Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

sabato 26 agosto 2017

PENSO CHE BASTI!

Collaborare per un evento costa fatica, fisica e mentale: è cosa risaputa! Collaborare a Pietramelara con la Pro Loco,per un evento denominato Sagra al Borgo, invece no, comporta solamente una sorta di distruzione pressoché totale delle energie, fisiche e mentali; alla fine una di queste ultime tre giornate, dedicate a salire e scendere per i vicoli del borgo, non ho contato quante volte al giorno, dalla mattina alle otto fino a mezzanotte inoltrata, una doccia quasi già dormendo per la stanchezza e poi via, a letto.
Un’esperienza fatta di fatica intensa: anche un semplice fardello d’acqua va portato su a mano o a spalla, dal punto raggiungibile in auto sino al punto più alto del borgo; tutto è più difficile, faticoso e complicato! Un’esperienza da vivere, tuttavia, in prima persona per capire veramente di cosa si tratta. Bellissima ed elettrizzante, il contatto con tante persone giovani e meno giovani, lo spirito goliardico, il senso di gratitudine che traspare dai volti dei pochi pietramelaresi rimasti li ad abitare, ti ripagano da ogni fatica, anche con gli interessi.
E’ stata una tre giorni cominciata giovedì mattina, con l’organizzazione del convegno inaugurale, al teatrino degli archi, a seguire ieri venerdì e oggi sabato, tutti vissuti di un fiato: le cucine da pulire ed allestire, i punti del "percorso del gusto" da rendere vivibili ed adatti ad una degustazione guidata, gli espositori da accogliere, il tutto in una quasi contemporaneità da togliere il fiato. Alla fine però, con qualche ora di anticipo rispetto all’inizio dell’evento tutto è già pronto, in modo da offrire alle tante (si spera) persone che vorranno vivere la sagra, uno spettacolo in grado di soddisfare le aspettative anche dei più esigenti.
Cosa porterò con me? …prima di tutto il piacere di aver lavorato intensamente a contatto con persone che non conoscevo e che non mi conoscevano, rivelatisi dei grandi compagni di viaggio, pronti a sostenerti anche quando ciò che si richiedeva loro non era del tutto comprensibile, come dire: lo faccio proprio perché me lo stai dicendo tu…anche se la cosa non mi convince affatto! La soddisfazione, inoltre, di aver fatto qualcosa per il mio paese, e che in questo qualcosa sono racchiusi valori per cui si è spesa una vita intera.
Penso che basti!

mercoledì 23 agosto 2017

SOPRA LA POLEMICA

Il signor Lino Martone, che si professa meridionalista/gramsciano ha dato il “la” ad una lunga ed articolata polemica sul Forum Pietramelara, tra lo stesso e un nutrito gruppo di iscritti al forum di tendenza meridionalista/filo borbonica, riguardo al contenuto delle lapidi a corredo di un monumento a ricordo degli scontri, avvenuti tra Pietramelara e Roccaromana, tra garibaldini e soldati borbonici, ai tempi della riunificazione italiana, precisamente il 19 settembre 1860.
Il monumento, sorto sulla rotonda all’incrocio murro/croci/cinque vie, è stato realizzato negli ultimi giorni dell’amministrazione Leonardo a Pietramelara, rappresentandone una sorta di “canto del cigno” (vedi foto... evidentemente un cigno stonato, mah!).
Facezie a parte, mi si consenta di dire anch’io la mia opinione al riguardo: sono anch’io un convinto meridionalista, e pertanto conscio di quante negatività abbia causato la tanto celebrata unità d’Italia al meridione, basti pensare che a distanza di più di un secolo e mezzo la cosiddetta “questione meridionale” è ancora di scottante attualità. Il brigantaggio è stato solo un segno, forse il più tangibile, degli squilibri sociali determinatisi. Leopoldo Franchetti, esponente toscano della destra, tutt’altro che filomeridionale, nel 1875 scrisse: “Il genere di vita dei contadini è tale, che farsi brigante è un miglioramento, piuttosto che un peggioramento nella loro condizione”. Per reprimere il brigantaggio vennero commessi crimini orrendi, vedi le stragi di Pontelandolfo e Casalduni, a pochi passi da casa nostra, che per la ferocia fanno impallidire persino le rappresaglie naziste dell’ultimo conflitto mondiale, e i cui autori continuano ad essere celebrati come “eroi della patria”.
Carmine Crocco, Nico Nanco, Michelina De Cesare, ritenuti comuni criminali fino a ieri, cominciano (a ragione) ad essere rivalutati come difensori dell’identità meridionale fino all’estremo sacrificio
Non condivido tuttavia due cose fra quelle dette sul Forum: in primo luogo la nostalgia filo borbonica, e poi il modo di vedere la figura di Garibaldi. Andiamo con ordine: la dinastia borbonica sul trono di Napoli, iniziò con Carlo III, fu un periodo veramente felice e volto al progresso, anche per la saggia regia e l’influenza esercitata da uomini del calibro di Bernardo Tanucci; una volta che Carlo lasciò Napoli per la Spagna, i suoi successori non diedero prova di se altrettanto positiva, e sono convinto che gran parte della responsabilità per la dissoluzione del regno del sud, che durava da oltre cinque secoli, sia connessa alla loro condotta tentennante ed ondivaga, combattuta fra il progressismo di regine centroeuropee e il bigottismo diffuso nella corte.
Garibaldi, poi, lungi dall’essere il mercenario assetato di ricchezze, come detto nel Forum da qualcuno (l’esilio a Caprera ne è la più evidente prova) è stato, a parere di chi scrive, piuttosto un ingenuo idealista, strumentalizzato dall’ambizione di Cavour e di chiunque altro interessato a depredare il sud.Nel 1880, due anni prima di morire, evidentemente deluso dal come erano andate le cose dopo l’unità, ebbe a dire: “Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa miserabile all’interno e umiliata all’estero e in preda alla parte peggiore della nazione”.
I fatti della storia vanno analizzati alla luce dei documenti, altrimenti anche ciò che si scrive su un Forum appare un modo come un altro di ricercare visibilità e/o seguire una moda del momento.

mercoledì 16 agosto 2017

LA RIFFA

Chi non ha conosciuto la Pietramelara “che fu” forse non sa che, all’interno delle feste di piazza, accanto ai riti religiosi, ai soliti concertini, con cantanti più o meno alla moda, ed alle bande musicali, vi erano anche degli aspetti secondari non meno pittoreschi e degni di essere ricordati. A volte, come nel caso della tradizione che vado a descrivervi, lo scorrere del tempo ha eliminato del tutto o quasi questo genere di cose: esse continuano, tuttavia, a sopravvivere nelle memoria di quelli come me.
A San Rocco, a Sant’Antonio, a San Pasquale, o nella festa della Madonna a San Giovanni, si teneva la “riffa”: non era una lotteria, come comunemente si è portati a pensare, ma si trattava, in sostanza, di un’asta contadina, che serviva a tramutare in danaro le offerte ricevute “in natura” dai “mastri di festa” (oggi comitato). Costoro, quando facevano il giro delle masserie, un tempo numerose, raramente ricevevano offerte “in contanti”, ma la brava gente che vi abitava e lavorava era solita offrire per la festa pollame vivo, uova, formaggi e salumi, ecc. Il momento della riffa, molto seguito, era in genere immediatamente successivo il rientro della processione del santo: si allestiva un rudimentale podio (a volte una semplice sedia o una cassetta di legno), il banditore vi saliva e con la sua voce possente cercava di imbonire la folla per piazzare la merce che era stata offerta. Niente a che vedere con Sotheby’s e Christie’s, famose case d’asta anglosassoni, per carità! Nessun martelletto di legno battuto al momento dell’aggiudicazione, anzi…i modi del banditore erano spicci, e la lingua utilizzata solo il pietramelarese stretto; non di rado si poteva assistere a qualche divertente “siparietto” generato da un avventore che non condivideva del tutto l’operato e la correttezza del banditore, oppure anche a qualche scherzoso scambio di battute: la riffa destava interesse anche da parte di chi non era interessato ad acquistare nulla, proprio per queste particolari situazioni che frequentemente si generavano.
I banditori erano locali: quelli che ricordo io, brava gente del posto, dotata di voce forte e chiara e di una certa furbizia, che cercava di sbarcare il lunario lavorando in campagna o come manovale edile e che, aveva trovato il modo di arrotondare i magri guadagni, prestandosi per tale impegno nei giorni delle feste; il compenso? … una “mazzetta” di poche migliaia di lire che, se la riffa andava particolarmente bene, poteva anche essere incrementata, oppure anche nulla per devozione al santo che si festeggiava. Un’arte particolare, quella del banditore di paese, che consisteva soprattutto nell’accendere l’interesse dei presenti nei confronti delle povere cose “arriffate”. Se costui si accorgeva che qualcuno che si stava avvicinando poteva eventualmente essere interessato ai beni “arriffati” , prendeva tempo, prima di aggiudicare frettolosamente un “lotto”, fatto per esempio da un paio di gallinelle e/o un pollastro; ed allora le rituali sequenze che precedevano l’aggiudicazione “una, roi e ttrè” (Trad.:uno, due e tre) diventavano “una, roi…una, roi… una, roi” ripetute un numero indefinito di volte, prima di arrivare al fatidico “ …e ttrè” . Le ultime riffe che ricordo risalgono alla fine degli anni settanta dello scorso secolo; in seguito, un po’ perché le offerte “in natura” non si ricevevano più, un po’ per il diminuito interesse generale, o ancora perché non si trovavano più persone disposte a fare da banditore, esse sono ineluttabilmente passate nel dimenticatoio.
Roba povera quella che si “arriffava”, merce di poco conto, forse anche per questo motivo per deridere qualcuno di spessore umano molto ridotto o dall’aspetto curioso, nel nostro dialetto è entrato in uso l’invito scherzoso che gli si rivolgeva: “vatt’ a arriffà” (Trad.: vatti a far vendere all’asta [perché vali veramente poco]) . Nel nostro linguaggio comune, inoltre, stavolta in italiano, la riffa richiama alla mente una locuzione, un modo di dire di uso corrente: “di riffa o di raffa”. Quante volte vi sarà capitato di dire o di sentir dire: “di riffa o di raffa, hai ottenuto ciò che volevi”, che significa: lo scopo è stato raggiunto in un modo o nell'altro, comunque sia. E’ straordinario, infatti, come queste cose, ritenute dai più come secondarie e poco degne di nota o di ricordo, abbiano potuto incidere a tal punto sul nostro modo di essere e di comunicare, fino ad indurre delle vere e proprie forme di linguaggio!