Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

mercoledì 25 febbraio 2015

IL VENTRE DI NAPOLI... E LA PIOGGIA

Che effetto fa Napoli con la pioggia? Quali sono le sensazioni di un osservatore che, dal diciassettesimo piano di una torre del Centro Direzionale, ha sotto gli occhi una città dall’aspetto così lontano dalla consueta oleografia? … un’oleografia che artisti e media continuano a propinarci, ma che tanti danni ha fatto a questa città e a questo popolo, ieri come oggi.
Ci pensavo stamattina alla finestra: avevo sotto gli occhi questa città comunque bella, che sotto una pioggerellina incessante mi appariva come una sorta di ventaglio aperto tra mare e collina; e come in ogni altro ventaglio che si rispetti anche Napoli ha le sue piume, ed ogni piuma è un palazzo, una cupola, la guglia di un campanile, un silo del porto. E per ogni piuma una, cento, mille storie di vita, di lavoro, di amori, di passioni, di miseria, a volte di efferati crimini.
Assorto fra tali pensieri mi ero un po’ estraniato dal contesto e, ritornato in me, ho diretto lo sguardo oltre la ferrovia, nei quartieri del “risanamento”, tra il borgo orefici, il rettifilo, forcella, i tribunali, e non ho potuto fare a meno di pensare quanto ancora attuale fosse la denuncia forte e disincantata di Matilde Serao, riportata dal meraviglioso saggio dal nome “Il ventre di Napoli”, la cui lettura si è rivelata per me un’inesauribile fonte di conoscenza verso la città che tanto amiamo ma che poco o nulla ci è nota. La tesi della scrittrice era sostanzialmente questa: il popolo napoletano da sempre è condannato alla miseria ed al degrado, fisico e morale, a causa di una classe politica con scarsa conoscenza dei reali problemi e con interessi assolutamente divergenti dal vero “risanamento” della città. Il degrado osservato dalla grande Matilde era presente ai tempi del colera nel 1865, episodio che diede vita all’operazione “risanamento”, era presente qualche decennio dopo, ai tempi in cui il saggio fu scritto e purtroppo è presente ancora oggi, dopo più di un secolo e mezzo.
A pensarci bene c’è bisogno di una grigia giornata di pioggia, anche a Napoli, perché con il sole, la luce e i colori rendono tutto molto più bello ed accettabile; con il sole il mare è di un blu profondo, le facciate dei palazzi del centro storico assumono un fascino ed una tonalità tutta particolare che solo in pochi posti si può ammirare. Con la pioggia no!.. con la pioggia emerge la verità nel modo più crudo.

martedì 17 febbraio 2015

LA PAPERA, IL FICO E LA FONTANA

Chi segue questo blog, è nato dalle nostre parti e vi ha vissuto l’infanzia un cinquantennio or sono o su di lì, potrà ricordarsi di una vecchia filastrocca che si usava ripetere ai bambini per intrattenerli. Come al solito in queste cose apparentemente semplici, c’è molto del nostro vissuto, della memoria collettiva della nostra gente e dei sentimenti che essa in larga parte condivideva. La filastrocca era accompagnata da una gestualità codificata e consisteva nell’identificare le piccole dita della mano del bambino con cinque omini, che venivano “chiamati in causa” piegando leggermente una ad una le dita stesse. Si cominciava con il prendere la piccola mano e, con il palmo rivolto verso l’alto si ripeteva la filastrocca che, se ben ricordo, faceva così:

...ccà ce sttà na funtanella
addò ce bbeve 'na paparella
(a questo punto si cominciava a piegare una ad una
delicatamente le piccole dita)
chistu l’acchiappa
chistu l’accire
chistu la spenna
n’atu s’a mangia
e chist’atu rice:
“ziu ziu ncoppa alla ficu
t’e mangiatu le ficu meie
c’è rimastu gli ciaccuni …
vieni rimani ca so mature”


che tradotto vuole dire

qui c’è una fontanella
dove beve una paperella
questo l’acchiappa
questo l’uccide
questo la spenna
un altro se la mangia
e quest’altro dice:
“uomo uomo sopra al fico
ti sei mangiato i miei fichi
ci hai lasciato solo quelle acerbe
ma se torni domani le troverai mature”


Si tratta come avrete potuto leggere di un quadretto idilliaco: una fresca fontanella, una graziosa ochetta che vi si reca per bere, che però culmina con un episodio cruento... c’è l’omino che acchiappa la papera, quello che l'uccide, quello che si occupa di spennarla ed il solito opportunista che se la pappa.
E’ vero, vi ho riportato solo una filastrocca infantile ed evidentemente partorita da menti poco avvezze alle lettere, ma comunque sempre in grado di farmi chiedere il perché delle tante incongruenze in essa contenute: prima di tutto il fatto che sia composta di due parti completamente slegate fra loro, poi per lo strano comportamento del quinto omino che, al posto di lamentarsi per essere stato escluso dal lauto pasto costituito dal pennuto in tal modo sacrificato, se la prende con un ladro di fichi, sinora non apparso nel contesto, rimproverandolo di aver lasciato sulla pianta solo i fichi acerbi (i ciaccuni), ma comunque invitandolo a ritornare domani perché li avrebbe trovati maturi.
E qui vi volevo, miei cari “quattro lettori”: non vi sembra questo il paradigma di una solidarietà sempre presente in diversi aspetti di quella civiltà, non è un comportamento solidale quello del quinto omino? … la gente di un tempo ormai trascorso di sicuro non versava nell’abbondanza, ma era comunque conscia dei doveri verso gli altri, anche, ad esempio,condividendo i frutti di un fico con un uomo anziano (ziu), e quindi nel bisogno, che senza alcun permesso se ne era cibato.

sabato 7 febbraio 2015

RIECCOMI

Ritornare a scrivere (o scribacchiare come vuole il titolo del blog), miei cari quattro lettori, dopo due mesi di “silenzio stampa” non è stato facile e tantomeno mi ha riempito di entusiasmo. Quali i motivi di un silenzio mai durato tanto a lungo?... nessuno e tutti. Chi scribacchia per se e per gli altri, e lo fa senza altro scopo oltre il piacere stesso di farlo, vuole scrivere sempre cose sensate, capaci di destare interesse e condivisione ma, in tutto questo lasso di tempo niente è stato in grado di stimolare il mio estro, le mie emozioni. In altre parole, lo confesso, non ho scritto nulla perché non avevo nulla da scrivere ne su me stesso, ne sulla terra che continuo ad abitare, ne sulla “pietramelaresità”. Certo… avrei potuto “cavalcare la tigre” del malcontento diffuso nei miei concittadini continuando a lanciare strali di fuoco nei confronti di chi ci (dis)amministra ma, nonostante la mia notoria contrarietà al sistema, ritengo che il buon senso vada adoperato anche in questo ambito e che per tutto ci sia una misura, una soglia da non varcare. Tornerò a farlo appena lo riterrò opportuno.
Non è una dichiarazione di resa la mia, ne tantomeno una sorta di testamento: già in passato ho vissuto crisi del genere che, quasi sempre, sono state seguite da periodi molto intensi e penso che anche stavolta, nonostante la durata sensibilmente maggiore, dovrebbe trattarsi della stessa cosa.
Vi aggiorno su di me, se la cosa vi fa piacere, dopo un Natale quasi tutto trascorso in compagnia di una “fedele e duratura” influenza, il ritorno in ufficio ha comportato una significativa novità: distacco a Napoli, presso la Direzione Generale Politiche Agricole, Alimentari e Forestali; era stato manifestato un bisogno e il sottoscritto ha risposto “Presente!”. Come tutte le cose nuove tale distacco ha generato apprensioni: luoghi conosciuti, ma gente nuova per colleghi e superiori, metodi di lavoro e tematiche diverse e, quel che per me è peggio assenza completa di contatto con l’utenza, le aziende, gli Enti, gli uomini; il lavoro che ho condotto finora in gran parte era fatto proprio di questo: consulenza a tecnici, imprenditori, amministratori pubblici, partecipazione a convegni ed eventi vari, contatto continuo con la realtà agricola e rurale”in loco”. Ma… tant’è: mi abituerò anche a questo nuovo lavoro. Napoli è una città caotica quanto si vuole e relativamente lontana dal mio borgo natio ma tanto bella da rimanere incantati: dribblare il traffico appena sceso dal treno o lasciando l’ufficio, respirare la sua aria salsa, guardare il Golfo da una stanza al 17simo piano in parte attenuerà questo senso di ignoto che mi pervade.