Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

venerdì 22 aprile 2016

A PALLA E ZAZZA'

Si trattava di un rudimentale giocattolo in voga nella mia (…sigh) lontana infanzia, chiamato “a pall’ e zazzà”, si vendeva nelle feste di paese ed era molto semplice: una piccola pallina di pezza legata ad un sottile elastico lungo un metro circa, costava cinquanta o cento lire (due/cinque centesimi di euro), non di più. Come si vede dall’immagine di copertina, il divertimento consisteva nel scagliare la palla e recuperarla nel palmo della mano, dopo che l’elastico teso si ritirava e riscagliarla, e così via per un numero indefinito di volte e con frequenza crescente. Chi sarà stato poi questo zazzà non è dato saperlo, ma forse è solo un’onomatopea derivante dal suono prodotto dalla pallina nell’incessante vai e vieni.
Il nostro linguaggio rurale, a volte spietato e colorito, si è impadronito di questa pallina che va e viene dalla nostra mano, e così “a pall’ e zazzà” è divenuta la metafora di cose e persone costrette a fare avanti e indietro da un luogo all’altro, per un numero indefinito di volte. Di fronte a tale comportamento, ancora qualcuno, evidentemente legato al nostro antico modo di dire, esclama ancora “m’ pari a pall’ e zazzà” (trad.: sembri la palla di zazzà) oppure “e’ fattu a fin’ r’ a pall’ e zazzà” (trad.: hai fatto la fine della palla di zazzà, ndr).
Prendete me, ad esempio: ieri mattina a Caserta, poi a Napoli per risolvere problemi di lavoro e, una volta individuata la soluzione, di nuovo a Caserta per applicarla nella realtà: tipico comportamento che ricorda da vicino la nostra pallina. Mi è venuto di istinto, parlando con una collega, che chiedeva di tale mio andirivieni: “aggiu fatt’ a fine r’ a pall’ e zazzà”, le ho risposto; meravigliata e divertita mi ha chiesto di cosa si trattasse, ed io allora ho dovuto spiegarle tutto quanto ho descritto a voi quattro lettori, nella premessa.
Ma non crediate che il mio sia un caso isolato o singolare: tutt’altro! Quante altre volte è capitato a me stesso, e a tanti altri ancora. I casi e le circostanze della vita a volte ci costringono ad affrontare problemi “a pezzi”, quasi come si fa componendo un mosaico: ed allora un pezzo qua, l’altro la, e un altro ancora nel posto dove eravamo stati prima. Questo pendolare da un luogo all’altro alla ricerca di beni, condizioni di vita, idee o altro ha fatto di noi un insieme di uomini e donne sempre più dominati dallo stress quotidiano, anche perché non è tanto l’andirivieni ad affaticare, ma soprattutto il contesto: mezzi pubblici che non passano, traffico urbano, tempo meteo avverso, appuntamenti mancati e quant’altro. L’immagine plastica e suggestiva della pallina che si allontana e che, inevitabilmente richiamata dall’elastico teso, si riavvicina è quella che rende più da vicino l’immagine di noialtri.

venerdì 1 aprile 2016

TRE FASI

La storia del mio “fare per Pietramelara” può essere delineata in tre fasi: la prima fu quella della partecipazione, la seconda è stata di impegno diretto, la terza, infine, quella che sto vivendo, la definirei dell’osservazione.
La partecipazione appartiene alla giovinezza, vissuta fra questo tranquillo paese e una facoltà universitaria ribollente di fermenti politico/sociali. Erano i cosiddetti “anni di piombo”: la lotta armata, il caso Moro e gli altri attentati, i collettivi ove si contestava di tutto. Scelta difficile quella del “non comunista”: non era di moda esserlo e, se ti “andava bene” venivi additato per fascista o bigotto/baciapile.
A fare da contraltare a tutto ciò la vita tranquilla di Pietramelara: tre o quattro sezioni di partito, partecipazione attiva della popolazione alle scelte determinanti, una fase di progresso politico/sociale, culturale ed economico mai vista ne prima, ne dopo (purtroppo). Chiunque, compreso il sottoscritto, sentiva il diritto/dovere di partecipare, dire la sua, offrire un contributo. Ho militato allora (con orgoglio) in un grande partito: la Democrazia Cristiana, Diccì nell’acronimo più frequente. La sezione veniva vissuta come luogo di incontro, di contatto e di crescita. Certo, si trattava soprattutto di ascoltare uomini dotati di esperienze vastissime che andavano dal dopoguerra ad allora, e alla mia età poco o nulla si poteva incidere, ma devo dire che a me è servito molto anche quello.
Gli anni della maturità mi hanno consegnato alla seconda fase, quella del mio impegno diretto: il crollo del comunismo, lo stravolgimento politico determinato da “tangentopoli”, la caduta delle torri gemelle, la fine di un millennio e l’inizio del successivo, questo il contesto. Iniziò allora l’ inesorabile declino di Pietramelara sia in termini assoluti (occupazione, crisi demografica ed ambientale) che relativi (rispetto ai comuni confinanti) . La reazione ad un malcontento serpeggiante ma mai espresso dall’elettorato, si tradusse per me in impegno sempre più forte e tangibile, che culminò nella conquista di un seggio in consiglio comunale, tra i banchi dell’opposizione. Periodo di grandi battaglie, in cui non sono mancate le soddisfazioni, ma anche interrogazioni troppe volte senza risposta, accessi agli atti negati o lacunosi, boicottaggio del dibattito sereno e democratico, nascondendosi dietro la forza dei numeri. Non so se sia stato molto o poco , ma tant’è quanto ho saputo e potuto dare.
Nella considerazione che un seguito a tale percorso, così lungo ed articolato, sia di fatto precluso, e che (a mio parere) troppe volte le scelte dell’elettorato non sono condivisibili, eccomi passato alla terza fase, quella dell’osservazione. Attenzione però! … sbaglia chi crede che questa sia la fase del guardare e stare zitto, oppure del cercare di metabolizzare in silenzio tutte le eventuali negatività che ci riserva il futuro di un paese che ho amato ed amo. Tutt’altro: forte della visibilità che mi conferisce questo blog scribacchiato, come vedete sottolineo e sottolineerò con energia ogni scelta che mi lascia perplesso, dovunque provenga. Già da tempo giungono notizie poco rassicuranti: trame tessute nell’ombra vedrebbero la formazione di una coalizione che definire consociativa è il massimo della benevolenza. Autori nel passato di nefandezze di ogni genere starebbero per riaffacciarsi sulla scena, al limite presentandosi nel ruolo del “poco entusiasta” che, per spirito di responsabilità, accetta di sacrificarsi per il bene supremo di un paese ormai allo sbando. E’ il momento di aprire gli occhi, vengano fuori i giovani, quelli motivati e dotati di iniziativa. Altrove ha funzionato! Il vecchio è stato oggetto di rifiuto netto e totale, donne e uomini di età raramente superiore ai quaranta hanno dato luogo ad amministrazioni slegate dal passato e da compromessi. Può funzionare anche da noi? … non saprei, ma di sicuro vale la pena tentare.
FRANCESCO