella situazione finanziaria difficile in cui si dibatte il nostro comune, bisogna agire con più coraggio, altrimenti nel futuro i costi (finanziari, economici e sociali) che si dovranno sostenere saranno ben più ingenti. Si parta dai dintorni della Torre e dell’Asilo San Rocco, imponendo alle ditte proprietarie di mettere in sicurezza gli immobili posseduti entro un ragionevole termine, trascorso il quale li si acquisisca al patrimonio, con espropri o accordi bonari (senza indennizzi). Tale misura finora non è stata attuata per timore di rendere impopolare l’amministrazione, tuttavia penso che ultimamente, anche a sentire la gente, la mentalità si è evoluta: il tempo delle pretese assurde è tramontato, anche perché ci si rende conto che se una bella casa con giardino nella parte bassa del paese è difficile da vendere, attribuire un valore a un rudere sito da quelle parti è cosa ben più ardua, se non impossibile. Una volta acquisiti gli immobili sarà possibile intervenire con progetti organici.
Mi sembra di sentire ancora dalla viva voce di un amministratore del passato prossimo: “sul borgo ci farei una bella colata di cemento”: si tratta di una posizione paradossale e discutibile, certo, ma senz’altro netta e coraggiosa!
La vera sfida degli anni a venire consiste nel passare dal vedere il Borgo come problema, a vederlo come opportunità e risorsa di sviluppo.

sabato 16 novembre 2019

IL GIORNO DELL'ECOMOSTRO


La giornata di oggi 16 novembre 2019 è da definire senz’altro “storica”, anche se in negativo, perché i rischi che si sono corsi sono stati veramente ingenti! Allagamenti dell’intero abitato (o quasi) non se ne vedevano da circa un quarantennio; d'altronde i pantani non si allagavano forse anche da più tempo. Piogge intense e continue da circa una settimana hanno finito per esaurire del tutto la capacità del suolo di trattenere le acque, la rete drenante lasciata a se stessa non ha funzionato alla meglio, e il risultato lo potete vedere comodamente consultando i social.
Ciò che mi sovviene, tuttavia, è che in tutti questi anni effettivamente qualcosa è stato fatto, sono stati spesi 3 o 4 milioni di euro, se la memoria è ancora salda, per realizzare un’opera che, come si vede, al primo episodio in cui poteva dimostrare la sua validità, si è dimostrata inutile, mal funzionante oltre che impattante sul paesaggio nonché foriera di pericoli. Non è “senno di poi” il mio: al proposito vorrei riportarvi alcuni passi dell’intervento che il sottoscritto tenne in consiglio comunale nel lontano 22 aprile 2010:
“E’ una storia che parte da lontano quella dei lavori di riassetto idrogeologico per la fascia pedemontana del Monte Maggiore. La Delibera CIPE, la concessione del finanziamento, l’inizio e la lunga sospensione dei lavori hanno portato via circa anni. Anni che sarebbero dovuti servire a capire, ad ideare qualcosa di veramente utile per Pietramelara e la comunità che la abita. A ben vedere, dopo tanto tempo, niente di tutto questo. Chi mastica almeno un poco di queste cose conosce come la progettazione delle opere di questo tipo presupponga una diffusa conoscenza del territorio, delle criticità che lo caratterizzano e dei pericoli ai quali può essere esposta una comunità rurale a causa di esse. (…) Ma vuoi vedere (…) che la progettazione è solo frutto di un lavoro meramente teorico, come si suol dire fatto “a tavolino”? Se la mettiamo così non ci meraviglierà più affatto, ad esempio che qualche parametro idraulico sia stato calcolato riferendosi ai bacini della Basilicata che sfociano nel Mare Ionio (sono espressioni desunte dalla relazione idraulica)? Non sarà più un mistero per noi il fatto che la pendice Nord del Monte Maggiore, interamente ricoperta da vegetazione forestale, sia stata trattata alla stregua di un semplice piano inclinato, non riscontrando in alcun passaggio della relazione il ruolo delle coperture vegetali nel mitigare i dissesti e gli eventi pluviometrici estremi.
Questa progettazione raffazzonata, frettolosa rafforza in noi la convinzione di un progetto redatto al solo scopo di mettere le mani su un finanziamento altrimenti non disponibile, e si fa sempre più forte il nostro timore che il progetto di cui si propone stasera l’approvazione in Consiglio, una volta realizzato sarà l’ennesima opera inutile, se non dannosa. (…)”

Che volete?... il sindaco di allora Leonardo liquidò il tutto con un commento da lasciare impietriti “sei il solito contrario per sistema a qualsiasi opera pubblica”. Per me, invece, l’equilibrio idrogeologico del territorio è un fattore di sicurezza di primaria importanza, da non sottomettere alla smania di appaltare un opera che, mai come oggi, si è meritata il nome che le affibbiammo “ecomostro”. A voi commenti e conclusioni.

sabato 26 ottobre 2019

I RETROSCENA DI UN INCONTRO

26 ottobre del 1860...già, fu questo il giorno: esattamente 159 anni or sono, Giuseppe Garibaldi, che aveva sostanzialmente ultimato la conquista del Regno delle Due Sicilie, incontrò nei pressi di Teano il monarca sabaudo Vittorio Emanuele II, il quale avendo già occupato i territori pontifici nelle Marche ed in Umbria si affrettò a dirigersi verso sud. La disputa annosa, ed a tratti ridicola, fra i comuni di Vairano e Teano sul luogo esatto dell’incontro, non mi interessa più di tanto, così (come penso) ai miei “quattro lettori” .
Lo scopo del re era molto preciso e doveva essere conseguito celermente: evitare che Garibaldi e le camicie rosse si spingessero fino a Roma. Fu così che Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II s’incontrarono.
Il sovrano grazie ai servigi ed alle armi dei garibaldini, ma soprattutto grazie alle speranze del popolo meridionale (destinate a rimanere deluse) riuscì ad inglobare tra i possedimenti della sua corona lo stato borbonico; il condottiero nizzardo dopo aver consegnato al re l’autorità sulle regioni meridionali, ottenne che i suoi uomini entrassero nell’esercito regolare sardo conservando il medesimo grado che avevano ottenuto durante la spedizione nel Mezzogiorno d’Italia – promessa che, per inciso, non fu poi mantenuta dal monarca.
L’incontro contrariamente a più di un secolo di storiografia ufficiale, non si svolse in modo affatto idilliaco; si chiudeva così una guerra politica persa da Garibaldi, democratici e rivoluzionari e vinta da Cavour, monarchici e moderati: prova ne sia che il 6 novembre successivo Garibaldi schierò 14.000 uomini, 39 artiglierie e 300 cavalieri davanti alla Reggia di Caserta, attendendo invano che il Re li passasse in rassegna, ma costui aveva fretta e preferì entrare a Napoli da trionfatore; sdegnato e deluso Garibaldi, com’è noto, si ritirò a Caprera
Da quel 26 ottobre di 159 anni fa le sorti della penisola non furono più le stesse. Dal momento in cui Garibaldi strappò il Mezzogiorno d’Italia ai Borbone, nel consegnarlo a Vittorio Emanuele II, diede iniziò alla storia di un nuovo paese. Un’Italia che da lì a poco sarebbe divenuta certamente unitaria, ma che avrebbe avuto dei mali endemici. Divisioni e disomogeneità, oggi come allora, la caratterizzarono. Le condizioni misere delle classi più povere peggiorarono ulteriormente, la borghesia, i cosiddetti “galantuomini”, fece affari d’oro acquistando a “prezzi stracciati” i latifondi ecclesiastici ed ex demaniali messi all’asta; lo stesso Garibaldi, deluso e amareggiato nel 1880, due anni prima della sua morte arrivò a scrivere “Tutt’altra Italia sognavo, non questa miserabile all’interno e umiliata all’estero e in preda alla parte peggiore della nazione”.
Il continuo di questa storia va sotto il nome di brigantaggio, emigrazione, sottosviluppo e “questione meridionale”, ancora aperta oggi, dopo più di un secolo e mezzo.

mercoledì 9 ottobre 2019

SVEGLIA, RAGAZZI

La notizia di oggi più battuta sui social locali è sicuramente l’annullamento o, chissà, il differimento dell’evento “Cantine al Borgo 2019-VI edizione” previsto per i giorni che vanno dal 13 al 15 ottobre. Cos’è successo?... niente di nuovo o di inaspettato, forse: un cittadino residente sul borgo, evidentemente infastidito della calca e dell’inusuale flusso di persone, ha preparato e inviato un dettagliato e puntuale esposto/denuncia al sindaco, ai carabinieri ed altre autorità che hanno giurisdizione sul territorio, che ha sortito l’effetto di far revocare autorizzazioni e permessi già concessi.
Che dire? Dispiacere, rincrescimento, senso di solidarietà con i ragazzi dell’Associazione “I giovani crescono”, che da anni porta avanti in modo egregio l’evento.
Va detto a chi di dovere che nel tempo si è consolidato un vero e proprio “interesse legittimo” del popolo di Pietramelara alla celebrazione di eventi che abbiano come contenitore il nostro borgo medioevale, luogo di rara suggestione e bellezza. Proprio così!... il borgo e il centro storico sono quartieri agonizzanti dal punto di vista urbanistico, il loro abbandono e degrado, appena percettibile fino a vent’anni or sono, si fa di giorno in giorno più acuto e dolente; organizzare eventi in quel luogo significa tenerlo in vita, risollevarlo, far intravedere a qualcuno l’opportunità di farvi impresa, in definitiva dargli un’ulteriore chance.
Dove e in chi individuare la responsabilità dell’accaduto? …mmh, e qui il gioco si complica. Nell’estensore dell’esposto?... non direi, se quanto asserito sembra essere reale e constatabile da chiunque. Ed allora? Nel Sindaco e nell’Amministrazione? … e perché, se non hanno fatto ne più e ne meno di coloro che li hanno preceduti?
La responsabilità vera, a parere di chi scrive, risiede in ognuno di noi che ha forse definitivamente disconosciuto ogni interesse nei confronti di quelle pietre, di quei paraggi in cui il valore della “pietramelaresità” è nato e preso corpo. Se si continua ormai, da decenni e decenni, a voler fare gestire il paese a uomini e gruppi che considerano il borgo solo come un problema e mai come fonte di opportunità di sviluppo, la responsabilità del corpo elettorale, anche in questo frangente, emerge con ogni evidenza.
E’ tempo, ragazzi, di drizzare la schiena se si vuole che episodi come questi non si ripetano: svegliatevi, assumetevi delle responsabilità, emergete dalla penombra, una svolta e un cambio netto di rotta è oggi più che mai inderogabile: il tempo dei “gattopardi” è tramontato!

lunedì 7 ottobre 2019

LA PRO LOCO NON RIPOSA

Anche quando non si celebrano eventi di forte rilevanza mediatica, come la Sagra al Borgo o -che so- il Carnevale Pietramelarese, la nostra Pro Loco non dorme affatto!
Le attività della nostra associazione a volte sono un po' più silenti ma non per questo meno importanti: negli ultimi due fine settimana siamo stati impegnati in due iniziative condotte in partenariato con la Pro Loco di Roccaromana, animata da giovani e di forte impegno e professionalità. In particolare domenica 29 settembre abbiamo partecipato al “Cammino Francigeno” da Roccaromana alla Grotta di San Michele Arcangelo, sita in Liberi, e ieri 6 ottobre l’accompagnamento dei docenti partecipanti al Progetto Erasmus Intercultura che ha coinvolto il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Vairano e il Liceo di Gornij Milanovac, città della Serbia a 125 km da Belgrado.
Nella scorsa domenica 29 settembre di primo mattino, l’inizio del cammino verso la Grotta, testimone di culti risalenti ai Longobardi che per lungo tempo dominarono in queste terre, insieme a numerosissimi Roccaromanesi e un nutrito gruppo di partecipanti al cammino di Pietramelara; alle undici circa l’arrivo e la visita alla grotta, con le sue suggestioni, leggende e tradizioni. Si tratta di un antro molto ampio, di origine carsica dal cui soffitto pendono stalattiti che, a volte, assumono forme particolari, come nel caso della “Mammella delle Sterili”(I foto di copertina) formazione calcarea a forma di abbondante seno femminile, metafora di fertilità, che per la tradizione deve essere baciato da una donna che desidera una gravidanza, senza toccarlo con la punta del naso.
Ieri, 6 ottobre invece, altra animazione culturale di rilievo, in grado, a parere di chi scrive, di ampliare la conoscenza del nostro patrimonio ambientale e monumentale. La Prof. Pina Pucci, con i nostri conterranei proff. Pasqualino Masiello e Anna Zeppetella del Liceo di Vairano, insieme alle prof. Marija Veljic (docente di italiano) e Olivera Stefanovic (docente di francese) del liceo serbo (II foto di copertina), sono state condotte nella mattinata, al Palazzo Ducale e tra gli angiporti e le viuzze del borgo medioevale di Pietramelara, e nel pomeriggio, all’antica Torre Normanna di Roccaromana. Le nostre Pro Loco, nelle persone del sottoscritto, di Antimo De Cesare, Carmelo Mitrano e di Antonio Marcello per Roccaromana, hanno descritto il territorio, la sua importanza nella storia, le direttrici di sviluppo.
I monumenti, il paesaggio e le secolari tradizioni, rappresentano la risorsa più importante su cui far leva per uno sviluppo sostenibile del nostro territorio, in grado di offrire opportunità di rimanere a vivere nella propria terra, alle giovani generazioni.

venerdì 27 settembre 2019

UN OBBLIGATORIO PARADIGMA

Organizzata dal movimento Fridays For Future, la protesta 'green' Climate Action Week, era in programma dal 20 al 27 settembre 2019: oggi il giorno culmine. Sono 150 i Paesi di tutto il mondo che hanno scelto di aderire alla settimana per la lotta ai cambiamenti climatici , iniziata con la grande marcia a New York guidata della giovane attivista svedese Greta Thunberg e conclusa oggi, venerdì 27, appunto, con il terzo Sciopero Globale per il clima.
L’aspetto mediatico più evidente è il successo riscosso da questa giovane, ma cosa c’è dietro?
Com'è possibile che questa ragazza sia stata chiamata a parlare di fronte a esperti venuti da ogni parte del mondo?
Da tempo, i media svedesi stanno evidenziando vari lati poco edificanti della vicenda. In particolare, molti hanno sottolineato come dietro alla ragazza vi sia un discusso personaggio, tale Ingmar Rentzhog e, per giunta, è assurdo che si sia fatta di costei una sorta di rock-star presente a ogni consesso internazionale!
Greta a parte, e premesso quanto sopra, vi è da dire però che gli effetti di una situazione di squilibrio climatico, con un surriscaldamento planetario, sono sotto gli occhi di chiunque.
Autorevoli Enti governativi come il NOAA (U.S. National Oceanic and Atmospheric Administration) e il Goddard Institute for Space Studies (NASA), da tempo raccolgono dati relativi alla temperatura sulla superficie della Terra (oceani e terraferma), un lavoro veramente imponente: le misurazioni sono effettuate da qualcosa come 6.300 stazioni di ricerca sparse in tutto il Pianeta.
L'analisi più recente mostra senza possibilità di errore che il 2018 è stato il quarto anno più caldo mai registrato (il più caldo dal 1880 è stato il 2016), e che il mese di aprile 2019 è risultato, a livello globale, il "secondo aprile" più caldo di sempre.
Non c'è, insomma, alcun dubbio: la Terra si sta scaldando, e il ruolo delle attività umane (in sintesi: le emissioni di gas serra) nell'incremento e nell'accelerazione del fenomeno non può più essere messo in discussione ma… quali sono gli conseguenze per il futuro?
Impatto sul ciclo dell’acqua e quindi sulla disponibilità delle risorse idriche, se le attuali tendenze dovessero perdurare assisteremmo a una maggiore disponibilità di acqua nelle zone dove le risorse idriche sono già abbondanti, e ad una minore disponibilità di acqua nelle aree già affette dalla scarsità (Africa e Asia).
Deterioramento della qualità del suolo, effetto che a sua volta si ripercuoterà su sull’agricoltura. Questo impatto sull’agricoltura potrebbe portare a una ridotta disponibilità di cibo nei Paesi già a rischio denutrizione.
A causa dell’innalzamento del livello del mare molte zone costiere sono soggette a erosione delle coste, fenomeni che mettono a rischio settori economici quali la pesca, l’agricoltura e il turismo.
Aumento della frequenza di inondazioni, alluvioni, ondate di calore, uragani ecc. Questi eventi spesso causa morte e danni economici ingenti.
Gravi conseguenze per la salute umana, come ad esempio la diffusione di malattie infettive (malaria, tenia, febbre gialla, ecc.) in alcune zone, l’aumento dei decessi soprattutto tra la popolazione anziana a causa di ondate di calore o freddo estremo.
Qualcosa deve cambiare, qualche sacrificio in più va fatto, soprattutto nella parte del mondo più economicamente sviluppata, è un paradigma questo a cui, Greta o non Greta, non si sfugge!

domenica 22 settembre 2019

I PATRIARCHI

Non c’è specie coltivata più dell’ulivo che abbia stretto un legame così stretto tra l’uomo, la sua civilizzazione, e la genesi del paesaggio mediterraneo. Così, per quanto mi riguarda, nella mia ormai ultrasessantennale esperienza di uomo, agronomo e zappaterra, non c’è specie coltivata che più delle altre abbia generato in me una passione più profonda nel conoscerla, allevarla, coltivarla, raccoglierne i frutti.
Ancora si trae olio, al Sud, da ulivi, dicono, messi a dimora dai compagni di Ettore che affrontò Achille, di Enea che fondò Roma, di Paride che sedusse Elena e segnò la rovina di Troia.
Pino Aprile, grande scrittore e giornalista impegnato nel riscatto del sud, nel suo best seller “Terroni” dedica un capitolo intero, dal titolo “I Patriarchi”, all’olivo ove racconta il rapporto di convivenza tra i più antichi testimoni del meridione e i suoi abitanti. Questi testimoni sono gli alberi di ulivo che da secoli, se non millenni, accudiscono i popoli che hanno vissuto nel sud Italia. Riporto tale passaggio del libro per chiarire il legame che c’è stato tra i popoli vissuti nel meridione e queste piante speciali.
L’ulivo è pianta domestica: può vivere così a lungo, svilupparsi, dividersi, derivare, rinascere da un pollone e ricominciare, solo se, per tutto il tempo, l’uomo la cura; se pota i rami bastardi e alleggerisce la pianta; le tiene, zappando, sgombro il terreno intorno da essenze infestanti e più aggressive (molte); la libera dal legno morto. Quando ciò non avviene, l’ulivo inselvatichisce, decade e diviene sterile in pochi anni, quasi sempre soffocato dall’avanzata della quercia, che gli toglie terra e sole.
Pensate per un attimo cosa vorrebbe dire se gli esuli troiani, in fuga alla distruzione del loro mondo, si portarono appresso i codici e gli dei, per cementare il patto fra di loro e le piante di ulivo, per stringerne uno con la nuova terra. Il patto era: io ti darò olive per accompagnare il pane, olio per la cucina e la lucerna, legna per il focolare; tu mi darai acqua se piove poco, farai respirare con la zappa le mie radici, toglierai il legno sterile dalle mie spalle.

Ciò premesso, io faccio l’olivicoltore per hobby, per quel poco d’olio e per il piacere di aggirarmi fra quegli alberi che ho piantato, concimato, allevato, potato ma … cosa sarà dei miei ulivi una volta che sarò ritornato alla terra? Continueranno per secoli a produrre, anche quando di me si sarà smarrita anche la memoria, o saranno divorati dall’incuria e dalle spine? Non lo so … a tal proposito comunque, riporto una frase di mio nonno, vecchio contadino, intrisa di saggezza antica: maledetto quell’uomo che pianta solo per se e per il suo tempo, senza pensare ai propri figli e a tutte le generazioni future.

martedì 17 settembre 2019

SESSANTA

Cosa mi rimane dei miei sessant’anni vissuti in un attimo? Per rispondere diciamo che io, blogger scribacchiante, non voglio tediare i miei quattro lettori con un diario ne con un bilancio… soddisfazioni e batoste (che non sono mancate) mi hanno fatto crescere, tenere i piedi saldamente a terra, e rendermi sempre conto, nel bene e nel male, di quello che sono.
Mi piace ricordare di più le cose belle, anche se ad esse è legata la tristezza per volti carissimi che non vedrò più. I miei genitori che mi hanno dato tanto in affetto, valori positivi e risorse materiali per quanto hanno potuto. I miei amici che hanno rallegrato l’infanzia, l’adolescenza e la gioventù; è bello ancor oggi trascorrere delle ore insieme a ricordare e sorridere, magari raggiungere a sessant’anni suonati una delle cime del Monte Maggiore e godere di una vista mozzafiato su un territorio ancora non minato dalle negatività prodotte dagli avidi; pensare adesso a coloro che hanno condiviso con me un pezzo di strada e oggi riposano mi induce ancora una volta, nella mestizia, a ringraziare per il mio stato di salute ancora buono.
La mia Pietramelara, che per quanto cambiata (non in meglio) è sempre un porto in cui sentirsi al sicuro dalle tempeste: ho lottato per essa, avrei voluto offrirle un contributo maggiore ma, tant’è… ch’amm’ a fa!
Il mio lavoro a cui dedico la parte principale della giornata: non è stato semplice ne poco impegnativo ritagliarsi un ruolo, ma posso dire che la stima che avverto è tangibile, e che si prova non poca soddisfazione nel vedere che le iniziative poste in essere frequentemente si traducono in tangibili realtà. I miei hobby: l’orto, l’oliveto, la piccola casa in campagna, fatica non sempre coronata da frutti, ma sicuramente un modo sano e salutare per riconciliarsi con la natura nell'esiguo tempo libero a disposizione, tra l’altro mi danno la possibilità di mettere in pratica ciò che ho studiato; è bello confrontare le proprie esperienze con coloro che condividono questa passione.
E veniamo a loro, alla mia famiglia, stare insieme a loro tre, magari la sera, ti fa sentire appagato di tutto ciò che hai profuso in energie durante la giornata. Considero le mie figlie il dono più bello ed importante che la vita mi ha concesso, e desidero per loro due il futuro a cui ambiscono, e che le ripaghi dei sacrifici che fanno, giorno per giorno.
E’ questo il modo di ringraziarvi, carissimi, per i tantissimi auguri che in questo momento mi raggiungono con ogni mezzo: il piacere di riceverli mi emoziona non poco, anche perché a volte giungono espressioni augurali da parte di persone che sono state oggettivamente trascurate.

venerdì 30 agosto 2019

SANTA ROSA, UNA RICETTA TRAFUGATA

30 agosto, giorno di Santa Rosa, mi va di celebrarlo anche in virtù di qualcosa di molto concreto che però mantiene i tratti della “sacralità partenopea e campana”. Parlo appunto della sfogliatella, variante “Santa Rosa”. Devo dire che la conoscenza e la diffusione non sono elevate, a me però piace moltissimo, confesso questo ricorrente peccato di gola, e nonostante i problemi legati a un fisico “non proprio filiforme”, talvolta mi concedo questo piacere; d’altronde le dimensioni sono sensibilmente maggiori rispetto ad una sfogliatella standard, pertanto è possibile anche dividerla con un’altra persona.
La storia di questa prelibatezza inizia nel XVII secolo, nel Monastero di Santa Rosa da Lima, a Conca dei Marini, in Costiera Amalfitana. Con della semola cotta nel latte, avanzata dal pranzo, la monaca cuoca (ispirata dall'Alto o, con molta più probabilità, dalla necessità di non sprecare nulla) decise di preparare un impasto, aggiungendovi del liquore di limone, frutta secca e zucchero; a parte arricchì l'impasto del pane con del vino bianco e dello strutto, lo lavorò a lungo e creò una sacca a mo' di cappuccio di monaca, in cui inserì il primo composto. Sigillò il tutto o lo mise a cuocere nel forno a legna. Appena assunse la classica colorazione dorata, guarnì il nuovo dolce con un cordone di crema pasticciera e delle amarene candite, come da foto di copertina. Questa prelibatezza assunse il nome di Santa Rosa, in onore della Santa a cui è intitolato il monastero dove fu preparata per la prima volta.
Per quasi un secolo e mezzo, tuttavia, la ricetta rimase gelosamente custodita entro le mura del monastero. Fu solo nei primi anni del XIX secolo che un pasticciere napoletano, Pasquale Pintauro, riuscì ad ottenere (forse da una zia monaca) la ricetta originale che, prontamente, modificò, eliminando le amarene e la crema pasticciera: era nata la variante "riccia" della sfogliatella, nella forma universalmente conosciuta. La grande varietà e fantasia, insieme alla diffusa fama, della pasticceria napoletana è dovuta anche a questi episodi di furbizia, tipici di un popolo che da sempre lotta contro la sorte avversa.
A Conca dei Marini continua a tenersi annualmente una sagra dedicata a questa sfogliatella con la distribuzione di migliaia di questi dolci prodotti da pasticcerie locali. Era poco diffusa dalle nostre parti, fino a qualche anno fa, bisognava spostarsi su Napoli o dintorni per gustarla, oggi al contrario possiamo trovare una Santa Rosa di ottima qualità, negli ingredienti di base e nella fattura, in ogni periodo dell’anno, nelle migliori pasticcerie della zona.

lunedì 26 agosto 2019

L'ODORE DEL BORGO

L’odore del Borgo, di quello con la “B” maiuscola, del mio antico borgo, è quello di pietre semiammuffite, a volte ricoperte da un muschio sottile, a volte affumicate. Sono pietre quelle che ne hanno visto di tutti i colori: guerre e distruzioni, antiche e moderne, terremoti... certo, ma anche occasioni fauste: matrimoni, nascite di bambini, stabilirsi di legami di vicinato. L’odore del borgo proviene da un ragù lasciato su fuoco per ore a consumarsi. Odore di storia, ma anche e soprattutto odore di vita perché, non dimentichiamolo, il nostro è un borgo vivo!
Sono questi gli odori che ho avvertito in questi ultimi, serrati sei/sette giorni. La preparazione della Sagra al Borgo inizia mesi prima della sua effettiva “celebrazione”, e di celebrazione si tratta perché quest’evento ha ormai assunto il tono e la sacralità di un rito, la 47sima edizione si è consumata e definirla “un grande successo” è forse anche un po’ riduttivo. Sei/sette sono stati i giorni cruciali: dalla domenica precedente, con il convegno di presentazione alla stampa, sino al momento conclusivo, ieri notte. In questi giorni gli animi sono stati tesi, ognuno si è indaffarato per portare a compimento il proprio pezzo di sagra: le cucine, la comunicazione, le coreografie e i costumi, la contabilità, i rapporti con le istituzioni. Si è sudato e tanto, si è imprecato, soprattutto si è faticato, ma tutto poi si è dissolto la sera, quando verso la mezzanotte, la pressione degli avventori si è allentata sulle casse e le cucine, e ognuno ha dato libero sfogo al ballo, al canto e all’allegria; chi non ha visto mai la Sagra “dietro le quinte”, chi non ha mai collaborato a questo evento difficilmente comprenderà quella voglia di cantare, stare insieme, prendersi in giro a vicenda.
Non è compito del vostro blogger scribacchiante riportare espressioni a sensazione quali “risultati insperati perfino dagli organizzatori”, “successo senza precedenti”, sarebbe troppo facile e auto laudativo, tuttavia va riconosciuto il giusto merito a chi di dovere: al presidente Francesco Tabacchino, un ragazzo diventato uomo con il piglio dell’imprenditore, che però ha saputo conservare un cuore da fanciullo, ai tantissimi giovani e ragazzi fonte di un’inesauribile energia, ai dirigenti e soci della Pro Loco.
Lo spirito dell’iniziativa, la filosofia di base che ha portato alla progettazione, all’organizzazione e alla tenuta della sagra, è stato reso evidente dalle considerazioni espresse da Giuseppina: “un perfetto mix di innovazione e freschezza senza togliere spazio a radici e tradizioni, che sono la nostra base solidissima. Grandi e ragazzi insieme, con un costante scambio di ruoli. Ebbene, la nostra forza è il senso di appartenenza, quella "pietramelarite acuta" di cui tutti soffriamo, quel sentirci al sicuro, protetti solo tra le pietre del nostro centro storico”.
Perfetto mix che si ritrova nelle proposte di cucina più recenti, come la richiestissima braciola di Elio, o i fagioli “maiulisi” (da montemaiulo, termine dialettale che indica il nostro Monte Maggiore, ndr) di Agnese, ma anche nell’aver dato spazio accanto all’offerta ludica e gaudente, anche a spazi di cultura ed approfondimento, come per l’allestimento museografico della “casa rurale”, a cura di Antimo e Carmelo, oppure nei tre incontri relativi al “Percorso del Gusto”.
Chi opera bene e se ne rende conto non è mai completamente soddisfatto!... pertanto già da adesso si comincerà a pensare alla Sagra al Borgo 2020, facendo leva sui successi e tenendo in massimo conto gli errori che inevitabilmente si sono commessi.

venerdì 16 agosto 2019

PUPARUOLI 'MBUTTITI E CAPPONI CONTRAFFATTI SULLA TAVOLA DI SAN ROCCO

Per chiudere questa serie di pezzi sulla figura di San Rocco “tra il sacro ed il profano”, passo ora ad un aspetto della festa di cui questo blog scribacchiato ancora non si è occupato: la gastronomia tradizionale in questa occasione.
Sono veramente tanti i significati antropologici legati al tradizionale pranzo: su tutti la povertà che un tempo affliggeva la nostra gente, permettendole per un giorno di approfittare della festa per qualcosa di più e di meglio, per riempire la pancia. Dall’indagine conoscitiva, condotta tra chi coltiva la materia, in definitiva due sono i piatti della tradizione: ju puparuolo ‘mbuttito e ju pullastro. Non sono sicuramente le uniche preparazioni, specialmente oggi, ma si tratta senz’altro dei due “must” più frequenti.
Perché essi e non altri piatti ?... beh direi prima di tutto perché disponibili “a buon mercato” presso tutte o quasi le famiglie e, in secondo luogo, la stagionalità. Il puparuolo ‘mbuttitu (e non mbuttunatu, voce usata a Napoli e dintorni e non qua), è una vera genialata: delizioso, leggero se privato della buccia fibrosa, economicissimo, dati gli ingredienti (peperone, capperi, olive, pane raffermo, poco olio); chi fa il giro del paese nella mattinata di oggi, facilmente si imbatte nel suo profumo intenso e persistente, che dal forno della una cucina di una sapiente massaia, varca porte e finestre e si diffonde in strada. E’ opinione concorde e diffusa che la parte più pregiata di esso è il “tappo” di crosta di pane con sottile strato di mollica, destinato a sigillare l’imbottitura; esso si insaporisce a contatto con l’olio di cottura presente nel ruoto, e più e più volte diviene oggetto di “furti con destrezza”, da parte di qualche golosone, che approfitta della distrazione della cuoca per mettere in atto il “piano criminoso”.
Al peperone si accompagna il pollo al forno: si tratta di un volatile maschio, di età non superiore ai sette/otto mesi, sezionato e cotto al forno, anch’esso nel ruoto, oppure “in umido” per preparare contemporaneamente un gustoso sugo, condimento della pasta. Un tempo era diffusa la variante “cappone”, cioè pollo castrato; la crescita veniva incrementata dalla castrazione e le carni del cappone acquistavano maggiore tenerezza e sapidità; allo scopo di permettere di riconoscere i capponi dai polli non castrati, si usava privarli della cresta. A tal proposto si tramanda che qualche contadino, depositario di una furbizia atavica, derivante più da necessità che da disonestà, per riservarsi qualche cappone in più da non dover dividere con il padrone (a prestazione, ndr), castrava si il pollo ma non lo privava della cresta; in tal modo il cappone “mascherato” e così contraffatto, privo del segno di riconoscimento, poteva rimanere di appannaggio esclusivo di chi l’aveva allevato e tranquillamente finire sulla sua mensa per la ricorrenza del Santo protettore.


mercoledì 14 agosto 2019

PONTELANDOLFO E CALSALDUNI: UNA STRAGE CON VALENZA DI ESEMPIO

14 Agosto, antivigilia dell’Assunta, non è un bel giorno e un bel ricordo per gli abitanti di Pontelandolfo e Casalduni, due paesi del Beneventano. Correva l’anno 1861, da poco i garibaldini “portatori di libertà” avevano unificato la penisola sotto la dinastia savoiarda. Ai contadini erano state fatte tante promesse: pacificazione sociale, redistribuzione delle terre, tutte subito sconfessate dai vincitori. Come reazione una lotta prima sottile e quasi invisibile, poi man mano sempre più forte e cruenta,che vide come protagonisti uomini che la propaganda fece passare come “briganti”.
Due interi paesi furono messi “a ferro e fuoco”, le popolazioni decimate dalle fucilazioni, dalle violenze, dagli stupri di ragazze inermi. Era stato deciso, in seguito ad alcune azioni militari dei filo borbonici (chiamiamoli così e non briganti) coronate da pieno successo, di impartire “Un tremendo castigo che sia d’esempio alle altre popolazioni del Sud”, queste le parole di Achille Iacobelli, spia meridionale di Enrico Cialdini, capo della repressione. Niente e nessuno fu risparmiato, persino qualche filo liberale, come i fratelli Rinaldi, che perplessi per quanto stava accadendo chiesero spiegazioni, furono derubati, bendati e fucilati. Una ragazza di sedici anni fu ripetutamente violentata da 10 bersaglieri sotto gli occhi del padre , e poi uccisa; un bambino in fasce fu strappato dalle braccia del padre che cercava di fuggire e colpito. Tanta ferocia, al grido di “piastre, piastre”, i soldati cercavano denaro.
A capo della rappresaglia, 900 soldati in armi, contro contadini, donne e bambini inermi, Pier Eleonoro Negri, vicentino, che fu fatto conte dopo il massacro ,e a cui il Comune di Vicenza continua a tributare onoranze nonostante si sappia dal 2004 che fu lui il responsabile del massacro.
Quante le persone perite? Le cifre oscillano in maniera sensibile, a paragone anche la strage delle Fosse Ardeatine ad opera dei nazisti, osserva Pino Aprile, mantiene paradossalmente maggiore senso umano, costoro infatti “non ebbero il coraggio di distruggere il quartiere. A Pontelandolfo e Casalduni si fece”. La dimostrazione più evidente che la storia viene scritta dai vincitori risiede nel fatto che Kappler, ufficiale nazista, fu condannato all’ergastolo, a Negri vengono ancora riservati onori.
Se è vero che la storia si ripete, come teorizzato da Giambattista Vico, la violenza e la cupidigia dei soldati in cerca di bottino la dicono lunga anche sulla situazione politica che si vive oggi: un Nord assetato di potere, capeggiato da un ducetto quasi del tutto privo di cultura, assenteista ed indulgente nella vicenda dei 49 milioni trafugati dal suo partito, tenta di ricolonizzare un Meridione d’Italia vessato da decenni di malapolitica, offrendo una falsa immagine di compostezza e rigore.

giovedì 8 agosto 2019

STORIA DI UNA PIAZZA

La piazza, quella per antonomasia, piazza San Rocco per intenderci, luogo di scambio, di incontro, di mercato, di tempo libero, da quanto tempo riveste queste sue molteplici funzioni e… quando ha assunto l’aspetto in cui la vediamo? Andiamo con ordine: dai documenti storici che ho potuto consultare direi che, dal momento stesso in cui è iniziata l’espansione urbana “extra moenia” del nostro paese (fine XV secolo), qualcuno dovette pensare ad uno spazio in grado assolvere alle funzioni che ho citato in apertura.
Strana la pianta della nostra piazza, a forma di una L maiuscola coricata (vedi foto di copertina): ritengo che essa sia stata dapprima realizzata nella originaria parte A, evidenziata in rosso (700 mq ca), e dopo ampliata alla parte B (2.700 mq ca), evidenziata in azzurro. Da cosa scaturisce tale impressione? Basta guardare a terra per accorgersi che la pavimentazione in basoli è differente: basalto per quelli della zona A, calcare per la B; se ne deduce che la pavimentazione basaltica sia contemporanea e in continuazione con quella di Via Roma, già Via Palazzo, probabilmente sei/settecentesca.
Cosa dovette indurre l’espansione della piazza? ... e a quando risale? Naturalmente restiamo nel campo delle ipotesi da confermare: ho fatto un giro, guardando a terra i battenti dei portoni e in alto le chiavi di arco, che in genere recano una data, e la ricerca è stata infruttuosa, fatta eccezione per il palazzo che un tempo ospitava la caserma dei Carabinieri, nel cui battente viene riportato l’anno 1892, poco dopo l’unità nazionale. L’esigenza di allargare la piazza dovette nascere da più di un motivo, il crescere del mercato domenicale, il dover accogliere uffici che il nuovo ordine amministrativo post unitario aveva portato in paese, e soprattutto dover destinare nuove aree alla costruzione di palazzi per le famiglie nobili e borghesi che non volevano più dimorare all’interno del borgo. Il terreno espropriato apparteneva alla Famiglia Baronale Sanniti, proprietaria di un vasto appezzamento che si estendeva dai margini dei Giardini Pomaro fino all’attuale piazza; non vi sono evidenze documentali che permettano di accertare l’eventuale demolizione di un palazzo a confine fra le due aree A e B. L’intervenuta esigenza espropriativa da parte del comune, a parere di chi scrive, conferma la datazione post unitaria dell’allargamento, in quanto l’istituto giuridico dell’esproprio non era presente nell’ordinamento borbonico, e solo nel 1854, verso la fine della dinastia, fu varata una proposta in merito, peraltro mai convertita in legge.
Quale la storia “recente” della nostra piazza? L’alberatura originariamente di robinia (robinia pseudoacacia), come da vecchie foto, fu sostituita in epoca fascista con una di leccio (quercus ilex). Il grande pozzo in pietra, veramente monumentale, principale fonte di approvvigionamento idrico per larghe fasce della popolazione, posto nei pressi del Monumento ai Caduti, fu eliminato negli anni ‘50, in concomitanza con l’allacciamento delle nostre case all'acquedotto del Torano. Risale a metà anni ’70, poi, la risistemazione con pavimentazione in betonelle, e spostamento del Monumento ai Caduti nell'attuale posizione; in origine, infatti, era sito al centro di un’aiuola circolare all’altezza del Bar De Nuccio, contemporaneamente a tale intervento fu eliminato il distributore di benzina di Biasio Leone (Shell? …forse); risale, infine, a poco più di un decennio l’attuale pavimentazione in cubetti di porfido.
L’affetto che ognuno di noi (dai capelli grigi) nutre per questo luogo è forte, e questo blog scribacchiato già se ne è occupato (https://scribacchiandoperme.blogspot.com/2011/04/piazza-san-rocco.html): la speranza è che tali brevi note contribuiscano alla sua ripresa.

martedì 30 luglio 2019

LINEA VERDE: ENTUSIASMO INGIUSTIFICATO

Non ritengo giustificato il clamore generatosi in paese e sui social per il passaggio, nella trasmissione televisiva “Linea Verde” della RAI, di un’azienda zootecnica e casearia ricadente nel territorio del nostro comune (https://www.raiplay.it/video/2019/07/Linea-verde-Estate---Alto-Casertano-Sorgente-di-vita-lacqua-6bd2723b-8bdd-4e7c-a3e2-deca57694622.html); il motivo del mio dissentire da tanto entusiasmo, manifestato, tra l’altro, anche sulla pagina Facebook del nostro Comune, è presto detto: non è stato evidenziato alcun legame fra il territorio e le produzioni di detta azienda!
Per le altre due aziende dei dintorni, interessate e descritte nella trasmissione, è stata mostrata quantomeno una foto panoramica del comune ove erano ubicate, nella fattispecie Riardo e Pietravairano… a Pietramelara non è stata riservata alcuna attenzione. Eppure in “scienza e coscienza” sono convinto che la qualità dei prodotti dell’agricoltura è intimamente legata al territorio di origine: il suolo, il clima, le tradizioni sono le variabili che permettono di distinguere una mozzarella, un vino, un olio prodotto in un luogo rispetto ad uno analogo, prodotto altrove. Inoltre il territorio, laddove riconosciuto come incontaminato, è uno straordinario strumento di marketing, che riflette i suoi effetti positivi anche su altri settori extra agricoli, quali il turismo e l’enogastronomia.
Conscio di tale concetto, il direttore dello stabilimento di acque minerali ha illustrato la genesi ambientale dell’effervescenza naturale delle acque di Riardo, ha mostrato, anche servendosi delle immagini da drone, che nei dintorni eventuali fonti di inquinamento sono nulle. Ancora di meglio ha fatto l’imprenditrice agricola Anna Zeppetella Del Sesto, che ha spiegato le proprietà nutraceutiche del Lupino Gigante di Vairano, ne ha illustrato la storia in quanto coltura tradizionale, ha dipinto un quadretto familiare sottolineando l’importanza che un tempo rivestiva la coltura, ricorrente nell’agricoltura mezzadrile.
Nulla da dire, per carità, sulle capacità imprenditoriali dei due fratelli intervistati; questo blog scribacchiato in occasione della loro premiazione a Roma, con un importante riconoscimento, l’anno scorso dedicò un intero pezzo alla famiglia e alla loro storia (http://scribacchiandoperme.blogspot.com/2018/05/ai-letizia-il-premio-industria-felix.html); tuttavia deve essere loro sfuggito che operare nell’Alto Casertano è cosa diversa dal produrre in altre zone, caratterizzate da ben altre negatività ambientali ed economico/sociali.

lunedì 8 luglio 2019

Le rutti e lista rossa

La notizia è di quelle che non sai se gioire oppure rattristarti: è successo giorni fa, a proposito dell’inserimento del complesso archeologico delle “Grotte di Seiano” (le nostre rutti) nella “Lista Rossa” di Italia Nostra Onlus. Di cosa si tratta?... è una campagna nazionale, uno strumento attraverso il quale Italia Nostra raccoglie ogni giorno denunce e segnalazioni di beni comuni o paesaggi in abbandono o bisognosi di tutela, siti archeologici meno conosciuti, centri storici, borghi, castelli, singoli monumenti in pericolo. Cominciò ad essere stilata agli inizi del 2011 e, oggi Italia Nostra ha deciso di dare il via a un nuovo “censimento”, raccogliendo le nuove segnalazioni e aggiornando lo stato di quelle già presenti.
Gioire perché si accende un faro potente su uno dei monumenti più importanti, antichi e suggestivi dell’intero Monte Maggiore, rattristarti perché viene “istituzionalizzato” il suo stato di degrado grave e conclamato.
I “quattro lettori” di questo blog scribacchiato hanno già potuto leggere del monumentale complesso di ruderi sito sulla pendice del monte Castellone (cfr. https://scribacchiandoperme.blogspot.com/2017/01/e-rutti.html): si tratta di un santuario sannitico del II sec. a.C., a terrazzo, che fu distrutto in età sillana, un quadrato di rifinite mura megalitiche di IVsec. che circonda un complesso sotterraneo (le Grotte di Seiano o delle Fate), esteso 900 mq, articolato in nove gallerie realizzate in opera incerta.
La nuda proprietà del suolo è del comune di Pietramelara, ma sul bene insiste un censo o livello, ovvero un diritto reale che comporta l’obbligo dei possessori di coltivare e migliorare il fondo e mantenerlo, in corrispettivo di un canone, tuttavia la coltivazione è divenuta antieconomica e pertanto cessata da almeno 40 anni.
Il complesso archeologico è comodamente accessibile dalla strada Pietramelara Rocchetta e Croce che lo sfiora sul lato sud.
Il sito è sottoposto a vincolo archeologico ma in completo abbandono, anche se può con modeste risorse essere decespugliato, e, con l’eliminazione degli alberi che infestano le mura, messo in sicurezza e restaurato. Data la facile accessibilità e la monumentalità può costituire un punto nodale di turismo culturale e naturalistico. Siamo infatti sulla via che porta agli eremi montani del SS. Salvatore di Madonna di Fradeianne.
Il costo stimato per l’intervento è esiguo poiché il bene è già di proprietà comunale mentre l’abbandono e la violazione dell’obbligo di migliorare legittimano la revoca del livello, il contenimento periodico del bosco può essere facilmente assicurato dalla comunità Montana Montemaggiore, o anche mediante campi di lavoro a cura di associazioni come la Pro Loco Pietramelara.
Il complesso, di eccezionale rilevanza può costituire un caposaldo di turismo culturale nella natura, in dialogo, oltre che con Ponte di Assano e col Parco di Trebula, col Borgo Medievale Fortificato di Pietramelara, con gli eremi montani.
L’Amministrazione Comunale faccia sentire la propria autorevole voce, dica quanto grande è l’interesse per un bene prezioso che, tuttavia, potrebbe andare perduto da qui a poco.




giovedì 4 luglio 2019

UN RESTAURO IMPOSTO DAL RICORDO

Ho fatto restaurare la vecchia bici di mio padre, me l’hanno consegnata ieri pomeriggio. Si tratta di una Radius del 1980, modello con freni “a bacchetta”, un tipo ormai quasi del tutto fuori commercio (foto di copertina), che tuttavia assicura sicurezza e confort, specie nell’ impiego in paese. Devo dire che, a parte l’innegabile comodità di disporre in famiglia di un mezzo in più per commissioni e passeggiate, sono affettivamente legato a questo oggetto, che tuttavia languiva in garage abbandonato da qualche anno, per problemi di meccanica. Il restauro è stato attento e meticoloso, non ha stravolto il mezzo nell’aspetto e, come si conviene in questi casi, qualche segno del tempo è stato lasciato li, ad indicare che il tempo passa per ogni uomo e ogni cosa. Il lavoro, alla fine, è costato più di una nuova bici ma va bene così: mai e poi mai l’avrei consegnata a un raccoglitore di ferri vecchi.
Il ricordo e la nostalgia mi riportano a te, papà, quando la inforcavi per un piccolo servizio, oppure per recarti in piazza a fare una partita a tressette. La bicicletta, quella bicicletta, rifletteva il tuo stile di vita: usarla, doverla usare era una necessità, dato che non hai mai voluto prendere la patente e guidare. Guidare un’auto, infatti, non faceva parte di te e del tempo che hai vissuto, d'altronde dicevi che non volevi “finire sui giornali”, avevi troppo rispetto di te stesso, di noi e del mondo che ti girava intorno, pertanto la sola (lontana) eventualità di poter causare un incidente stradale, ti aveva fatto rinunciare alla guida in modo convinto, assoluto e definitivo, senza ripensamenti. Qualcuno dalle tempie ormai grigie si ricorderà di te, mentre passavi pedalando per le vie del paese, eravate una sorta di tutt'uno uomo/bicicletta e quando la salita diventava un po’ troppo forte, senza darti troppi pensieri scendevi e proseguivi a piedi con le manopole del manubrio ben strette fra le mani .
Non l’hai usata poi tanto, questa bici, solo qualche anno, e poi ci hai lasciato e ….averla resa di nuovo fruibile è un modo per sentirti ancora vicino.

domenica 30 giugno 2019

IL CAMMINO DEGLI EREMI

Bellissima mattinata tra i sentieri del Monte Maggiore, stamattina: nonostante le “gufate” varie, la temperatura si è mantenuta fresca e gradevole e dei tafani manco l’ombra … Scherzi a parte la preoccupazione per il gran caldo era reale, qualcuno ha addirittura rinunciato temendo di non farcela, tuttavia, già dal momento successivo alla partenza ognuno si è reso conto che la coltre ininterrotta della rigogliosa vegetazione avrebbe protetto in modo efficiente i partecipanti al cammino dal caldo di questi giorni.
La tabella di marcia prevedeva partenza dalla località “Fosse della Neve” alle dieci, arrivo a S. Maria a Fradejanne alle 11 e mezza, per mezzogiorno e mezzo al San Salvatore e discesa a Croce per l’una: precisi come un orologio svizzero siamo riusciti perfino a guadagnare dieci/quindici minuti sull’arrivo a Croce, anche grazie a compagni di cammino allenati; che dire poi delle leggiadre signore: due “fulmini di guerra”! … hanno trainato il gruppo sul sentiero per l’intera durata del cammino.
La manifestazione, organizzata dalla nostra Associazione Pro Loco Pietramelara, in partenariato con quella di Rocchetta e Croce, si inserisce nel mese nazionale dei cammini francigeni, ed era denominata “Il cammino degli eremi sulla via Francigena dell’Alta Terra di lavoro”. Una sinergia con i ragazzi di Rocchetta e Croce, tutta da scoprire e valorizzare: tale partenariato, infatti, a inizio giugno ha tra l’altro permesso di presentare un progetto di valorizzazione del Monte Maggiore nell’ambito del bando “Fermenti” della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in corso di istruttoria.
La partecipazione ampia e diffusa ha visto oltre alle due dinamiche signore, una di Caserta e l’altra di Santa Maria C.V., di amici provenienti da Portici (NA) . L’interesse dimostrato per i luoghi percorsi è stato elevatissimo, tantissime le foto scattate: lungo il sentiero, negli eremi, dai panorami mozzafiato che si godono da Fradejanne e San Salvatore.
Sono stati loro, gli Eremi, a galvanizzare chi non li conosceva: plurisecolari testimonianze di un’economia legata alla montagna e alle sue risorse. La cappellina di Fradejanne e il Santuario del San Salvatore hanno svolto l’antica funzione di aggregare, grazie ai monaci e agli eremiti che vi dimoravano, la gente di montagna: carbonai, mulattieri e boscaioli, permettendo loro di avere un conforto religioso, di celebrare un matrimonio, di ascoltare una messa domenicale.
Un gradito momento conviviale, ha concluso la mattinata, ed ha permesso ai partecipanti di rifocillarsi con piatti tipici del territorio, vini di gran qualità (un “casa vecchia” servito alla temperatura ideale), e dolci preparati per l’occasione dalle sapienti ed esperte mani delle nostre dirigenti.
Grande la soddisfazione del Presidente Tabacchino, dell’intera Pro Loco Pietramelara e dei suoi aderenti; la particolare riuscita dell’evento ha confermato e consolidato il rapporto di collaborazione con gli amici di Rocchetta e Croce, ed ha indotto ognuno dei partecipanti a darsi appuntamento “a presto” per tornare a percorrere la fitta rete di sentieri, verso nuove mete, anche più impegnative, magari quando il caldo si sarà attenuato.

sabato 22 giugno 2019

IL RINASCIMENTO NEGATO

L’intenso dibattito che si trascina ormai da mesi, nelle sedi istituzionali, sui media e sui social, riguardo alla situazione finanziaria del nostro comune, unanimemente definita difficile e per alcuni “disastrosa”, mi induce a fare qualche considerazione. Le parole grosse, la voce alta ed alterata in consiglio comunale la dicono lunga sul nervosismo che regna sia nella maggioranza che nel gruppo di opposizione. Da outsider della politica locale, il vostro blogger fa notare che, al di là dei tecnicismi spinti utilizzati dall’Assessora al ramo, il quadro è più chiaro di quanto non si pensi!
Le indubbie responsabilità del funzionario che per circa un trentennio ha gestito finanze locali non bastano però a spiegare tutto, e neppure le responsabilità politico amministrative di Leonardo e compagni sono da ritenersi sufficienti, anche se reali e tangibili. Ciò con cui si confrontano gli amministratori, ma anche e soprattutto i cittadini di Pietramelara, all’indomani del “predissesto” è il risultato di decenni e decenni di spesa allegra, di premi elargiti a piene mani, di servizi resi per i quali non è stato versato alcun corrispettivo, di opere pubbliche inutili e a volte dannose, gestite con scandalosa leggerezza. Chi non ricorda, ad esempio, al passaggio di testimone Di Fruscio/Leonardo, il ponteggio rimasto per un biennio sulla facciata del Municipio, frutto di lavori appaltati senza alcuna copertura e causa di conseguenti contenziosi? Ma si tratta, appunto, di un esempio, tanti altri se ne potrebbero citare. Nel novero delle responsabilità non sfugge neppure la condotta di certe sezioni di partito che, seppur consapevoli del disastro che si stava parando, hanno preferito far finta di niente e voltarsi dall’altra parte.
L’incombente dissesto costerà lacrime e sangue ai Pietramelaresi: aliquote fiscali al massimo, tariffe alle stelle per servizi di qualità mediocre, addizionali da aumentare e via dicendo, e a rimetterci saranno (come al solito) soprattutto i lavoratori “a reddito fisso”: il fallimento politico/amministrativo dell’ultimo trentennio in paese.
La cosa che mi rode, più di ogni altra, riguarda il fatto che il tanto sperato “rinascimento pietramelarese”, che ad ogni campagna elettorale torna ad essere predicato sui palchi, non ha ormai la benché minima possibilità di verificarsi: neppure Superman, con la sua criptonite, potrebbe riuscirci! Nella situazione che vivremo di qui a poco non potranno esserci sgravi fiscali per qualche coraggioso imprenditore che vuole investire sul borgo , sull’area archeologica delle “grotte”, o sul nostro patrimonio paesaggistico ed ambientale, non ci sarà la benché minima agevolazione per le fasce sociali a maggior rischio, chi potrà mai progettare e implementare politiche di sviluppo per Pietramelara?
Mi dispiace scriverlo, miei cari quattro lettori, ma il tempo per il cambiamento, con questi “chiari di luna” è purtroppo definitivamente tramontato; gli elettori dovevano intervenire prima, nei primi anni di questo millenio, quando esistevano ancora i margini di manovra sufficienti, scegliendo con coraggio la discontinuità con il passato, oggi – che volete- non è più possibile!

venerdì 14 giugno 2019

IL MIRACOLO DEL 14 GIUGNO

Non doveva essere com’è oggi il tempo a Pietramelara, esattamente 120 anni fa! Non ci doveva stare quest’afa opprimente in quel 14 giugno 1899, giorno del miracolo: il tempo volgeva al brutto e faceva presagire con ogni probabilità un temporale imminente e devastante … altro che anticiclone sahariano!
Il documento stilato dal parroco dell’epoca, il famoso Arciprete Don Giuseppe Angelone, sottolinea la preoccupazione del popolo per il raccolto di grano ormai giunto a maturazione; preoccupazione fondata perché di li a poco, la temuta grandine cominciò effettivamente a cadere: “Ma ohimè! Il flagello della grandine tanto temuta, manifesta i suoi primi colpi fatali” scrive l’Angelone. La distruzione del raccolto sarebbe stata una tragedia immane, perché avrebbe portato il popolo alla carestia e alla fame nera. Qualcuno, forse sull’onda della disperazione ha un’idea: si reca nella Chiesa di Sant’Agostino, dove era ospitata temporaneamente l’immagine del Santo (la Chiesa di San Rocco era in fase di completo rifacimento e sarebbe stata inaugurata solo due anni dopo, il 14 dicembre del 1901), preleva la statua e la pone fuori della porta , di fronte al temporale. Secondo quanto riportato nel documento redatto dall’Arciprete Angelone, tale atto di Fede ebbe effetto immediato e la grandine di colpo si arrestò “La grandine incominciata si arresta e scompare, come per incanto”. Qualcuno, non particolarmente pio, dovette anche pensare che il gesto di quegli uomini non fu dettato ne da Fede ne da Pietà, bensì dal voler indurre (quasi costringere) il Santo a sbrigarsi nel proteggere Pietramelara e il suo popolo… chissà.
La relazione viene arricchita di altri particolari, quali la ripetuta trasfigurazione dell’Immagine sacra, alla presenza della folla accalcatasi “Ed ecco un grido imponente di ammirazione e di stupore , San Rocco muove sensibilmente la lingua e gli occhi e il suo volto si trasforma”, trasfigurazione che si ripete anche nel corso della estemporanea processione organizzata per lo scampato pericolo, e poi in serata, alla presenza di donne e uomini di cultura; pare che il sudore abbondante sul volto del Santo fosse stato da una mano pia “ascugato poi da apposita pezzuola che ne conserva ancora le tracce”
Miracolo vero o suggestione generale? L’istituzione ecclesiastica, invero, non si è mai pronunciata in merito, fatto sta che la devozione verso il Nostro Santo, che durava già dalla fine del XV secolo, in occasione della discesa di Carlo VIII di Francia in Italia per la conquista del Regno di Napoli, ha avuto modo di rafforzarsi a causa di quest’episodio che ancor’oggi celebriamo.
San Roccu r’ vutu (San Rocco di voto) ricorre ogni anno, oggi come allora, il 14 giugno, nel nostro comune: una celebrazione seguita da una breve processione, senza banda e senza fuochi d’artificio, ne costituiscono il programma. La partecipazione popolare, oggi risulta un poco smorzata, ma sicuramente ciò è dovuto a cause e situazioni di contesto, e non a calo di popolarità del Santo.

mercoledì 12 giugno 2019

500.000


La notizia è questa: “Scribacchiando per me”, il mio blog, ha superato i cinquecento mila accessi. Wow! … direbbe qualcuno, che me ne importa, aggiungerebbero altri; il mondo è bello perché è vario anche negli atteggiamenti verso persone, cose e situazioni.
Cosa significa per me tale traguardo? … è inutile negarlo, prima di tutto grande soddisfazione nel vedere aumentare di giorno in giorno l’interesse verso il mio strumento di comunicazione, sono contentissimo di come i miei quattro lettori accolgano e aspettino i pezzi che posto sul web. Mi sento obbligato ad esprimere un sentimento di grande gratitudine nei confronti di chi mi legge, di chi commenta, di chi mette un like.
L’obiettivo che mi prefissi, otto anni fa, con la pubblicazione del primo pezzo, era e rimane lo stesso: far conoscere Pietramelara a quante più persone possibile, nelle sue tradizioni, nei suoi caratteri e personaggi, nella sua lingua (non dialetto) tanto singolare. Direi che, a ragion veduta, esso è stato ampiamente conseguito, e ciò e dovuto sicuramente non ai miei particolari meriti, ma alla straordinaria potenza della rete, che ormai copre l’intero pianeta, facendo interagire uomini e popoli lontanissimi per distanza geografica e per cultura. Apprendere che un mio pezzo è stato letto a Singapore, in Australia, in India o in qualche altro paese lontano, mi riempie di gioia profonda ma mi mette anche di fronte a un’enorme responsabilità. Ciò dovrebbe generare ansia in me, ma forse non è così; penso di avere la coscienza a posto e di non avere mai abusato di questa posizione di vantaggio, permessa da un podio virtuale affacciato su una terrazza vasta quanto il mondo intero.
Da qualche tempo oltre alle solite tematiche, leggete a volte della piccola cronaca su quanto avviene qui, della politica locale, degli eventi che insieme a un piccolo gruppo di volenterosi ci sforziamo di organizzare e realizzare, in seno alla Pro Loco, associazione meritoria in quanto senza l’aiuto di nessun ente riesce a animare e vivacizzare un paese e la comunità che lo abita. Ritengo che ciò serva ad aumentare la qualità del servizio reso arricchendo l’offerta.
E’ difficile non far trasparire le proprie inclinazioni e preferenze, ma anche se a volte non ci riesco del tutto, vi assicuro che l’impegno in tal senso è grande.
Grazie, miei carissimi lettori, mi onora essere seguito da ognuno di voi! Vi assicuro che se il tempo e la salute lo permetteranno vi terrò compagnia ancora per tanto tempo.
Il vostro blogger scribacchiante

sabato 25 maggio 2019

ERRICO LEONE E IL PUNTO DI PARTENZA

La vicenda di Errico Leone (Pietramelara 11/07/1875- Napoli 19/06/1940), illustre concittadino protagonista di vicende politico/sindacali in un periodo storico di poco successivo all’Unità Nazionale, è stata commemorata ieri sera dalla nostra cittadinanza con una cerimonia semplice e densa di significati: scopertura di una targa nei pressi della casa natale, e un momento di comunicazione, nel corso del quale sono state enunciate le azioni che fino al prossimo anno onoreranno la memoria di un illustre cittadino, per troppo tempo tenuto nel dimenticatoio.
Da modesto conoscitore della storia locale, quella di tutti i giorni, rivissuta consultando documenti per lo più ignoti alla maggioranza della popolazione, e da esponente di un’Associazione, la Pro Loco, che deve tendere alla valorizzazione di ogni risorsa culturale del nostro territorio, posso dire che forse un aspetto non è stato sottolineato.
E’ stato detto che l’opera di sindacalista, economista e giornalista del Leone si è cominciata a sviluppare già a Pietramelara, prendendo coscienza delle ingiustizie sociali vissute dalle classi meno abbienti, il successivo trasferimento a Napoli, a Roma e poi a Bologna, ne avrà evidentemente permesso l’approfondimento con lo studio e il vissuto. E’ stato delineato il suo meridionalismo, connotato dalla delusione per il peggioramento delle condizioni dei contadini dopo l’unità, e il sostanziale fallimento politico del Risorgimento.
Non è stato detto, tuttavia, che già da secoli prima operava in Pietramelara un fermento e un’attenzione alla cultura tipico di realtà ben maggiori: basti pensare che nel settecento operavano in paese 4 notai, servendo un’area geografica probabilmente molto più vasta, alcuni “dottori fisici”, così si chiamavano i medici allora, avvocati e innumerevoli sacerdoti, canonici e chierici. Ciò, a parere di chi scrive, ha potuto costituire un humus culturale, un eccezionale terreno di coltura, dal quale hanno preso vita il formarsi la coscienza sociale in Errico Leone, ma anche lo sviluppo di moltissime altre eccellenze che si sono estrinsecate nell’esercizio di professioni e carriere:il punto di partenza del Leone ha inciso in modo fortissimo le sue successive vicende. Non è qui il caso di elencare nomi, tuttavia ritengo che, al di la del campanilismo, il Leone, quanto tanti altri validissimi uomini di scienza e cultura, abbiano contribuito rendere il nostro paese noto anche a chilometri di distanza, in tempi in cui la velocità di diffusione delle notizie e delle informazioni era molto più lenta di oggi.

martedì 7 maggio 2019

UNA PROVINCIA FRA STORIA E FUTURO

L’ampio dibattito sviluppatosi recentemente a proposito di un ritorno delle provincie all’ordinamento giuridico precedente alla riforma, costituisce l’ennesimo punto di discordia all’interno del governo nazionale.
Malgrado una certa semplificazione giornalistica, la riforma delle province convertita in legge nell’aprile del 2014 dalla Camera non ha previsto un’abolizione totale delle province, ma una sostituzione con nuovi enti. Per l’abolizione totale di esse sarebbe stata necessaria una modifica della Costituzione.
Ciò tuttavia induce una serie di considerazioni di natura storica ed antropologica sulla nostra provincia e sul suo futuro.
Terra di Lavoro è stata una provincia del Regno delle Due Sicilie e del Regno d'Italia. È chiamata spesso anche con la dicitura di Provincia di Caserta, in virtù del fatto che nel 1818, per volere di Francesco I di Borbone, il capoluogo fu spostato da Capua a Caserta.
All'indomani dell'unità d'Italia la provincia di Terra di Lavoro era una delle più vaste d'Italia, comprendeva l'intero territorio dell'attuale provincia di Caserta, la parte meridionale dell'attuale provincia di Latina , parte dell'attuale provincia di Frosinone, tutta la parte dell'agro nolano ricompresa nell'attuale città metropolitana di Napoli e ancora una parte delle attuali province di Benevento, Avellino e Isernia. Facevano parte della provincia, inoltre, le isole di Ponza e Ventotene . Articolata in circondari e mandamenti, a quell’epoca il nostro comune, come testimonia ancora una lapide in Piazza San Rocco, era capoluogo del “mandamento IX di Pietramelara”, facente parte del Circondario di Caserta .
Nel 1927, durante il ventennio fascista, la Terra di Lavoro fu soppressa definitivamente: la decisione del governo fu accolta con incredulità e scontento da parte della popolazione e dai vari ras locali, per un'unità amministrativa storica, che all'epoca era la più estesa del regno (192 Comuni, 5.258 km² di territorio e una popolazione di 868.000 abitanti). Il Duce con un telegramma al prefetto di Caserta, motivò che tale scelta era dettata dalla precisa volontà di dare a Napoli il necessario respiro territoriale.
All'atto della soppressione della provincia di Terra di Lavoro, i suoi comuni furono divisi tra le province di Napoli, Benevento, Roma , e la neonata provincia di Frosinone.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, con decreto legislativo luogotenenziale del novembre 1945, venne di nuovo istituita la provincia di Caserta, secondo l'attuale configurazione, che comprende circa la metà dell'originaria provincia di Terra di Lavoro.
Le popolazioni abitanti la nostra provincia sono estremamente disomogenee fra loro, se ne possono, infatti, delineare almeno tre: quella dell’Agro Aversano, nella parte più meridionale, attigua a Napoli, simile ad essa nella lingua e nel carattere, quella della conurbazione casertana, intermedia, e quella della parte più settentrionale, l’alto casertano, di origine sannitica.
Verso la fine dello scorso millennio Togo Bozzi, saggista e giornalista di Cervinara, si pose a capo di un apposito comitato, con l’obiettivo dichiarato di dare finalmente vita alla provincia immaginata nel 1860, che avrebbe dovuto includere Benevento più la Valle Caudina e la Valle Alifana. Si andava a formare una nuova provincia, il Molisannio, che in base ad affinità storiche, economiche e culturali, avrebbe dovuto accorpare le suddette aree interne della Campania e parte del Molise, secondo i confini dell’antico Sannio. Ipotesi affascinante, sicuro, ma priva di effetti pratici in tempi in cui si va verso una globalizzazione sempre più spinta e radicale.

venerdì 26 aprile 2019

MEMORIE PER UN AMICO

Ce l’hai fatta, alla fine, amico mio a liberarti dalla sofferenza: e quando parlo di sofferenza non mi riferisco tanto a quella fisica, che pur deve essere stata intensa, ma soprattutto a quella morale, derivante dalla privazione della piazza, degli amici, delle tante altre attività che la tua mente felice aveva saputo partorire. Ci siamo conosciuti da bambini, quando la tua, la nostra, Pietramelara era ancora un formicaio brulicante di donne, uomini, bambini e ragazzi, indaffarati all’inverosimile ma, come tu amavi ripetere, sereni a speranzosi nel futuro. Ti ricordo, sai, quando ancora abitavi sui gradoni di Via Enrico Leone, un bambino dai calzoncini cortissimi anche d’inverno, allora si giocava insieme a rincorrersi, a celariegliu o altro tra i mille anfratti del borgo; ti ricordo giovanissimo, universitario come me, discutere della nostra comunità e dei suoi mille problemi; un progetto nato allora: studiare il nostro dialetto, la nostra lingua, con il piglio dell’ironia pungente che ti sempre connotato e con l’immancabile nostalgia per le tradizioni allora ancora vive, ma che ci rendevamo conto, andavano scomparendo; purtroppo tale progetto è rimasto nella mia e nella tua mente, e non credo che vedrà mai la luce. Ma non tutto è andato così, infatti venti anni fa circa, nel ‘95, mettemmo in campo l’iniziativa che ha suggellato in modo imperituro la nostra amicizia: Bianco/Nero, la mostra multimediale delle immagini degli ultimi settanta anni in paese. Un successo enorme di pubblico e di critica, immortalato dalla pubblicazione di un libro-catalogo delle immagini, “Fotostoria di una comunità”, curato da te nella parte grafica. Sono andato a rileggermi negli atti del convegno inaugurale (1 settembre 1995) il tuo intervento: eri arrabbiato “la verità è che fino ad oggi è mancata un’attenta programmazione di sviluppo. Ci si è preoccupati solo a soddisfare l’immediato, e speculare politicamente insieme a professionisti scialbi e privi di cultura (…) senza preoccupazione di realizzare opere che segnassero il tempo”.
Purtroppo anche nei radi incontri, che abbiamo avuto nel corso della tua breve malattia, si è dovuto constatare che tale linea di tendenza è continuata, che quella preoccupazione è mancata e continua a mancare, che tutto sommato per l’elettorato pietramelarese la cosa continua a non rappresentare un problema.
L’abbraccio forte che ci scambiammo in occasione di una delle ultime visite mi risuona come un addio anticipato di qualche mese ma, tant’è: la malattia ci ha tenuto lontani e ti ha tenuto lontano dalle attività che non ti stancavi mai di progettare e realizzare. Deve essere stato brutto per te scendere in piazza costretto su una sedia a rotelle, come nell’ultima foto che abbiamo fatto, nel periodo natalizio, ma dietro quella mascherina, sono sicuro, sorridevi ancora felice di ritrovare gli amici, di ritrovare l’amata Pietramelara (vedi foto di copertina).
Ti saluto con un arrivederci, caro Nunzio, spero di tornare insieme un bel giorno a sorridere con un angolo della bocca delle nostre piccole cose, a ironizzare sulla moda del momento, come amavi fare da dissacratore nato, quale eri.