Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

giovedì 21 luglio 2011

Riflessione semiseria

Cosa direbbe ad un viaggiatore di passaggio, un pietramelarese dell’anno 2111?: “Salve, da dove vieni? Qual è il motivo che ti ha spinto a passare di qua? Da quando le automobili non esistono più, le ultime le abbiamo rottamate tempo fa, per mancanza di benzina, nessuno più di noi lascia il paese. Sappiamo che a poca distanza da qui corre una lunga lingua di asfalto, che nel secolo scorso chiamavano autostrada, era percorsa da ogni tipo di mezzo di trasporto, oggi giace quasi abbandonata!
Da noi si vive solo dei frutti spontanei della terra: erbe, frutti, funghi, qualcuno riesce ad abbattere qualche piccolo selvatico, ed allora si fa festa. La nostra antica civiltà si sta per spegnere per mancanza di energia, dato che il petrolio si è esaurito e qualcuno, particolarmente miope, rifiutò un secolo fa lo sviluppo dell’energia nucleare. La televisione esiste ancora, ma pochi la possono vedere, e qui da noi a Pietramelara…nessuno; sappiamo che già nel ventesimo secolo pochi erano i canali a disposizione dei pietramelaresi, ma oggi quegli schermi vetrati sono diventati per noi solo un inutile impiccio.
Poco prima di entrare in paese avrai notato uno strano manufatto, che ricorda vagamente un’astronave, sembra che sia stata iniziata nel 2007: gli amministratori del tempo la chiamavano “rotonda”, è stata completata ed inaugurata solo qualche mese fa, e si vuole che, a farlo, siano stati i pronipoti di chi la pensò più di cento anni or sono; non è mai servita a molto ma, si sà, chi ha poca fantasia è soddisfatto anche se le proprie opere sono mediocri.
Poco distante puoi ammirare le rovine abbandonate di Roccaromana o, se vuoi, quelle di Riardo. Non è un gran bel vivere il nostro! Giovani non se ne vedono in giro da tempo, ma sembra che anche nel 2011, nonostante siano stati in numero maggiore di oggi, non molti si accorgevano della loro presenza. La nostra “modernissima preistoria” è figlia delle scelte sbagliate che i Pietramelaresi del secolo scorso cominciarono a fare sul finire del secondo millennio: non ci possiamo fare nulla se non maledire ed imprecare con rabbia!”

venerdì 15 luglio 2011

AVVOLTOI

A cosa pensa oggi Pietramelara? Al caldo che si fa sentire, soprattutto nello ore pomeridiane? All’anniversario di un parroco ottuagenario, ma mai stanco?
Ai seguiti tornei organizzati da un gruppo di giovani volenterosi (a volte turbati da episodi deprecabili, specie se i protagonisti rivestono ruoli istituzionali)? Non lo so!
Ciò che a me sembra è che tutti (o quasi) siano immersi in una sorta di dormiveglia. Tale sonnolenza generale ci porta ad ignorare che il paese è ammalato grave: l’economia e l’occupazione (specie quella giovanile) sono ai minimi storici, la situazione demografica è solo in apparenza stabile, ma in realtà sorretta dai continui arrivi di immigrati, la popolazione inesorabilmente invecchia, i servizi pubblici sono solo un ricordo (trasporti pubblici, sanità, istruzione), il territorio è deturpato da mille brutture piccole e grandi, l’Ente Comunale è di fatto amministrato da un gruppo di funzionari costosi ed autoreferenziali.
Solo alcuni episodi di particolare drammaticità sono in grado di ridestare un’identità comune ed un comune sentire da tempo smarrito, dopodiché tutto torna come prima.
E’ tempo che la sveglia suoni, stridula, martellante e mal sopportata, come nelle mattine di inverno! Chi ha talenti da mettere a disposizione lo faccia, prima che sia troppo tardi, raduni attorno a se persone volenterose, tese al bene comune, al risveglio delle coscienze. Gli avvoltoi hanno ricominciato ad aggirarsi intorno al corpo agonizzante del nostro paese; bisogna spaventarli, far capire loro che il malato è sì grave… ma tutt’altro che morto, che è pronto a drizzarsi in piedi e riprendere a camminare spedito.
In tale malattia i giovani, questi sconosciuti, dovranno fare la propria parte, entrare nel gioco, farsi sentire, dire la loro, assumersi responsabilità. E’ loro dovere chiedere spazio, è nostro concederlo, magari con l’affiancamento, ma senza riserve mentali.