Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

sabato 27 luglio 2013

CAPRI

Cosa ci vuole per raggiungere Capri? Poco o nulla, veramente poco: un’ora d’auto e un’altra di aliscafo, e si è in uno dei posti più belli del pianeta! Un vero scrigno, questo, che racchiude gioielli di inenarrabile bellezza ed amenità: panorami mozzafiato, mare di un colore che cambia al cambiare della roccia che vi si riflette, località rese famose dal cinema e dallo “star sistem”, roba da VIP insomma.
Eppure chi, come me, filosofo del “pensiero debole” e spettatore disincantato della bellezza del Creato, visita Capri è alla ricerca di “altro”. Nell’estemporanea visita che l’altro ieri, insieme alle mie donne, mi sono concesso, vedevo di fiutare nell’aria qualcosa che i media, la pubblicità, le aziende di soggiorno ed il marketing territoriale sistematicamente si lasciano sfuggire.
Abbiamo meticolosamente ottemperato a tutte le visite che “si devono” fare: Grotta Azzurra, giro dell’isola con passaggio ai faraglioni, la piazzetta e le vie dello shopping, i Giardini di Augusto, la Via Krupp (solo un pezzo, però). Ma, come dicevo, sentivo una sorta di malessere derivante dalla ricerca di quel qualcosa d’altro a cui accennavo prima; non sapevo di cosa si trattasse ed il fatto mi ha anche un po’ inquietato, fino al punto di intraprendere la via del ritorno a casa. Quasi per caso, poi, non ho scelto la funicolare in discesa per il ritorno, ed ho optato per il percorso pedonale che dalla piazzetta conduce al porto, e qui è venuto il bello: un serie di vicoletti in ripida discesa, angusti e tortuosi, nei quali si respirava, tuttavia, l’aria della Capri vera, dell’isola appartenente ai capresi e a tutti gli altri, uomini illustri come l’imperatore Tiberio o il magnate germanico Ferdinand Krupp o gente comune, che l’hanno amata. Case appartenute a contadini e pescatori, con piccoli giardini antistanti, che mi parlavano di quando Capri ancora non era assurta a capitale mondiale del Jet Set, di quando si viveva ancora di piccola pesca sotto costa, o coltivando quella terra benedetta che produce vini stupendi, limoni dalla buccia spessa ed odorosa, e pomodori, logico coronamento di un’insalata “caprese”, frutti che sanno veramente di “mediterraneità concentrata”.
Quanto ho compianto coloro che si limitano, nel visitare Capri o altri luoghi, ad osservazioni dettate solo da imposizioni consumistiche e mediatiche, e senza alcuna volontà di andare un po’ più a fondo nelle cose, si limitano a percorsi stereotipati.
La bellezza non è nota e disponibile a chiunque, ma si offre a buon mercato a chi sa cercarla!

domenica 21 luglio 2013

RADICI

“Radici” è un’espressione in voga sin dagli anni ‘70, dall’uscita dell’omonimo bestseller dello scrittore afroamericano Alex Haley, che trattava la saga di una famiglia, dalle origini in Africa, attraverso al deportazione e la schiavitù, in America. Da allora ogni qual volta ci si vuol riferire alle origini, al legame con i luoghi natii, si ricorre a tale suggestiva espressione: “Ricercare le radici, ritrovare le radici”, quante volte anche nel gergo giornalistico e mediatico ci imbattiamo in essa!
Ma cosa sono per noi e per la nostra gente le radici? A pensarci bene le radici, quelle botaniche così come quelle genetiche, hanno in comune due fondamentali funzioni, quella di ancorare saldamente e quella di nutrire. E chi si allontana, per libera volontà o necessità dai luoghi di origine, sente le “radici” come un vincolo, come un richiamo imperioso : a volte, poi, come mi è capitato ieri, ci si rende conto di queste cose senza nessuna ricerca, quasi fosse un evento del tutto casuale. Il dolore ci libera dalle sovrastrutture culturali che, con il tempo,sono state imposte dalla scuola, dall’ambiente sociale e dalla necessità ed ecco che le radici, con tutto il loro potere emergono prepotentemente. Ed allora un’anziana donna, una vedova, residente a centinaia di chilometri di distanza, che decide di affidare il corpo del proprio caro congiunto alla terra di Pietramelara, a dispetto di sicure difficoltà logistiche, ne è la più chiara dimostrazione. Una scelta sicuramente ragionata e meditata nel corso di una lunga malattia che lasciava presagire una fine vicina, ma nella quale le “radici” hanno giocato un ruolo fondamentale. Questa la sintesi del ragionamento: “Terra di Pietramelara, mi hai generata ed allevata, sono partita e sono stata lontana per decenni, ho studiato, lavorato e progredito, messo su famiglia, ti restituisco ora, quale tributo di affetto ed appartenenza, il corpo dell’uomo che ho amato, ed anche se non era uno dei tuoi figli, sono convinta che lo custodirai con ogni cura”.

sabato 20 luglio 2013

NEL GIARDINO, DI SERA

Vivo nella casa costruita circa cinquant’anni or sono dai miei genitori: niente lussi, molto essenziale, una buona posizione rispetto al centro del paese; nonostante ciò, al di là del muro di cinta, tanta, tanta campagna, fino a perdita d’occhio, fino alle falde della collina. Sono appena rientrato dal giardino, vi ero andato per una piccola commissione: appena varcata la soglia, con la luce ancora spenta ho alzato gli occhi al cielo e mi si è parato davanti uno spettacolo di indescrivibile bellezza, non una nube, e la volta celeste punteggiata di un numero di stelle infinito, più piccole, più grandi, più luminose, altre meno; ma le sorprese non erano finite… dopo qualche attimo, complice una leggerissima brezza, sono stato investito da una vera e propria ondata di profumo intenso ed inebriante, proveniva dall’ampia siepe di rincospermium, rampicante che ha fatto tesoro della rete di separazione con il vicino di casa per crescere ed avvilupparsi. Mi è venuta una gran voglia di sedermi sul selciato e rimanere li a guardare le stelle e respirare quell’aria leggera e profumata a pieni polmoni, dimentico di una giornata stressante e stressata, vissuta tra Caserta e Napoli, cominciata alle sei del mattino e terminata “appena” 12 ore dopo.
Il mio giardino, luogo di delizia, di riposo, di riconciliazione con il creato, di grande soddisfazione quando l’angolo dell’orto rende freschi cespi di lattuga e dolcissime fragole, ma anche luogo di fatica dura, quando viene assalito da fameliche erbacce ed allora… zappa, vanga e “olio di gomito”.
Nel cuore un sentimento di infinita gratitudine nei confronti di Loro che, con il lavoro, i sacrifici e l’attaccamento alla famiglia mi hanno permesso di godere di tanta bellezza.

domenica 14 luglio 2013

UNA CENA MULTIETINICA

Non è una novità per nessuno che, una volta che una casa in costruzione sia giunta al tetto, venga offerta una cena ai muratori, a coloro che con rischio, fatica e sacrificio, hanno portato a termine l’opera: si issa una bandiera tricolore e si fa festa! Si è sempre fatto, lo ricordo sin da bambino; il singolare, il nuovo è altro!
Presso il locale “Casa Matilde”, da tutti conosciuto come “Pietri a Santa Croc’”, in occasione della piccola festa che ho voluto offrire per solennizzare la copertura della piccola “casa fra gli ulivi” in via di completamento, sedevano,accanto a noialtri “autoctoni” , uomini di varie provenienze, razze, religioni ed etnie. La cosa mi ha lasciato piacevolmente sorpreso, ci pensate? … Vasily e Marcel, un rumeno e un camerunense che discutevano e scherzavano fra loro in un italiano fortemente “pietramelaresizzato”, evidentemente diventato, da tempo, il loro idioma comune. Mi sono divertito ad osservarli: quanta distanza dal nostro modo di pensare emergeva dal loro comportamento a tavola, seppure correttissimo ed educato. Chi sedeva accanto a me è arrivato ad un improbabile cocktail di birra e vino rosso, ed ha divorato insalata non condita per tutta la serata, anche quella che era servita a Pietro per abbellire i vassoi da portata. Quanto vissuto e quante difficoltà ci fossero dietro quelle stranezze è fin troppo facile immaginarlo. Altri, pietramelarese sposato con moglie rumena, raccontava con gioia ed autoironia quanto aveva dovuto faticare per comprendere le abitudini delle famiglie con le quali aveva fuso il suo destino.
Sono segni questi di quanto la nostra società, anche nelle zone rurali come le nostre, vada inesorabilmente mutando per evolversi verso un modello multietnico e multirazziale. Quali i pericoli, quali le conseguenze ipotizzabili, quali le opportunità da cogliere? … il ragionamento è articolato e sfaccettato.
Certo, mai dovremmo cedere di un passo di fronte a pericoli di perdita della nostra identità e della nostra cultura: essa è figlia di un cammino di civilizzazione iniziato ben trenta secoli or sono, ed è pertanto un bene di inestimabile valore. Tuttavia le evoluzioni sociali a cui assistiamo vanno vissute con animo sereno, non solo perché inevitabili ed imposte da un processo di globalizzazione che interessa l’intero pianeta . Hanno tanto da imparare, costoro, ma qualcosa in cambio, certamente ce lo insegneranno!

venerdì 5 luglio 2013

TRAMONTO IN CAMPAGNA

E’ bello lavorare in campagna sul fare dell’imbrunire, l’aria è ancora calda ma non si sente l’afa. La fatica quella si che si sente, ma va bene così! … alla fine di un’intera settimana, e dopo una giornata trascorsa nelle quotidiane routines, non cerco altro. I giorni dell’ufficio, specie in questo periodo, a bandi aperti, sono tirati al secondo, non c’è tempo da perdere: rispondere al telefono, comunicare con i superiori, ricevere utenti che si susseguono in continuazione, soddisfare le loro curiosità e richieste, rispondere a quesiti vari cercando di rendere servizi di buona qualità.
Ed allora, appena giunti a casa ci si cambia d’abito, e l’orto, e l’uliveto sono li, ad aspettare. L’ho detto e lo ripeto: la fatica fisica, per quanto intensa, è in grado di cancellare quella mentale insieme allo stress. Da quando ho capito la lezione, cerco sempre di dedicare alla campagna i miei pomeriggi e il disappunto per un qualsiasi contrattempo che me lo possa impedire è forte.
Il fondo “spitalera”, in agro del Comune di Roccaromana , da sempre appartenuto alla famiglia, è un vero e proprio spettacolo sul fare del tramonto: il sole ormai basso sull’orizzonte disegna geometrie sempre variabili insinuando i propri raggi tra le foglie; queste ultime, poi, agitate da una piacevole brezza producono una melodia che si fonde con il verso degli uccelli. Da poco lontano giunge la voce di un bufalaio che chiama per nome le proprie bestie per mungerle. Il sudore che si versa è tanto così come la sete che ne deriva, ma basta una bevuta dal pozzo e va via la sete, una volta a casa, poi, ci penserà una doccia ad eliminare anche il sudore.
Grande è l’armonia di questo angolo del Creato a quest’ora del giorno, così come grande è la soddisfazione per i frutti del proprio lavoro che vedi crescere sotto i tuoi occhi, ora dopo ora, giorno dopo giorno.

lunedì 1 luglio 2013

Mai così lontana, mai per tanto tempo

Sveglia alle quattro, ieri mattina, dopo mezz’ora circa partenza, direzione Capodichino: Aeroporto Internazionale di Napoli. L’alba era ancora nascosta dietro l’orizzonte, mentre si caricavano valigie e zaini, l’aria fresca e frizzante, da primavera inoltrata. Non ero io che partivo ma mia figlia, diretta in Spagna per una vacanza studio. Raccomandazioni varie e ridondanti, la conoscenza degli accompagnatori, le emozioni per la separazione, l’attesa interminabile di quelle due o tre parole al telefono, che non arrivavano mai: “sono arrivata, sto bene, il viaggio è stato bello”, il senso piacevole di liberazione dall’ansia che viene appena dopo.
A margine, la constatazione di un cordone ombelicale ormai del tutto reciso! Si è vero, i distacchi per gite e brevi vacanze c’erano già stati, ma mai era andata così lontano e mai per tanto tempo.
Sono dell’avviso che i figli non ci appartengono, appartengono molto di più a se stessi; e ritengo che quando un figlio/a prende il volo con le proprie ali è come un amore che finisce: non va assolutamente trattenuto, sarebbe un errore gravissimo solo pensarci! Bisognerebbe invece gioire, pensare che parte della tua missione di genitore va avanti, che qualcosa di buono è stato fatto, che il percorso fatto insieme per giungere ad una giovane donna che si prepara alla vita è ad un buon punto. Tuttavia rimane quel senso strano di solitudine, di smarrimento per una fase ormai conclusa e che non si ripeterà mai più, insieme al rincrescimento, perché queste cose sono conseguenza del tempo che scorre inesorabile e, mentre loro crescono si invecchia.