Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

martedì 31 dicembre 2013

Lasciate che io brindi con voi

Lasciate che io brindi con voi al 2014 che arriva, carissimi miei quattro lettori! Lasciate che l’allegria ci pervada almeno per un giorno, che la speranza di un anno e di un domani migliore torni ad impossessarsi di noi. Nel corso del 2013 per troppo tempo la mala sorte, la tristezza e la depressione hanno giocato da protagoniste: basta guardarsi appena un po’ indietro, ruotando il capo di qualche grado, per vedere quali sciagure abbiano prodotto, anche nel nostro paese. Il terremoto di domenica sera ha poi rappresentato “il canto del cigno” di questo 2013.
Ma oggi “non è cosa di questo” (ho volutamente utilizzato un’espressione dialettale): bisogna essere ottimisti e guardare in avanti con coraggio e determinazione. Lo so: il divertimento è una categoria dello spirito e quindi non ci si può divertire “a comando”, solo perché termina l’anno. Ma i brutti musi, no, quelli, almeno oggi, non li voglio proprio vedere!
Amate i vostri uomini e le vostre donne, colmate di affetto i vostri figli, sono un dono di inestimabile valore; il lavoro rimanga il vostro faro, nulla è più prezioso, esso conferisce dignità a chi lo esercita e i suoi frutti danno sostentamento e benefici sociali. Tutto il resto è “inezia pura”, pulviscolo che si disperde al primo alito di vento: accumulo di patrimoni e ricchezze, visibilità sociale, carriera, tutto si dissolverà in meno di un istante. A tal proposito,scusatemi, ma a chi esercita a propri fini il potere dico: l’amore di una donna va conquistato e non comprato, facendo semmai leva su situazioni di bisogno.
Siate filosofi “del pensiero debole” quanto chi scrive: innamoratevi di un tramonto, cercate la compagnia degli amici, trascorrendo tempo con loro, anche nell’ozio, ritrovate la vostra vera identità più vera, riappropriandovi del dialetto e della cultura locale.
BUON ANNO

giovedì 26 dicembre 2013

FAVOLA DI NATALE


“In un Natale di tanto tempo fa Gesù Bambino, travestito da piccolo mendicante si aggirava per le vie di una città, chiedendo un poco di elemosina: non era il certo il bisogno a spingere a tanto il Re dei Re, si sa che avrebbe potuto aver tutto, ma si muoveva solo per conoscere il vero animo degli uomini.
Bussò per prima ad una dimora ricca, di veri signori: vistolo così malconcio si infastidirono e lo scacciarono in malo modo, minacciandolo anche di percosse se avesse solo provato a ritornare. Si incamminò di nuovo, e provò in una casa di un artigiano, ma le cose per costui e la sua famiglia non andavano bene, pertanto si erano chiusi nell’egoismo, ed alle richieste del Piccolo Mendicante si schernirono, dissero che anche loro versavano nel bisogno, e lo invitarono a passare più avanti.
Il freddo era pungente e cominciava anche a nevicare, le povere scarpe ai piedi del Bambino si erano quasi disfatte nel fango, ma nonostante questo Egli continuava, di casa in casa, e riceveva solo rifiuti. Giunse infine nei pressi di una casa semidiroccata, in evidente rovina, abitata da una vedova poverissima che doveva provvedere anche ad un figlio, “Fatemi la carità, sono infreddolito ed affamato”: implorò rivolto a costei. La povera donna si mosse a pietà, lo fece entrare, lo riscaldò accanto ad un fuocherello e tirò fuori da una credenza un tozzo di pane duro: era tutto quello che possedeva, ma era disposta a dividerlo. Lo mangiarono insieme lei, il figlio e Gesù. Dopo aver consumato il povero pasto, Gesù disse: “Ho ancora fame”, ma la povera donna rispose che tutto quello che aveva era stato già mangiato; l’Onnipotente, allora, ancora sotto le sembianze del piccolo mendicante le chiese di scendere per strada, di raccogliere gli escrementi di alcune mucche che erano passate di la ritornando dai pascoli alla stalla, e di cuocerli sotto la cenere calda del focolare. La donna era incredula, ma qualcosa le diceva di fidarsi e di fare ciò che il miserabile bambino le chiedeva; ed infatti, dopo poco tempo da sotto quella cenere, meraviglia delle meraviglie, uscì un pane fragrante, dolce e profumato, invitante al punto di far venire l’acquolina in bocca a chiunque si fosse trovato a passare nei paraggi: si era compiuto un miracolo, la Carità aveva vinto sull’egoismo, e solo allora Gesù si rivelò alla povera donna facendosi riconoscere”.
E’ questa una favola, un “cunto”, che la mia carissima Nonna Peppinella amava raccontarmi, quando da piccolo mi intrattenevo con lei, e si vede che la cosa stuzzicava non poco la mia fantasia; il racconto, forse anche per il modo di pormelo, mi affascinava in modo particolare, perché più e più volte le chiedevo di ri-raccontarla; si tratterà sicuramente del riadattamento, operato dalla cultura popolare, di un episodio evangelico (o tratto da qualche apocrifo?); tante altre me ne avrà raccontate, la cara nonna, ma la semplice vicenda che trasformò la più umile delle materie in una prelibata leccornia, mi dovette colpire a tal punto, che a distanza di oltre un cinquantennio sono qui, miei cari quattro lettori, a raccontarvela ,a mia volta: è il mio piccolo dono di Natale per voi!

mercoledì 25 dicembre 2013

BUON NATALE

Auguri, auguri, auguri
miei carissimi compaesani; utilizzare i mezzi messi a disposizione dalla moderna tecnologia, conferisce alle espressioni augurali un carattere nuovo sicuramente, ma non in grado di offuscare l’autentico significato insito nell’espressione “auguri”. Pietramelara la si vive in piazza, per le strade, nei locali e nei ritrovi, ma da qualche tempo i Pietramelaresi (quelli vicini e quelli lontani) hanno aggirato le barriere “fisiche” delle distanze transoceaniche e si sono riuniti in una comunità virtuale che li rende più vicini nelle emozioni, nei sentimenti e negli antichi legami e relazioni, stabilite tempo fa. Il vostro blogger “scribacchiante” non ha fatto altro che approfittare di tale situazione di fatto, di per sé molto positiva: dalla finestra virtuale del mio PC sento ora di comunicare a voi tutti, vicini e lontani, il mio affetto insieme all’intimo piacere di dialogare con voi.
Il Presepe Vivente al Borgo di domenica scorsa, la cena della Vigilia tra gli affetti della famiglia, la Messa di mezzanotte a San Rocco, celebrata da un inossidabile Don Roberto, capace anche nella senilità di suscitare con le proprie parole, dotte ed accessibili allo stesso tempo, buoni sentimenti e richiami al vivere da cristiani, tanti giovani esultanti nella gioia davanti al grande fuoco a San Pasquale: è questo il Natale di Pietramelara e dei Pietramelaresi, una magia particolare che anche il 2013, che ci lascia, non ci ha fatto mancare.
Vogliamoci bene, carissimi, ed vogliamo bene alla nostra Terra: essa ci ha generato, nutrito, allevato ed accoglie le ossa delle persone che abbiamo amato; è pertanto degna di ogni rispetto!
Voialtri pietramelaresi lontani, che ci leggete dalle pagine di fb o dai miei pezzi scribacchiati, siete più vicini di quanto pensassimo e, forse, nella vostra lontananza, amate Pietramelara più di noi che, per destino o fortuna, siamo rimasti qui. Prendiamo esempio da voi, dalla nostalgia che traspare forte dai vostri post, dal fatto che appena potete salite su un aereo e coprite migliaia di chilometri per tornare a calpestare queste pietre, per girarvi intorno e osservare una natura generosa, per mettere un fiore sulla tomba di una persona cara. Spinti dal bisogno, da necessità varie, a volte da un amore lontano, avete lasciato per sempre il nostro amato paese, ma il ricordo sopravvive in voi sempre forte e sempre presente; siamo grati a tutti voi per questo esempio di “pietramelaresità” che sopravvive a tutti i costi! BUON NATALE
Vs. aff.mo FRANCESCO, filosofo del “pensiero debole”

sabato 21 dicembre 2013

ASPETTO IL NATALE

Aspetto il Natale, mi preparo al Natale, chiudo il 2013 e, con esso, un ciclo. Chi mi conosce sa che questo non è il periodo dell’anno che preferisco, tuttavia devo dire che quest’anno avverto una serenità migliore rispetto a quella dei Natali che hanno preceduto. Uno degli obiettivi che mi sono posto da sempre è la realizzazione di una rete di relazioni, sia nel campo lavorativo/professionale che in quello affettivo/familiare, e devo dire che questa, anche se paragonabile ad una tela che non finirò mai di tessere, comincia a far sentire i suoi effetti positivi.
Mi hanno proposto ed ho ottenuto ulteriori responsabilità: la cosa mi ha gratificato non poco, ma ha anche accresciuto l’onere di giornate lunghissime che cominciano al mattino col buio e finiscono a tarda sera, con altrettanto buio. Ciò ha finito per erodere il mio “tempo libero”, gli hobbyes che coltivo: la scrittura, la cura del piccolo podere e dell’orto, la socialità tutta rurale che si vive in piazza, nelle ore intorno alla sera. Ma… tant’è: l’ho voluto e me lo tengo!
Finalmente, con la Vigilia inizierà il beve periodo di riposo e di vacanza che mi sono concesso, fino alla conclusione del 2013: riposerò nella maniera che mi piace, rimanendo (a oltranza) in casa: ritroverò la mia famiglia tra le mura domestiche e uscendo insieme, cercherò la compagnia degli amici con cui sto bene. Mi piacerà dedicare un po’ di tempo a me stesso, alla salute del corpo e dello spirito. Ho delle “cosuccie” da sbrigare, di quelle considerate poco importanti ma che, trascurate a oltranza, potrebbero causare fastidi.
Nello spirito natalizio più autentico (a mio modo di vedere), rigenererò me stesso e quanto mi gira intorno.
Dopo si potrà anche ricominciare a parlare di treni in perenne ritardo, delle difficoltà e delle preoccupazioni per i figli che crescono, del servizio reso ad una utenza dell’ufficio esigente e mai contenta, di un sistema che poco considera il merito e l’impegno.
Si… ma dopo!

venerdì 13 dicembre 2013

GI'UANNI A' MONDIALPOL

A Pietramelara I personaggi singolari non sono mai mancati! Affabulatori, matti, sedicenti poeti e via discorrendo: persone che nella vita sembra non abbiano avuto altro scopo all’infuori del far parlare di se e delle proprie azioni; va detto che, a volte, ci sono anche riusciti, tanto che a distanza di decenni il loro ricordo è particolarmente vivo non solo nella memoria di chi, come il sottoscritto, è notoriamente affetto da una grave forma di “pietramelarite acuta”, ma anche, e questo è molto indicativo, nella memoria collettiva di questo popolo.
E’ il caso che vi voglio raccontare: si tratta di un certo Giovanni (Gi’uanni), emigrato in quel di Milano e, dopo aver cambiato vari lavori, assunto in una famosa società di vigilantes, la Mondialpol. Eravamo tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, il mio paese non aveva ancora dismesso del tutto il suo aspetto rurale e la piazza era ancora luogo di incontro, occasione di svago e di impiego del tempo libero.
Chi è andato via per bisogno, se non è dotato di cultura e formazione in modo adeguato, in genere quando ritorna in paese assume un aspetto vagamente spocchioso e saccente, ed in alcuni casi la cosa si acuisce fino a sfiorare il curioso (se non il ridicolo). Il modo di vestire e l’aspetto la dicevano lunga: addome prominente, capelli “alla mascagna” sempre in ordine, pantaloni a zampa d’elefante, camicie a fantasie vistose portate fuori della cintola, immancabile borsello di cuoio a tracolla, destinato a contenere la Smith & Wesson a tamburo d’ordinanza. Il nostro si considerava un arrivato, vantava lauti guadagni, ed il massimo per lui era sottolineare la distanza che intercorreva tra se stesso e coloro che, per volontà o destino, erano rimasti in paese. Era solito tirar fuori dal borsello foto che lo ritraevano in divisa, a qualcuno mostrava la Smith & Wesson; gli piaceva suscitare interesse in piazza e a volte, attorno a lui, nelle sere d’estate si raccoglievano anche venti/trenta tra uomini e ragazzi che ascoltavano divertiti i suoi racconti, zeppi di enormità. Naturalmente fra i curiosi era solito infiltrarsi qualche buontempone in vena di sfottò, particolarmente abile nel porre domande al limite tra il provocatorio ed il surreale, la natura delle quali era nota a tutti gli astanti, meno che a chi venivano rivolte; se tirava fuori la solita foto in divisa con il berretto ottagonale, di foggia tipicamente americana, qualcuno di essi, con espressione seria, arrivava a domandare: “Gi’uà, ma rent’a quale banda ‘e musica stai?” (Giovanni ma in quale banda musicale suoni?) . Il nostro allora faceva per scocciarsi, per fingere di abbandonare il gruppo nel frattempo formatosi, ma si vedeva che ci teneva a rimanere al centro di quell’attenzione, per cui quella riunione estemporanea, dopo innumerevoli interruzioni del genere, durava fino a notte fonda. La Mondialpol per lui più che un datore di lavoro era divenuta una sorta di divinità materiale da idolatrare, e ne parlava in continuazione, tanto che per tutti in paese era divenuto “Gi’uanni a' Mondialpol”.
La voglia di rivalsa e di visibilità avevano prodotto in lui un senso di avversione profonda verso coloro ai quali si parlava ancora con il “Don”, non tanto i signori e i preti, ma soprattutto verso coloro che, a suo modo di vedere, non meritavano tale deferenza; allo stesso tempo si vedeva con chiarezza che quel “Don” lo pretendeva per se e che desiderava tanto essere chiamato “Ron Gi’uà”; qualcuno del suo estemporaneo seguito lo capì e da allora, in sua presenza, il “Don” veniva dato più o meno a tutti, passanti, massaie, operai e addirittura a bambini in tenera età, mentre al nostro era riservato sempre il solito vocativo: “Gi’uà”; per tale motivo in un momento di stizza, davanti a tanti “Don”, se stesso escluso, ebbe ad esclamare scocciato: “Chistu è proprio ju paese r’i priev’ti” (questo è il paese dei preti).
Gi’uanni a'Mondialpol, una delle infinite note di colore di quella Pietramelara che anche se non esiste più nella realtà, continuerà ad esistere per sempre nella memoria mia e di quelli come me.
FRANCESCO

sabato 7 dicembre 2013

SABATO MATTINA

Il giorno è bello e luminoso, stamattina, anche se il freddo si fa sentire pungente. Sono combattuto tra il rimanere a casa, a curare le mie cose, sistemare i miei archivi, corrispondere con amici, oppure staccarmi da questo PC e andare in campagna, godere del sole che nel frattempo avrà intiepidito l’aria.
Chissà… prevarranno le carte, gli scritti, le idee oppure l’operosità contadina che vive in me giorni di alterno vigore? In campagna, dopo questa intera settimana di pioggia e venti intensi, sicuramente qualcosa sarà successo, qualcosa richiederà di essere risistemato. Non so, a volte la pigrizia vince e il solo pensiero di dover indossare abiti da lavoro mi fa inorridire, freddi come sono. Finirò per andare, vestito come per casa, dare una fugace occhiata tutt’intorno e ritornare sui miei passi, come ordinariamente faccio di questi tempi. E’ stata questa una settimana particolarmente impegnativa per me e sono molto stanco: si usciva la mattina di notte e… auto, treno, bicicletta, ore ed ore in ufficio; al ritorno poi bici, treno ed auto e rivedevo il mio paese quando il sole era già calato da un pezzo. Ma… tant’è! Con chi prendersela se non me stesso? Il mio impegno prolungato nel tempo, il mio ritorno serale a casa mi hanno impedito persino di andare a fare “un’affacciata”. Il sabato di solito serve a questo, recuperare ciò che in settimana è stato impedito dal lavoro e dalla responsabilità.

venerdì 29 novembre 2013

UN EQUIVOCO DA CHIARIRE

L’oggetto della polemica, che da alcuni giorni si trascina su Facebook tra l’amico Nunzio Della Torre e un nostro concittadino emigrato in USA, il sig. Pasquale Regna, è un libro catalogo, tratto dalla mostra fotografica dal nome “BIANCO/ NERO – Incontro multimediale con il passato prossimo”. Fu un bellissimo evento, con tanto di convegno inaugurale, se non ricordo male il 15 settembre 1995, a cui parteciparono personaggi noti e meno noti, insieme a un nutrito pubblico del nostro paese; che dire poi delle due serate della mostra: non è un esagerazione che qualcuno tra i tanti visitatori si allontanò con gli occhi lucidi per le lacrime di commozione. Essere tra gli organizzatori di quell’evento, a distanza di tanto tempo, mi riempie ancora di legittimo orgoglio. Le foto raccolte, furono conservate in due o tre caricatori per diapositive e, dopo un giro di mani, non si è potuto più capire chi ne è l’attuale possessore. Fu quello un bel periodo quello di preparazione, ci si riuniva uno/due volte a settimana per condividere e selezionare il materiale raccolto, foto e anche qualche video, ricordo la passione di Don Roberto che non mancava mai un appuntamento, e l’emozione che permeava i presenti al vedere per la prima volta dopo decenni quelle foto.
Il successo dell’iniziativa indusse a pubblicarne il catalogo, e dopo una gestazione abbastanza lunga fu anche possibile darlo alle stampe. Il libro, cui fu dato il titolo di “Fotostoria di una comunità”(copertina e seconda di copertina, nelle foto a corredo), conteneva anche gli atti del convegno inaugurale. Come tante cose belle di Pietramelara, tanto entusiasmo prima e poi il nulla! Basti pensare che delle mille copie stampate si riuscì a venderne un paio di centinaia e le rimanenti sono andate anch’esse disperse (non si sa dove).
Riguardo alla polemica di cui parlavo all’inizio, da “persona informata dei fatti” mi sono fatto questa idea: il sig. Regna deve amare veramente il suo paese come fa in genere chi vi si allontana da giovane, e sono prontissimo a riconoscerne la piena buona fede. Il sig. Enzo Masiello fu solerte nella fase organizzativa di “BIANCO/NERO” e mise, ad onor del vero, un gran numero di foto a disposizione, soprattutto quelle relative al suo indimenticato papà Mario e alla sua indimenticabile passione per il corpo dei Bersaglieri. Qualcuna di queste foto donate dal Masiello andò smarrita, motivo per il quale il sottoscritto in persona si sentì in dovere di donare un CD a Enzo con tutte le foto del catalogo, da poco dato alle stampe; è evidente che l’amicizia che lo lega al sig. Regna lo abbia indotto a far dono di una copia del CD allo stesso. Questa la verità che conoscono non solo Nunzio Della Torre, ma anche il l’allora Presidente della Pro Loco, Peppe Izzo, il professore Tommasino Di lauro, il consulente tecnico Carmelo Di Nuzzo e tanti altri amici che hanno creduto in “Bianco/Nero” e che hanno vissuto questa bellissima esperienza di riscoperta delle “radici comuni”.

sabato 23 novembre 2013

LA PIOGGIA E L'ARCOBALENO

Cosa c’è di bello in una giornata di pioggia, come quella che stiamo vivendo? Nulla!... forse risponderete voialtri, annoiati ed infastiditi dalla forzata inattività, dalla permanenza in casa, dal freddo umido.
Il filosofo “del pensiero debole” che riposa in me la pensa diversamente: non bisogna aver paura della pioggia, come delle altre piccole negatività che la vita di ogni giorno ci riserva; esse se affrontate con l’animo giusto possono anche diventare foriere di emozioni positive.
E’ il mio caso: oggi, dopo pranzo, volendo reagire ad una mattinata divisa fra finestra, PC e televisione, sono voluto uscire per una passeggiata nei campi, così come faccio nelle stagioni più clementi o, almeno, quando non piove ed il tempo è disponibile; varcata la soglia già si vedeva che l’evoluzione in atto era tutt’altro che positiva; nuvoloni scuri e gonfi di pioggia all’orizzonte, insieme al risuonare di tuoni nell’aria provenienti neppure da troppo lontano. Bando al meteopessimismo, mi sono avviato con una leggerissima pioggerellina, di quelle aprilanti, per intenderci; la mia attenzione era rivolta tuttavia non al cielo ma alle auto in transito capaci di bagnare, entrando nelle pozzanghere, i pedoni ben di più della pioggia. Un comodo indumento impermeabile mi proteggeva e pertanto potevo proseguire tranquillo. Allontanatomi quei due tre chilometri, ad un punto che potrei definire “di non ritorno”, l’intensità della pioggia aumentava sempre di più, ma l’equipaggiamento era adeguato e si poteva continuare; addentratomi ulteriormente nella verde campagna ai piedi del Monte Maggiore, la pioggia ha cominciato ad arricchirsi di minuscoli granelli di grandine ma, tant’è… al punto dov’ero dovevo andare avanti. Mi avvicinavo di nuovo, intanto, alle prime case dell’abitato dalle parti dei “Mancini” e cominciavo a vedere che il tempo accennava a migliorare ed il sole a fare capolino fra le nubi ora grigie ora biancastre, quand’ecco, ad un’uscita più prolungata del sole, si staglia davanti a me uno spettacolo di affascinate bellezza: un arcobaleno prima sfumato ed incerto, poi, man mano più netto ed evidente. La sagoma ricurva dell’effetto ottico offriva una gamma completa dei colori dell’iride e si poteva vedere, dal punto in cui mi trovavo che un’estremità appoggiava nella piana dei pantani e l’altra a est, sull’abitato di Santa Croce. I pochi angoli azzurri nel cielo cominciavano a divenire sempre più grandi e a saldarsi fra loro; in tale scenario di annunciato miglioramento anche la mente è stata distratta dai pensieri cupi che era andata covando ed ho avvertito anche un senso di letizia.
Se una morale c’è da trarre dall’esperienza che vi ho raccontato, è questa: mai lasciarsi trascinare dalla negatività del contesto, anche dalle situazioni più buie possono venir fuori circostanze in grado di attenuarla e, in taluni casi, annullarla!

giovedì 21 novembre 2013

DISSESTI IDROGEOLOGICI: SIAMO AL SICURO?

Gli episodi che espongono il territorio nazionale a dissesti e a volte, purtroppo, a lutti, divengono sempre più frequenti. L’attuale sciagura vissuta dal popolo sardo è un vero e proprio “diretto al volto” per ogni italiano; ed allora la domanda che mi sono posto come tecnico, persona impegnata nel “sociale” e, non ultimo, come genitore è la seguente: “ma Pietramelara è veramente al sicuro da simili eventi disastrosi?”.
Una risposta affrettata mi porterebbe a concludere che, tutto sommato, il nostro territorio è (idrogeologicamente) solido e, di conseguenza, al riparo da certe negatività. Ma… è proprio così?
L’analisi storico/statistica dell’ultimo secolo, ci racconta che eventi idrogeologici effettivamente caratterizzati da negatività elevata sono mancati. L’osservazione del paesaggio circostante, d’altro canto, ci offre la meravigliosa visione del Monte Maggiore, uniformemente ricoperto di vegetazione, e si sa che una buona copertura vegetale è la migliore polizza assicurativa contro frane, alluvioni e colate di fango. La relativa vicinanza alla costa tirrenica , infine, ci pone al riparo da eventi piovosi estremi, caratterizzati da particolari durate ed intensità delle piogge.
Noi, tuttavia, che ci troviamo a gestire questa terra che ci ha generati, allevati e nutriti, abbiamo forti doveri di custodia nei suoi confronti; a termine del nostro ciclo essa deve essere consegnata ai posteri nelle condizioni in cui ce l’hanno lasciata i nostri predecessori! Ciò ci induce a non cullarci sugli allori di un passato benevolo, perché esso potrebbe essere anche solo legato ad una serie di circostanze positive. Non bisogna dimenticare poi che i suoli, specie quelli collinari e montani, si sono formati soprattutto dalle ceneri vulcaniche eruttate del Roccamonfina e trasportate dai venti, pertanto essi non si trovano in equilibrio stabile sullo strato calcareo sottostante, e potrebbero anche scivolare a valle in determinate condizioni (improbabili ma non impossibili).
Allora, ed il discorso si fa serio, bisogna studiare, programmare e gestire affinché la situazione permanga tranquilla e si mantenga nel solco che ha seguito sinora. Programmare e pianificare, si sa, non sono verbi usualmente coniugati dalle nostre parti ma … chi ha la responsabilità di amministrare deve cominciare a frenare la tendenza al consumo di suolo, specie in un paese, come il nostro, che da cinquant’anni a questa parte non cresce nella popolazione, ma è aumentato nella superficie e nel perimetro di almeno cinque volte (interi rioni vuoti e in ogni strada almeno un terzo delle case disabitate). Il disboscamento della pendice nord del Monte Maggiore deve essere contenuto al minimo, grande cura va riservata ai corsi d’acqua temporanei (fossi e valloni), degradati da qualche incosciente a comodi recipienti per rifiuti di ogni genere. La prevenzione del dissesto è anche diventata per qualcuno un buon pretesto per gestire appalti e conferire incarichi, come nel caso dell’ ormai arcinoto “ecomostro”, ma dubito “in scienza e coscienza” dell’effettiva utilità di quell’opera, sinora produttrice solo di fastidi; essa è ormai in cantiere da circa un triennio e si stenta ad intravederne il completamento.
Pianificare la prevenzione quindi, invertendo un consolidato metodo: solo così ci sentiremo veramente “al sicuro”.

sabato 16 novembre 2013

GIACCHINO FACETT' A LEGGE

Gioacchino Murat, giovane sovrano di Napoli dal 1808 al 1815, dopo aver perduto il regno sbarcò presso Pizzo Calabro, allo scopo di organizzare una spedizione miliare atta a riconquistare il trono. La cosa non fu coronata dalla fortuna e per questo il Murat venne arrestato e condannato a morte in base al Codice Penale promulgato da egli stesso. Tale codice, infatti, prevedeva la massima pena per chi si fosse reso autore di atti rivoluzionari o avesse invaso in armi il territorio del regno. La vicenda è passata alla storia e di essa si è impadronita anche la cultura popolare, tant’è vero che nella città di Napoli e nell’intera Campania si sente ancora ripetere il vecchio adagio “"Giacchino facett' a legge e Giacchino murette 'mpiso".
Curioso vero? … ma succede; e quante volte, anche se con risvolti meno drammatici, anche noi subiamo la sorte del povero Gioacchino, ed allora rimaniamo vittima dei nostri stessi eccessi di pedanteria e di pignoleria (a volte di vera e propria cattiveria). Capita a tutti di esigere fortemente una regola, una clausola contrattuale o qualcosa del genere, guidati da ambizione, sete di potere o semplice volontà di prevalere su altri e poi, inevitabilmente, ciò che si è chiesto con forza ed ottenuto si traduce in una sorta di contrappasso, ritorcendosi contro chi l’ha voluto, con conseguenze da altamente fastidiose fino a gravi e drammatiche.

domenica 10 novembre 2013

A VOLTE SONO PROFETICO

Stamattina, domenica 10 novembre 2013, nel salone del “piano nobile” del Palazzo Ducale di Pietramelara, a mio parere si è scritta una pagina di storia: da tempo immemore in quel luogo non si tenevano eventi; almeno questa era la mia opinione, peraltro demolita dal “sempreverde” Don Roberto Mitrano, il quale, intervenuto a conclusione dei lavori del Convegno sul recupero dei centri storici, organizzato dall’Associazione “Artes Loci”, presieduta dall’arch. Nunzio Della Torre, ci ha raccontato che nel corso dell’ultimo conflitto mondiale fu organizzata dalle truppe di occupazione alleate un serata di gala danzante a cui prese parte il Gen. Dwight D. Eisenhower, allora poco noto ufficiale americano, destinato a divenire l’inquilino della Casa Bianca da tutti conosciuto.
Folta la partecipazione al convegno, interessante il dibattito incentratosi sui temi delle relazioni.
Il vostro blogger scribacchiante, da sempre impegnato in tali tematiche, pubblicò sul periodico “Paese” nell’ormai lontano luglio 2005, questa nota sul palazzo ducale che accolto il convegno. A rileggerla adesso, in alcuni passaggi sembra essere dotata del dono della profezia
:
“La sua facciata, visibile da parte di chiunque entri in paese, è stato da sempre il biglietto da visita della città. Parliamo del Palazzo Ducale, senz’altro il monumento più importante, imponente e ricco di storia di cui possa disporre l’intera comunità pietramelarese. Fatto iniziare nel tardo rinascimento da Faustina Colonna, signora della città, e arricchito da un sontuoso giardino, conservatosi sino agli anni sessanta, il “Pomaro”, e da una chiesa satellite, l’Annunziata, è un monumento imponente nel vero senso della parola: pochi edifici della nostra provincia, infatti, possono competere con esso per dimensioni. Dal momento della sua realizzazione, ultimata presumibilmente verso la metà del XVI secolo, è cominciata l’espansione urbanistica di Pietramelara nella parte pianeggiante. Suggestive ed antiche leggende popolari parlano di passaggi segreti e trabocchetti nei suoi sotterranei; quella che è certa è senz’altro la sua destinazione d’uso: dalla documentazione disponibile emerge che esso nel periodo di massimo splendore era un’unità produttiva agricola basata sul modello della “villa veneta”, una sorta di brulicante villaggio all’interno del quale convivevano il signore e la sua famiglia, insieme ad amministratori, stallieri, giardinieri e contadini. Posseduto sino a qualche decennio fa dalla famiglia Caracciolo, la proprietà finì all’asta e fu smembrata; essa sembrava, pertanto, destinata al più triste declino ed abbandono. Tuttavia, è ormai certo che i momenti più tristi siano terminati: dall’autunno del 2003 sono iniziati i lavori di consolidamento strutturale, finanziati con la legge 219/81, progettati e diretti da un’ equipe di professionisti locali. I lavori, già giunti ad un buon stato di avanzamento, consistono in rifacimento della copertura, sostituzione di alcuni solai, rinforzo di alcune bellissime volte, rinforzo dello scalone principale di ingresso. Essi sono stati, inoltre, l’occasione propizia per il ripristino dell’originale aspetto delle facciate interne ed esterna; la previsione della loro conclusione può verosimilmente datarsi al prossimo autunno del 2006. Era veramente ora che si procedesse a restituire l’originaria dignità al fiero monumento, vero simbolo di una storia che permea ogni tradizione e la memoria collettiva di Pietramelara! I presupposti perché ciò avvenga ci sono tutti, sufficiente dotazione finanziaria, professionisti esperti,sensibili e legati al territorio, un impresa da sempre impegnata con rigore alla realizzazione di tali tipi di opere; a coronamento di tale intensa opera di restauro, a parere di chi scrive, dovrebbe esservi la definitiva acquisizione da parte dell’Ente Comunale del “piano nobile”: i saloni resisi disponibili potranno sicuramente recuperati per ospitare, ad esempio, una realizzazione polifunzionale in grado di fungere da auditorium, sala congressi, cinema e teatro”.

sabato 2 novembre 2013

PUORCI A CUNFIETTI

Il racconto è questo: un furbo commerciante di bestiame aveva portato al mercato un gruppo di suini pronti per la vendita, ma la cosa non destò molto successo quella mattina, ed allora un uomo alla ricerca di affari molto vantaggiosi si avvicinò e propose a costui di vendergli tutti i maiali ad un prezzo misero, veramente “stracciato”. Si vuole, allora, che il protagonista della nostra storia, per dimostrare di che pasta era fatto, tirò fuori dalla tasca una manciata di confetti, e li buttò in pasto ai maiali destinati alla vendita, dichiarando allo sprovveduto avventore: “I puorci miei gl’jaggiu missi a cunfietti!” (trad. : i miei maiali li nutro abitualmente con i confetti, quindi non ho cosa fare della miseria che mi proponi).
I confetti non sono un alimento abituale per suini destinati all’ingrasso, ed il paradosso è evidente!... forse i simpatici porcelli sono divenuti inconsapevolmente protagonisti di un episodio ad alto valore simbolico, abitualmente citato, anche perché il fatto è stato traslato nell’uso comune, ed ogniqualvolta si vuole additare un trattamento eccessivamente benevolo o vantaggioso destinato a qualcuno che non lo merita e/o non se ne è dimostrato degno, si usa dire dalle nostre parti, ricordando, appunto, il gustoso episodio “Ammu missu i puorci a cunfietti”.
“Ammu missu i puorci a cunfietti”, quando chi ci amministra non si dimostra all’altezza delle responsabilità a cui è chiamato.
“Ammu missu i puorci a cunfietti”, ogni qualvolta un uomo o una donna si dimostrano indegni dell’amore o del profondo affetto del coniuge o comunque di un compagno/a.
“Ammu missu i puorci a cunfietti” se un padre o una madre continuano ad amare dal profondo del cuore un figlio che gliene combina di tutti i colori, e per tale figlio impiegano ogni risorsa ed energia, nella speranza di un tardivo ravvedimento.
“Ammu missu i puorci a cunfietti”, infine, quando qualcuno senza alcun carisma, per amore ed ansia di visibilità, si autopropone per ruoli e compiti importanti, e grazie al caso ed alla fortuna riesce anche ad accedervi, salvo poi produrre con il proprio comportamento e la propria formazione una serie infinita di risultati disastrosi!

sabato 12 ottobre 2013

Autunno, autunni

Puntuale come non mai, l’autunno è ormai giunto!... ma non si tratta dell’autunno gioioso dai variegati colori, delle calde ottobrate, dei frutti vari e dolcissimi: questo è un autunno freddo e piagnucoloso, tipico di novembre, che infonde solo tristezza. Le giornate, ormai brevi, si trascorrono con un occhio al lavoro e l’altro alla finestra, il sole fa capolino rarissimamente tra le nubi, e per lo più si nega. Avvolti e concentrati, come siamo, nei nostri pensieri , veniamo distratti all’improvviso dai fragori di un temporale: scrosci di pioggia, fitti ed intensi, saette e tuoni rompono la monotonia di mattinate e pomeriggi grigi. Anche adesso, mentre scrivo, fuori piove intensamente; inutile dire quanto sia forte la nostalgia della bella stagione, del caldo e delle giornate luminose. Dovrei prepararmi ai lavori autunnali in campagna, ma è impossibile, dato questo tempo, e anche se le condizioni lo permettessero, me ne manca la voglia. E’ incredibile quanto l’ambiente esterno con la sua mutevolezza possa influenzare i nostri stati d’animo. Un autunno di questo tipo, poi, è particolarmente poco gradito a coloro che, come chi scrive, attraversano quell’età grigia (non solo per il colore dei capelli) che va sotto il nome di “autunno della vita”.
L’inverno (della vita), è vero, non è ancora giunto, ma si sente forte il dovere e la necessità di prepararvisi! Con responsabilità, come una brava massaia che si dota di provviste varie, anche io cerco di capitalizzare quanto mi rimane a disposizione affinché, una volta giunto l’inverno, possa affrontarlo nel migliore dei modi: lo farò servendomi della salute del corpo , che spero saprò tutelare, dell’equilibrio mentale , e con la consapevolezza di me stesso e del tempo che si attraversa.
In qualche modo bisogna lasciarsi dietro le spalle i rimpianti per ciò che non è stato fatto al tempo debito, e conservare gelosamente il ricordo di istanti felici , emozioni intense, volti ed immagini che mi hanno colpito; saranno i migliori compagni, nell’inverno che mi preparo ad affrontare. Grande cura va dedicata agli affetti, mi sosterranno.
Quanto grande sarebbe la voglia di ripercorrere i passi della gioventù, con le stesse risate fragorose, con gli stessi amici, con la stessa voglia di fare, disfare, progettare per il futuro; ma il tempo per questo è ormai trascorso! Arrendersi agli anni che passano inesorabili, allora? Giammai! Un pezzo di vita mi è ancora davanti e voglio viverlo nel migliore dei modi, plasmando il destino con le “mie” mani.
Ho ancora tanto da fare, voglio farlo bene e, soprattutto, di testa mia!
Francesco, filosofo del pensiero debole

sabato 5 ottobre 2013

TEMPO DI VENDEMMIA

E’ un momento magico e ricco di suggestioni, questo che si vive tra la fine dell’estate e le prime settimane dell’ autunno: la vendemmia.
Il mio Paese, anche se non ha mai avuto una forte e spiccata vocazionalità vitivinicola, continua a mantenere comunque una viva tradizione in tal senso. Fino a qualche decennio fa ogni famiglia, o quasi, possedeva un appezzamento vitato, una piccola vigna in cui produrre il vino da consumare in casa, per l’intero anno. Il vino allora era sostanzialmente considerato un alimento, capace di apportare nella dieta di quel tempo, povera ed essenziale, una buona quantità di energia a buon mercato. Oggi no: le superfici vitate si vanno contraendo sempre di più e resistono solo nelle zone più vocate del nostro territorio comunale; le cause quasi sempre la contrazione nel consumo di vino, la mancanza di personale adeguato per seguire, in campo ed in cantina, una produzione tanto delicata, il tramonto della tradizione. Tuttavia se ci si aggira per le vie e i vicoli, è facile e frequente imbattersi, di questi tempi , in una folata di quel piacevole e tanto caratteristico profumo del mosto in fermentazione, ed entrare a contatto con esso evoca immediatamente alla mente i ricordi legati a tale periodo dell’anno così suggestivo e caratteristico.
Ed allora riemerge l’immagine dell’arrivo delle carrette e delle “trainelle”, tirate da pazienti somari, al calar del sole, ricolme fino all’inverosimile di cassette d’uva appena vendemmiata; queste cassette, in legno di castagno in grado di contenere circa mezzo quintale d’uva, venivano scaricate e condotte nei “cellari”, locali terranei, un po’ oscuri, destinati alla vendemmia ed altre attività, ove avveniva la pigiatura e la fermentazione. Dopo qualche giorno si “ammuttava”, ossia il mosto veniva spillato e separato dalle vinacce. La famiglia si riuniva in tale occasione, e la vendemmia e tutte le operazioni consecutive erano condotte secondo un rituale rigido e codificato, tramandato oralmente di padre in figlio. L’emozione più forte, per me come per tanti ragazzi e bambini che hanno avuto la possibilità di viverla, era rappresentata dal fontanone di vino che sgorgava libero appena tolto il tappo del tino,nel nostro dialetto detto “maf’ru”, dalla caratteristica forma troncoconica; il mosto con impeto e gioioso fragore passava dal tino, detto “laviegliu”, al “ ‘nnanzilaviegliu”, un recipiente di circa cento litri, diffondendo per l’intero vicinato quei sentori e quegli aromi, che oggi i sommelier si sforzano di cercare un po’ in ogni vino posto sul mercato. La vendemmia aveva come epilogo costante la torchiatura, “a turcitura”, contraddistinta dal suono caratteristico e ritmato prodotto dal torchio, simile al tintinnare di una campana al collo di un animale al pascolo, capace di farsi udire anche a distanza. Ed era proprio tale tintinnio, nelle ore serali, a guidare ed attirare sparuti gruppi di buontemponi, picari di casa nostra, che si aggiravano di cellaro in cellaro, alla ricerca di una bevuta generosa e gratuita; “facet’ne assai” (“fatene molto”, alludendo al vino)era l’espressione grata e benaugurante che si rivolgeva al padrone di casa e a coloro che erano impegnati in tali attività, con essa si salutava e si passava oltre, in un altro cellaro, in un’altra cucina.

mercoledì 25 settembre 2013

GIORNATE "NORMALI"

E’ da tempo, caro “scribacchiando”, che, ad imbrattare le tue pagine, non ci provo neppure. Tempo di crisi!... mi lamentavo già qualche mese fa, ma oggi sembra che non abbia proprio più nulla da dirti. La mia vena, la mia voglia di scrivere, che qualche consenso lo hanno pur destato, sembra si siamo momentaneamente assopite, per non dire che ormai ronfano a più non posso. Visto che ci sono, e siccome è passato un bel po’ di tempo che non comunico più con te, provo a raccontarti la mia giornata, così … tanto per trascorrere un po’ di tempo insieme.
Si inizia di buon mattino, quando l’alba è ancora nascosta fra i monti ed il cielo è ancora scuro: piccola colazione, telegiornale, e la solita mezz’ora al PC, per coltivare passioni che solo a quell’ora posso permettermi di coltivare. Viaggio prima in auto, poi in treno, discorrendo con i soliti amici e/o con occasionali compagni di viaggio, a Caserta mi attende la fida bici, che assolve al compito di recarmi dalla stazione in ufficio, luogo in cui trascorro la maggior parte della mia giornata.
E qui viene il bello (se di bello si può parlare). Sono stati chiusi nei giorni scorsi vari bandi del PSR, a cui hanno partecipato un numero di richiedenti superiore ad ogni rosea (o pessimistica?) previsione; ed allora, appena passate le otto e mezza, la mia stanza comincia a mutare di aspetto e, dapprima con gradualità, poi via via con sempre maggior vigore, si trasforma in qualcosa che somiglia da vicino a uno di quei suk brulicanti delle città arabe, dove le voci degli avventori si sommano a quelle di coloro che sono li per vendere qualcosa, ed ognuno alzando la voce cerca di prendere il sopravvento e di prevalere. Suona il telefono, fingo di ignorarlo, ma il furbo, dall’altro lato del filo, pensa bene di chiamare al cellulare (sia stramaledetto l’inventore dell’unico strumento di tortura divenuto status simbol). Intanto entra il capo, reca anch’egli il diabolico telefonino nel palmo della mano, mi dice che tale sindaco vuole conferire con me, assorto come sono nelle mie cose,distrattamente gli rispondo “fallo accomodare” senza degnarlo di un solo sguardo, ma lui comincia ad innervosirsi e replica “non è qui ma al telefono”, sorridiamo entrambi. Si avvicina l’ora del pranzo, la gente e le telefonate non ne vogliono proprio sapere di concedermi questa pausa (meritata, che dici?), cerco allora di fare uno sforzo per completare un po’ di cose, ci riesco.
Dopo pranzo i ritmi si fanno più soft, l’utenza non può più accedere agli uffici e ci si può dedicare a tirare le fila del discorso, tentare di stilare un bilancio provvisorio della giornata, anche per chiedersi, come diceva qualcuno, se “lo stipendio per questo giorno l’ho meritato o no?”.
Si ritorna a casa: bici, treno, auto, percorso a ritroso. Un po’ di musica dalle cuffiette, nella parte ferroviaria; mancano i compagni di viaggio? … tanto meglio, si può anche schiacciare un pisolino. Non mi è mai capitato di andare oltre la destinazione, a causa di queste sieste ferroviarie, ma qualche volta ci è mancato molto poco!
A casa la famiglia, gli affetti e gli altri impegni propri del sottoscritto: i lavoretti di casa, il giardino, la campagna e se avanza un po’ di tempo si va camminare all’aria aperta.
Giornate “normali” per gente “normale”.

sabato 21 settembre 2013

ESSERE PIETRAMELARESE

Essere pietramelarese costituisce da sempre motivo d’orgoglio in chi lo è: tale condizione, infatti, eleva anche il più semplice dei cittadini ad un rango privilegiato rispetto alle realtà ed ai paesi che ci circondano: la cultura diffusa, il senso di ospitalità, la bellezza del paese, delle campagne e dei monti che lo circondano conferiscono in chiunque un forte carattere di appartenenza che porta i singoli ad identificarsi pienamente nella comunità. Vi è da dire che oggi questi sentimenti si sono in parte affievoliti ma, per fortuna, non annullati: essi resistono in un numero elevato di persone appartenenti ad ogni classe di età e ceto sociale!
Per quello che mi riguarda, penso che la mia “pietramelaresità” traspaia da qualsiasi gesto ed espressione: a volte, devo confessarlo, essa è divenuta anche motivo di ironia - se non di scherno - per i miei compagni di lavoro, persone che – per forza di cose - non possono rendersi conto di quanto questo sentimento sia presente in tutti noi. Vado ripetendo che il dialetto Pietramelarese è da sempre il modo che preferisco per esprimermi, specie quando mi trovo tra persone che gradiscono la riscoperta di termini e modi di dire del passato. Nel corso degli anni che ho vissuto ho sentito sempre aumentare il bisogno di trascorrere parte del mio tempo libero in piazza, ad ascoltare le persone, a capirne i problemi e gli interessi; ho sentito crescere l’esigenza di percorrere a piedi, in bicicletta o, al limite, con la mia vecchia moto, le nostre contrade rurali, per assaporare gli odori ed i colori di una natura lussureggiante, per leggere e studiare un paesaggio frutto della saggia collaborazione fra l’uomo e la natura.
Se me lo consentite, anche la mia passione per lo scrivere è stata dettata, imposta dall’esigenza di far conoscere ad un gran numero di persone le tante cose belle e buone di Pietramelara, nonché a stimolare e far aumentare in chi la amministra l’attaccamento alla missione che gli è stata affidata. Non so in quale misura i miei scritti abbiano centrato questo obiettivo ma, vi assicuro, le intenzioni erano le migliori: collaborare con la stampa locale ha costituito per me un’esperienza esaltante , ricca di motivazioni.
Essere e sentirsi di Pietramelara, a mio modo di vedere, significa anche e soprattutto preferire che chi mi rivolge la parola mi chiami per nome, senza inutili sovrastrutture di titoli accademici .
Amare Pietramelara costituisce, è ovvio, il primo dovere per chi si propone alla guida della comunità che vi dimora. Ma, vi siete mai chiesti come si fa ad amare il proprio paese se non si conoscono le persone, se non si ha almeno una vaga idea di come siano composte le famiglie e le parentele, se non si conoscono le località ed i toponimi che, nel corso di una storia plurimillenaria, sono stati ad esse attribuiti, se non si possiede l’abitudine di frequentare la piazza: come si fa ad amare Pietramelara, se non si è nemmeno di Pietramelara?

domenica 1 settembre 2013

PIANETA GIOCHI

Viaggiando, viaggiando fra l’attuale galassia e quella del passato prossimo (vedi su questo blog “Due galassie” , 30 ottobre 2011), la fantastica astronave della memoria potrebbe anche far tappa sul pianeta “Giochi”.
Soffermandomi a considerare nella mente, oggi, bambini, adolescenti e giovani (ma anche qualche adulto) concentrati all’inverosimile su uno smartphone o una play station, dal finestrino dell’astronave e dal mio punto di vista, non potrei fare a meno di osservare quanto più aggreganti e divertenti fossero i nostri giochi, quelli a cui abbiamo giocato in interminabili e bellissimi pomeriggi, con il sole ancora alto nel cielo o, appena finito un temporale, come rischizzati in strada, oppure ancora “fore Sant’Austinu” (in Piazza Sant’Agostino), aspettando l’orario del catechismo, da noi detto “ ’a luttrina” (dottrina).
Praticati in strada, dicevo, su una piccola piazza o ai margini di un campo coltivato i giochi di allora non erano mai solitari: si andava dalla “campagnella” al “padrone del marciapiede” , dalla “bandierina” (ruba bandiera) al “ciucciu ‘nterra” , e così via. Essi esaltavano, appunto la funzione aggregante del gioco, cosa che, con l’evoluzione sociale e la massiccia introduzione dell’elettronica nelle attività ludiche, è andata definitivamente perduta. Ma, non solo … impegnavano fortemente la mente ed il corpo e non solo i polpastrelli! In altre parole la faceva da padrone quel connubio di fisicità, esperienza e intelligenza che si profondeva nel gioco, come nel citato “ciucciu ‘nterra” (VEDI FOTO), in cui veniva esaltata la capacità di resistere (al peso) di chi stava “sotto” e l’abilità nel saltare di chi era sopra; o anche e la fisicità insieme alla memoria come nell’ ormai quasi del tutto dimenticato “ a chi è primu è primu monta” consistente nel dover saltare i compagni “alla cavallina” e mentre si saltava recitare anche una breve filastrocca e, mentre si procedeva nei livelli di gioco, il salto e la filastrocca divenivano via via più difficili; una sorta di metafora della vita, insomma!...che dire poi Il nascondino o “celariegliu”, fatto di capacità di nascondersi e mimetizzarsi e velocità nella corsa? …dei “quattro cantoni”, della “palla avvelenata” e della “palla prigioniera”?
Descrivere ora l’intero corpo di regole che i giocatori in erba si erano dati e tramandati oralmente per generazioni, sarebbe un esercizio impegnativo e, tutto sommato, poco gradito ai pregiati “quattro lettori” di questo “blog scribacchiato” ed anche , francamente, impossibile dato il tempo trascorso; rimane, però, una inguaribile (sigh) e struggente nostalgia per quelle ore trascorse insieme, per quelle sonore risate e per quei richiami imperiosi delle mamme a ritirarsi, quando il sole cominciava a calare.

domenica 25 agosto 2013

ISCHIA

Bellisima, Ischia: panorami mozzafiato, bellezze naturalistiche e monumentali ad ogni piè sospinto, un territorio variegato di colori e paesaggi, dall’arenile costiero all’alta collina mediterranea. Isola “verde” per nomea e fama, con una vegetazione che la fa da protagonista variando, con la quota, dalle piante grasse in riva al mare, fino alla vite, all’olivo ed il castagno man mano che si sale; castelli e chiese maestose, orme impresse da una storia bimillenaria, legata al suolo molto fertile, alla pesca ed alle acque termali . Un’isola apprezzabile da moltissimi punti di vista … ma non dal mio!
In vacanza, specie se stressati quanto il sottoscritto, si va in cerca di relax totale ed abbandono all’ozio! Modeste pretese per tutti, meno che per un vacanziere campano tipico (come il vostro blogger scribacchiante); non è possibile sbarcare auto o motocicli propri, il noleggio (quando possibile) è proibitivo; e se fino a qualche anno fa a tali difficoltà si sopperiva con una rete di trasporto pubblico più che efficiente, oggi i bus sono pochi e non offrono alcuna garanzia che il servizio venga reso. Se poi, per una serie di coincidenze, ci si riduce al periodo ferragostano per le vacanze, gli inconvenienti si moltiplicano e tutto diviene ancora più complicato, complice il sovraffollamento di località molto amene ma, tutto sommato, quasi adiacenti ad una grande città come Napoli. Se si opta per un albergo sul mare la sera si devono coprire distanze chilometriche per uscire, se , al contrario, si opta per uno dei numerosi alberghi siti all’interno dei paesi, per andare al mare bisogna fare altrettanto: non c’è scampo!
Sono ormai passati, per me, gli anni in cui era piacevole avventurarsi sulle pendici dell’Epomeo per ammirare un tramonto, oggi vacanza è tutt’altro: al riparo dal sole, sotto l’ombrellone, una sdraio da preferire al lettino, la fragranza della salsedine da respirare e, soprattutto, la compagnia di una buona lettura. Si, ma tutto questo confligge con la consistenza numerica ed il vociare di nuclei familiari estesi fino al quarto- quinto grado di parentela, con la loro voglia di divertirsi senza cura alcuna di tutto e di tutti, con le note emesse da bambini frignanti e/o iperfelici (è lo stesso) a frequenze prossime agli ultrasuoni: il gesso che stride sulla lavagna è musica al confronto!

lunedì 12 agosto 2013

LETTERA AD UNA DICIOTTENNE

Cara Filomena,
il giorno che tanto aspettavi è giunto, hai diciotto anni, diciotto meravigliose gemme custodite in un prezioso scrigno. Sei felice, hai tanti amici intorno che vogliono festeggiare il tuo compleanno e … sai perché? Per il più semplice dei motivi, perché ti stimano e ti vogliono un mondo di bene, quel bene che si vuole alle persone come te, che non si perdono in mielosità, ma dietro un carattere spigoloso e a volte burbero, nascondono un cuore ed una sensibilità più unica che rara.
Sei diventata una giovane donna, anche se io preferisco pensarti ancora un poco bambina, quella bambina che ha allietato tanti miei giorni, ed è stata capace anche di temprare qualche cocente delusione che la vita non ti fa mai mancare. Goditi la tua splendida gioventù, è un bene di una tale preziosità da dover essere custodito con la massima gelosia ed attenzione; ho grande fiducia nei tuoi mezzi, pertanto so bene che non rincorrerai mai quei falsi miti che tante gioventù, splendide quanto la tua, hanno consunto.
Quella in cui stai entrando è una fase cruciale della tua vita: le decisioni che si intraprendono alla tua età sono destinate ad avere un impatto fortissimo sul resto dell’esistenza. Pondera tutte le opportunità che ti si offriranno con coraggio e responsabilità, e sappi che qualunque sia la tua scelta, io riterrò essa sempre la “migliore possibile” e pertanto rimarrò al tuo fianco, per fare in modo che il percorso che vorrai intraprendere si concluda con i traguardi che meriti.
Ama sempre con trasporto la tua famiglia, così come hai fatto sino ad oggi, essa è fonte di valori ed energie positive; ama la terra che ti ha generato, ma non essere legata ad essa in modo eccessivo e viscerale, potrebbero derivarne delle negatività.
Questo il mio augurio: goditi con allegria e spensieratezza questo giorno e la festa che stiamo preparando, anche perché, come diceva il Magnifico “…di doman non c’è certezza”.
IL TUO PAPA’


domenica 4 agosto 2013

TEMPO DI CRISI

Ci risiamo, rieccomi in una delle mie ricorrenti crisi! Non ho voglia di scrivere e, d’altronde, anche se l’avessi non saprei cosa scrivere!
Sarà il caldo opprimente, sarà il fatto che prima della pausa di riposo estivo, che sto per concedermi, ho accelerato il ritmo di lavoro, al fine di lasciare tutte sistemate le “partite pendenti”, sarà anche che non ricevo stimoli dall’ambiente che mi circonda, fonte di ispirazione fino al passato recente, ma … se devo essere sincero: non so cosa dire e cosa comunicare!
Avevo abituato i miei “quattro lettori” almeno ad un pezzo la settimana, semmai da far uscire nel week end, ma tant’è: oggi si devono accontentare solo di riproposizioni di pezzi datati. E’ una situazione che determina in me uno stress non indifferente, ma penso proprio di non poterci fare nulla.
Le due settimane che mi accingo a fare lontano dal lavoro e dall’ufficio magari mi ritempreranno e mi restituiranno la voglia di scrivere e, soprattutto, mi offriranno spunti da comunicare, sensazioni ed emozioni da condividere. Spero sia così, non vorrei che il mio “scribacchiare”, che tanti consensi e riscontri positivi ha suscitato, finisse come un candela che si spegne per esaurimento della cera. Sarebbe un fatto grave per me, prima che per i miei lettori, in quanto - l’ho già detto – “scribacchiando” placa la mia voglia di comunicare ed interagire con il mondo che mi circonda.

sabato 27 luglio 2013

CAPRI

Cosa ci vuole per raggiungere Capri? Poco o nulla, veramente poco: un’ora d’auto e un’altra di aliscafo, e si è in uno dei posti più belli del pianeta! Un vero scrigno, questo, che racchiude gioielli di inenarrabile bellezza ed amenità: panorami mozzafiato, mare di un colore che cambia al cambiare della roccia che vi si riflette, località rese famose dal cinema e dallo “star sistem”, roba da VIP insomma.
Eppure chi, come me, filosofo del “pensiero debole” e spettatore disincantato della bellezza del Creato, visita Capri è alla ricerca di “altro”. Nell’estemporanea visita che l’altro ieri, insieme alle mie donne, mi sono concesso, vedevo di fiutare nell’aria qualcosa che i media, la pubblicità, le aziende di soggiorno ed il marketing territoriale sistematicamente si lasciano sfuggire.
Abbiamo meticolosamente ottemperato a tutte le visite che “si devono” fare: Grotta Azzurra, giro dell’isola con passaggio ai faraglioni, la piazzetta e le vie dello shopping, i Giardini di Augusto, la Via Krupp (solo un pezzo, però). Ma, come dicevo, sentivo una sorta di malessere derivante dalla ricerca di quel qualcosa d’altro a cui accennavo prima; non sapevo di cosa si trattasse ed il fatto mi ha anche un po’ inquietato, fino al punto di intraprendere la via del ritorno a casa. Quasi per caso, poi, non ho scelto la funicolare in discesa per il ritorno, ed ho optato per il percorso pedonale che dalla piazzetta conduce al porto, e qui è venuto il bello: un serie di vicoletti in ripida discesa, angusti e tortuosi, nei quali si respirava, tuttavia, l’aria della Capri vera, dell’isola appartenente ai capresi e a tutti gli altri, uomini illustri come l’imperatore Tiberio o il magnate germanico Ferdinand Krupp o gente comune, che l’hanno amata. Case appartenute a contadini e pescatori, con piccoli giardini antistanti, che mi parlavano di quando Capri ancora non era assurta a capitale mondiale del Jet Set, di quando si viveva ancora di piccola pesca sotto costa, o coltivando quella terra benedetta che produce vini stupendi, limoni dalla buccia spessa ed odorosa, e pomodori, logico coronamento di un’insalata “caprese”, frutti che sanno veramente di “mediterraneità concentrata”.
Quanto ho compianto coloro che si limitano, nel visitare Capri o altri luoghi, ad osservazioni dettate solo da imposizioni consumistiche e mediatiche, e senza alcuna volontà di andare un po’ più a fondo nelle cose, si limitano a percorsi stereotipati.
La bellezza non è nota e disponibile a chiunque, ma si offre a buon mercato a chi sa cercarla!

domenica 21 luglio 2013

RADICI

“Radici” è un’espressione in voga sin dagli anni ‘70, dall’uscita dell’omonimo bestseller dello scrittore afroamericano Alex Haley, che trattava la saga di una famiglia, dalle origini in Africa, attraverso al deportazione e la schiavitù, in America. Da allora ogni qual volta ci si vuol riferire alle origini, al legame con i luoghi natii, si ricorre a tale suggestiva espressione: “Ricercare le radici, ritrovare le radici”, quante volte anche nel gergo giornalistico e mediatico ci imbattiamo in essa!
Ma cosa sono per noi e per la nostra gente le radici? A pensarci bene le radici, quelle botaniche così come quelle genetiche, hanno in comune due fondamentali funzioni, quella di ancorare saldamente e quella di nutrire. E chi si allontana, per libera volontà o necessità dai luoghi di origine, sente le “radici” come un vincolo, come un richiamo imperioso : a volte, poi, come mi è capitato ieri, ci si rende conto di queste cose senza nessuna ricerca, quasi fosse un evento del tutto casuale. Il dolore ci libera dalle sovrastrutture culturali che, con il tempo,sono state imposte dalla scuola, dall’ambiente sociale e dalla necessità ed ecco che le radici, con tutto il loro potere emergono prepotentemente. Ed allora un’anziana donna, una vedova, residente a centinaia di chilometri di distanza, che decide di affidare il corpo del proprio caro congiunto alla terra di Pietramelara, a dispetto di sicure difficoltà logistiche, ne è la più chiara dimostrazione. Una scelta sicuramente ragionata e meditata nel corso di una lunga malattia che lasciava presagire una fine vicina, ma nella quale le “radici” hanno giocato un ruolo fondamentale. Questa la sintesi del ragionamento: “Terra di Pietramelara, mi hai generata ed allevata, sono partita e sono stata lontana per decenni, ho studiato, lavorato e progredito, messo su famiglia, ti restituisco ora, quale tributo di affetto ed appartenenza, il corpo dell’uomo che ho amato, ed anche se non era uno dei tuoi figli, sono convinta che lo custodirai con ogni cura”.

sabato 20 luglio 2013

NEL GIARDINO, DI SERA

Vivo nella casa costruita circa cinquant’anni or sono dai miei genitori: niente lussi, molto essenziale, una buona posizione rispetto al centro del paese; nonostante ciò, al di là del muro di cinta, tanta, tanta campagna, fino a perdita d’occhio, fino alle falde della collina. Sono appena rientrato dal giardino, vi ero andato per una piccola commissione: appena varcata la soglia, con la luce ancora spenta ho alzato gli occhi al cielo e mi si è parato davanti uno spettacolo di indescrivibile bellezza, non una nube, e la volta celeste punteggiata di un numero di stelle infinito, più piccole, più grandi, più luminose, altre meno; ma le sorprese non erano finite… dopo qualche attimo, complice una leggerissima brezza, sono stato investito da una vera e propria ondata di profumo intenso ed inebriante, proveniva dall’ampia siepe di rincospermium, rampicante che ha fatto tesoro della rete di separazione con il vicino di casa per crescere ed avvilupparsi. Mi è venuta una gran voglia di sedermi sul selciato e rimanere li a guardare le stelle e respirare quell’aria leggera e profumata a pieni polmoni, dimentico di una giornata stressante e stressata, vissuta tra Caserta e Napoli, cominciata alle sei del mattino e terminata “appena” 12 ore dopo.
Il mio giardino, luogo di delizia, di riposo, di riconciliazione con il creato, di grande soddisfazione quando l’angolo dell’orto rende freschi cespi di lattuga e dolcissime fragole, ma anche luogo di fatica dura, quando viene assalito da fameliche erbacce ed allora… zappa, vanga e “olio di gomito”.
Nel cuore un sentimento di infinita gratitudine nei confronti di Loro che, con il lavoro, i sacrifici e l’attaccamento alla famiglia mi hanno permesso di godere di tanta bellezza.

domenica 14 luglio 2013

UNA CENA MULTIETINICA

Non è una novità per nessuno che, una volta che una casa in costruzione sia giunta al tetto, venga offerta una cena ai muratori, a coloro che con rischio, fatica e sacrificio, hanno portato a termine l’opera: si issa una bandiera tricolore e si fa festa! Si è sempre fatto, lo ricordo sin da bambino; il singolare, il nuovo è altro!
Presso il locale “Casa Matilde”, da tutti conosciuto come “Pietri a Santa Croc’”, in occasione della piccola festa che ho voluto offrire per solennizzare la copertura della piccola “casa fra gli ulivi” in via di completamento, sedevano,accanto a noialtri “autoctoni” , uomini di varie provenienze, razze, religioni ed etnie. La cosa mi ha lasciato piacevolmente sorpreso, ci pensate? … Vasily e Marcel, un rumeno e un camerunense che discutevano e scherzavano fra loro in un italiano fortemente “pietramelaresizzato”, evidentemente diventato, da tempo, il loro idioma comune. Mi sono divertito ad osservarli: quanta distanza dal nostro modo di pensare emergeva dal loro comportamento a tavola, seppure correttissimo ed educato. Chi sedeva accanto a me è arrivato ad un improbabile cocktail di birra e vino rosso, ed ha divorato insalata non condita per tutta la serata, anche quella che era servita a Pietro per abbellire i vassoi da portata. Quanto vissuto e quante difficoltà ci fossero dietro quelle stranezze è fin troppo facile immaginarlo. Altri, pietramelarese sposato con moglie rumena, raccontava con gioia ed autoironia quanto aveva dovuto faticare per comprendere le abitudini delle famiglie con le quali aveva fuso il suo destino.
Sono segni questi di quanto la nostra società, anche nelle zone rurali come le nostre, vada inesorabilmente mutando per evolversi verso un modello multietnico e multirazziale. Quali i pericoli, quali le conseguenze ipotizzabili, quali le opportunità da cogliere? … il ragionamento è articolato e sfaccettato.
Certo, mai dovremmo cedere di un passo di fronte a pericoli di perdita della nostra identità e della nostra cultura: essa è figlia di un cammino di civilizzazione iniziato ben trenta secoli or sono, ed è pertanto un bene di inestimabile valore. Tuttavia le evoluzioni sociali a cui assistiamo vanno vissute con animo sereno, non solo perché inevitabili ed imposte da un processo di globalizzazione che interessa l’intero pianeta . Hanno tanto da imparare, costoro, ma qualcosa in cambio, certamente ce lo insegneranno!

venerdì 5 luglio 2013

TRAMONTO IN CAMPAGNA

E’ bello lavorare in campagna sul fare dell’imbrunire, l’aria è ancora calda ma non si sente l’afa. La fatica quella si che si sente, ma va bene così! … alla fine di un’intera settimana, e dopo una giornata trascorsa nelle quotidiane routines, non cerco altro. I giorni dell’ufficio, specie in questo periodo, a bandi aperti, sono tirati al secondo, non c’è tempo da perdere: rispondere al telefono, comunicare con i superiori, ricevere utenti che si susseguono in continuazione, soddisfare le loro curiosità e richieste, rispondere a quesiti vari cercando di rendere servizi di buona qualità.
Ed allora, appena giunti a casa ci si cambia d’abito, e l’orto, e l’uliveto sono li, ad aspettare. L’ho detto e lo ripeto: la fatica fisica, per quanto intensa, è in grado di cancellare quella mentale insieme allo stress. Da quando ho capito la lezione, cerco sempre di dedicare alla campagna i miei pomeriggi e il disappunto per un qualsiasi contrattempo che me lo possa impedire è forte.
Il fondo “spitalera”, in agro del Comune di Roccaromana , da sempre appartenuto alla famiglia, è un vero e proprio spettacolo sul fare del tramonto: il sole ormai basso sull’orizzonte disegna geometrie sempre variabili insinuando i propri raggi tra le foglie; queste ultime, poi, agitate da una piacevole brezza producono una melodia che si fonde con il verso degli uccelli. Da poco lontano giunge la voce di un bufalaio che chiama per nome le proprie bestie per mungerle. Il sudore che si versa è tanto così come la sete che ne deriva, ma basta una bevuta dal pozzo e va via la sete, una volta a casa, poi, ci penserà una doccia ad eliminare anche il sudore.
Grande è l’armonia di questo angolo del Creato a quest’ora del giorno, così come grande è la soddisfazione per i frutti del proprio lavoro che vedi crescere sotto i tuoi occhi, ora dopo ora, giorno dopo giorno.

lunedì 1 luglio 2013

Mai così lontana, mai per tanto tempo

Sveglia alle quattro, ieri mattina, dopo mezz’ora circa partenza, direzione Capodichino: Aeroporto Internazionale di Napoli. L’alba era ancora nascosta dietro l’orizzonte, mentre si caricavano valigie e zaini, l’aria fresca e frizzante, da primavera inoltrata. Non ero io che partivo ma mia figlia, diretta in Spagna per una vacanza studio. Raccomandazioni varie e ridondanti, la conoscenza degli accompagnatori, le emozioni per la separazione, l’attesa interminabile di quelle due o tre parole al telefono, che non arrivavano mai: “sono arrivata, sto bene, il viaggio è stato bello”, il senso piacevole di liberazione dall’ansia che viene appena dopo.
A margine, la constatazione di un cordone ombelicale ormai del tutto reciso! Si è vero, i distacchi per gite e brevi vacanze c’erano già stati, ma mai era andata così lontano e mai per tanto tempo.
Sono dell’avviso che i figli non ci appartengono, appartengono molto di più a se stessi; e ritengo che quando un figlio/a prende il volo con le proprie ali è come un amore che finisce: non va assolutamente trattenuto, sarebbe un errore gravissimo solo pensarci! Bisognerebbe invece gioire, pensare che parte della tua missione di genitore va avanti, che qualcosa di buono è stato fatto, che il percorso fatto insieme per giungere ad una giovane donna che si prepara alla vita è ad un buon punto. Tuttavia rimane quel senso strano di solitudine, di smarrimento per una fase ormai conclusa e che non si ripeterà mai più, insieme al rincrescimento, perché queste cose sono conseguenza del tempo che scorre inesorabile e, mentre loro crescono si invecchia.

sabato 22 giugno 2013

DOMENICHE A PIEDI

Non so come abbia fatto a dimenticarmene fino ad adesso, e non avervene ancora parlato! Eppure la memoria, l’avrete notato, è l’unica cosa che non mi difetti: si tratta una storia risalente a quaranta anni or sono, esattamente al 1973, roba che solo chi, tra i miei quattro lettori, ha parecchi capelli grigi sulle tempie può ricordare. Ero poco più che un bambino al tempo, forse portavo ancora i calzoncini corti, ma il ricordo è netto, come se la cosa fosse avvenuta solo ieri: a causa di una serie di tensioni internazionali in Medio Oriente, oggi ancora non risolte, molti governi dei Paesi occidentali, compreso quello italiano, furono costretti ad emanare disposizioni volte al drastico contenimento del consumo energetico, in seguito allo choc petrolifero (aumento repentino del prezzo del greggio nel 1973). La cosa ebbe forte risonanza mediatica e prese il nome di “Austerity”, e si manifestò a cavallo tra il 1973 ed il 1974. Le misure varate ebbero un impatto tangibile sul modo di vita degli italiani. Esse comprendevano un forte aumento del prezzo dei carburanti, l'obbligo di ridurre la pubblica illuminazione del 40% e di tenere spente insegne e scritte pubblicitarie. Bar e ristoranti dovevano chiudere entro la mezzanotte, mentre ai locali di pubblico spettacolo veniva imposta la chiusura entro le ore 23. Allo stesso orario dovevano essere conclusi anche i programmi televisivi. La velocità sulle strade veniva limitata a 50 km/h nei centri urbani, 100 kmh sulle strade extraurbane e 120 km/h sulle autostrade.
La disposizione di maggior impatto fu il divieto di circolazione nei giorni festivi dei mezzi motorizzati, velivoli e natanti compresi. Nei numerosi articoli di giornale dedicati al tema, venne coniata la colorita espressione, che ancor’oggi qualcuno ricorda, delle cosiddette “domeniche a piedi”.
Come si sa la nostra gente è abituata a “far di necessità virtù”, e così quelle domeniche assunsero un aspetto e un fascino del tutto particolare che, a distanza di tanti anni, ancora non si cancella: chi in bicicletta, chi sui pattini, chi a piedi, ognuno mostrò di non aver sofferto più di tanto le costrizioni imposte “ob torto collo” da quel momento particolare. Io e mia sorella acquistammo un paio di pattini nuovi, altri in famiglia addirittura si provvidero di un pony ed di un calesse nuovo di zecca, destinato alle uscite domenicali. Altri ancora, garzoni di fabbro e di ciclisti, ragazzi più o meno della nostra età, facendo ricorso ad un ingegno innato che emerge in periodi particolari, si improvvisarono costruttori di artigianali tandem; e poi li vedevi orgogliosi e tronfi procedere a bordo delle proprie “creature”, per farli felici bastava chieder loro di fare un giro! Pietramelara, e specialmente il nastro lungo e dritto di via San Pasquale, in quei pomeriggi domenicali si riempiva di gente dal volto sereno e scanzonato che mostrava evidente piacere da quell’insolita situazione. Si vedevano famiglie intere passeggiare, e dai volti traspariva la gioia per quell’occasione insolita per stare insieme, all’aria aperta.
Ripensare a quel tempo oggi, mentre l’intera umanità si dimena in una crisi economica che ha assunto dimensioni planetarie, fa sorridere amaramente. Allora bastò all’Italia, appena uscita dal boom economico dei floridi anni sessanta, usare la fantasia e stringere un poco la cinghia, oggi sembra che non ci siano misure che tengano. Eppure, oggi come allora, possiamo e dobbiamo credere che una via di uscita ci sarà e, che dopo ogni tempesta, anche la più furiosa, il sole ritorni a splendere nel cielo azzurro e terso.

martedì 18 giugno 2013

POMERIGGIO AL MARE

Ne avevo proprio bisogno: un giorno di ferie, così, tanto per stemperare la tensione, interrompere il frenetico tran tran quotidiano, riposare la mente dedicando il pensiero a cose diverse.
Sono uscito di buon mattino, mi attendevano l’orto e l’oliveto, irrigazioni nell’uno, sarchiature manuali nell’altro; una grande faticata e tanto, tanto sudore versato. Ad un certo punto il caldo ha cominciato a farsi sentire imperioso ed ho capito che era venuto il momento di tornare a casa.
Una doccia al volo e, già tutto (o quasi) era pronto: colazioni, costumi, teli e … via, si è partiti alla volta del mare. Viaggio tranquillo, lido pressocchè vuoto, abbiamo dovuto anche fare da bagnini aprendo sdraio, lettini ed ombrelloni, ma, si sa, anche questi imprevisti possono rendere particolarmente piacevole un momento vissuto in famiglia. Di sole ne avevo già preso tanto, stamattina in campagna, ed allora la mia giornata balneare è stata dedicata al più assoluto e totale relax, la sdraio e un libro all’ombra. Sono rimasto in tale assetto per ore. L’aria era profumata di quell’ odore salso, tipico del litorali marini, il silenzio del tutto insolito per il luogo conferiva carattere di particolare incanto. Il bagno? Non era il caso, dato che l’acqua non aveva aspetto rassicurante; ed allora una passeggiata “in solitaria”, con la schiuma delle onde che si infrangeva tra i piedi e, infine un’ulteriore supplemento di lettura, questa volta sul bagnasciuga, dato che il sole, nel frattempo, era divenuto molto più “umano”.
Credo che siano queste le cose che ti riconciliano con la vita: poche pretese, le persone che ami , accettare anche qualche contrattempo e la ricerca sincera della serenità, che a volte si mette a “fare capolino”.

domenica 9 giugno 2013

PARLENN' CU RISPETTU (o...della pudicizia rurale)


Nel viaggio immaginario ed emozionale all’interno della civiltà contadina, nel quale lo stesso vostro blogger “scribacchiante” è, ad un tempo, guida e viaggiatore incantato, un aspetto ancora non considerato è quello della pudicizia. Un valore questo, una categoria che oggi, nel linguaggio giornalistico va sotto il nome di “pruderie”; secondo una definizione tratta dal web “Il termine starebbe a indicare moralismo di stampo puritano, perbenismo un po’ bigotto, castigatezza oltre misura, esagerato pudore, insomma”. Proprio su questo aspetto della “pudicizia rurale” vorrei soffermarmi: quella dei nostri nonni è stata vera morigeratezza, oppure si tratta solo di una questione di facciata? O meglio: il pudore, la pudicizia sono sentimenti più autentici oggi, al livello di minimo storico, o ieri? Come al solito gli aspetti da considerare sono molteplici e l’analisi rischia di divenire pesante e poco digeribile, mi limiterò, quindi, come al solito, solo a ripercorrere con la memoria ciò che ricordo.
Il pudore traspariva da ogni atto di quella tramontata civiltà, ed a volte ripensarci fa sorridere. La cosa veniva poi portata agli estremi quando un dialogo si stabiliva fra individui appartenenti a diverse classi e categorie, nettamente separate secondo la rigida stratificazione sociale del tempo. In tali contesti, quando proprio non si poteva fare a meno di citare nel discorso parti anatomiche, atti o anche animali considerati “impuri”, si cercava di minimizzare la cosa con la scusante “parlenn’ cu rispettu”, ed allora: “parlenn cu rispettu, i pieri”, “parlenn cu rispettu, stevu a ffà i fatti miei (facevo i miei bisogni, ndr)”, “parlenn cu rispettu, ju puorcu”. Era questo un modo come un altro di cercare di non offendere l’interlocutore altolocato; ma … pensateci: come se tale signore, altolocato o meno che sia stato, non avesse i piedi anch’esso, non faceva mai i propri bisogni e non avesse mai visto un maiale o mangiato le saporite carni, ecc.
Che dire poi di tutte le faccende attinenti al sesso? In tal caso il pudore nel discorso assumeva i tratti dell’omertà! Come in tutti i discorsi che coinvolgevano l’apparato genitale femminile, le sue cicliche indisposizioni e le sue (purtroppo) frequenti malattie. La donna, nei giorni del mestruo, era considerata impura e quindi inadatta a molte faccende domestiche, come la lavorazione delle carni di maiale, quella delle bottiglie di pomodoro ecc. … ma la cosa andava trattata con la dovuta discrezione: ed allora mentre già si era iniziato a lavorare tutte insieme essa, “rea” di una fisiologica ricorrenza mensile, si avvicinava in silenzio e un quasi po’ contrita alla più anziana del gruppo, la matriarca, e le sussurrava qualcosa nell’orecchio e costei , con l’autorità derivante dal ruolo, le diceva comprensiva e severa “… e vvà, vvà”, dispensandola da ogni incombenza, le altre fingevano di non aver udito e non chiedevano alcuna spiegazione in merito all’assenza.
Quando poi la sfortuna si accaniva su qualcuna, con una malattia all’utero, alle ovaie o al seno, guai a parlarne con chiarezza ed apertura! “Se tratta r’ cos’ re femm’n”, si rispondeva severi a chi, imprudente o inconsapevole, chiedesse la causa di qualche malessere di una sorella, di una cognata o di un’amica di famiglia. Ed allora si capiva che non si poteva e non si doveva andare oltre.

martedì 21 maggio 2013

Arrivederci, Giuseppe

Ciao, Giuseppe
Per salutarti vorrei non parlare delle cose che ti hanno legato a me e, soprattutto, alla mia famiglia;...vorrei, ma non posso! E’ troppo forte e netto il ricordo di Te che, da bambino fino a poco più che adolescente, per anni hai frequentato casa mia per il “doposcuola”, dell’odore e del sapore della cioccolata svizzera che il tuo compianto papà non faceva mai mancare, ad ogni suo ritorno: sono immagini queste dei miei primi anni di vita che, per quanto datate di oltre un quarantennio, ancora si stagliano con precisione nella memoria. La tua presenza discreta di allora era premonitrice di quello che saresti diventato da adulto: un campione di quel valore tanto apprezzato ed apprezzabile che va sotto il nome di “pietramelaresità”. Si, perché tale valore traspariva da ogni tua espressione, verbale e non verbale: l’attaccamento al paese, alle sue tradizioni, ai giovani, alla nostra amata montagna e, non ultimo quell’innata disponibilità che mostravi verso tutti sul luogo di lavoro che tanto hai amato. Varcata la soglia degli uffici comunali era veramente difficile non trovarti li, subito, nell’arioso corridoio, con quel sorriso malinconico che non ti abbandonava mai , stampato sul volto.
“Giusè me serve ‘na fotocopia ‘e sta determina”, “Giusè presteme ‘na penna”, “Giusè protocolla sta lettera”… e tu sempre li pronto ad accogliere ogni richiesta con la solita solerzia e cortesia. Sembrava quasi dalla tua espressione che trasparisse in te una sorta di gratitudine nei confronti del richiedente, per averti offerto l’ennesima occasione di renderti utile all’Ente, ai suoi amministratori, ai cittadini utenti. Sembra quasi che il caso ed il destino ti abbiano condotto li, in quegli uffici perché bisognava che qualcuno rimpiazzasse degnamente il Carissimo Ninuccio, la cui tragica fine oggi segna quasi un contrappasso rispetto alla tua, silenziosa e discreta, quanto silenziosa e discreta è stata la tua esistenza terrena.
Te ne sei andato così, in silenzio, in punta di piedi, lasciando in una Pietramelara attonita l’ennesimo vuoto che difficilmente sarà colmato! E’ veramente difficile rimpiazzare un uomo come te, specie oggi che i valori che più si affermano sono quelli della visibilità ad ogni costo, dell’ alterigia e del potere, categorie dalle quali tu ti sei sempre tenuto alla debita distanza, senza chiose né commenti.
Arrivederci caro amico, Pietramelara ti saluta con rimpianto!

sabato 18 maggio 2013

IL TEMPO


Dovrei averlo letto da qualche parte, anche se non ricordo dove: “Il tempo non esiste! Esso è solo una categoria virtuale che l’uomo si è inventata, allo scopo di seguire il decadimento fisico/biologico del corpo che si verifica con l’invecchiamento”. Su quali basi scientifiche sia stata elaborata tale suggestiva teoria non è dato saperlo e … bisogna dire che la cosa si rivela interessante, infatti una delle risorse di cui l’uomo moderno maggiormente avverte la carenza è proprio quella: il tempo. Il concetto secondo il quale il tempo non esiste risolverebbe, quindi, d’un solo colpo numerosissimi problemi, sarebbe un vero colpo di spugna a tanti affanni che ci prendono.
Sono dell’avviso tuttavia che non è così, e che le cose non stiano in termini di tale semplicità; non sarò qui a tediarvi, cari “quattro lettori”, con le argomentazioni filosofiche , fisiche e biochimiche che smentiscono del tutto la teoria di cui sopra ma, in più ed prima persona, devo dire che, tra le mie tante ansie, la mancanza di tempo occupa sicuramente uno dei primi posti per importanza.
L’uomo moderno vive attaccato all’orologio ed, a volte, questo piccolo ed incruento “strumento di autotortura” non lo toglie neppure a letto. Il collezionismo di orologi da polso, attualmente tanto in voga, d’altronde è solo un corollario alla dipendenza quasi masochistica che si è stabilità tra la macchinetta infernale e chi la porta con sé (dappertutto).
Abbiamo tutti paura di non aver tempo per conseguire un obiettivo, per toglierci delle soddisfazioni, per coltivare le nostre passioni, per la famiglia e gli affetti … ma perché? Sentiamo i giorni, i mesi, gli anni scorrere inesorabilmente e con essi questo tipo di paura, che viene da dentro, inesorabilmente aumenta sempre di più.
Eppure (ed è questo il paradosso) non ci accorgiamo dell’enorme quantità di tempo perso in attività ritenute importanti ma che, nella sostanza , non lo sono affatto; ed allora bisogna fare in modo che il senso della “qualità del tempo” vada a sostituire e soppiantare quello di “quantità di tempo”: solo in tal modo ci renderemo conto che il tempo non passa invano e che esso torna ad essere una risorsa disponibile nel modo giusto (anche se non illimitato). Quest’ultimo concetto tradotto “in soldoni” significa: per far in modo che il tempo e la sua perenne mancanza cessino di essere un problema assillante, c’è bisogno di un mutamento di stile di vita che porti a privilegiare le cose veramente importanti a scapito di quelle che la vita moderna ci ha imposto, facendole passare come tali.

Francesco, filosofo “del pensiero debole”

mercoledì 8 maggio 2013

UN'ABITUDINE CHE CONFESSO

Sono le cinque del mattino, mi sono svegliato prima della sveglia, l’ho superata, surclassata. Aperti gli occhi ho provato a girarmi e rigirarmi nel letto, ma … non serve, la dose di sonno ordinariamente concessami si è ormai esaurita, ed allora: levata, pipì, qualche biscottino nella dispensa e rieccomi, caro PC, oggetto che col tempo, per me, è divenuto finestra sul mondo e confessionale.
Lo studio da sulla strada, dalla finestra albeggia, sembra si profili una buona giornata, almeno in senso meteorologico. Si cominciano ad udire le auto dei primi mattinieri che si recano al lavoro, la mente si concentra sulle incombenze della lunga giornata che ho davanti: il viaggio, l’ufficio a Caserta e poi a Napoli nel pomeriggio e la serata per un ulteriore impegno di lavoro. Dovrò fare a meno delle piccole cose che mi piacciono ed interessano, oggi: la campagna, il giardino, l’orto e la costatazione dell’avanzamento dei lavori per la piccola casetta in quel luogo appartato, quasi solitario (cfr. “La casa fra gli ulivi”, 23 novembre 2011 http://scribacchiandoperme.blogspot.it/2011_11_01_archive.html). Al loro posto incombenze di vario tipo.
Ho letto il mio oroscopo di Facebook, è diventata anch’essa un’abitudine mattutina, presagisce tante cose molto positive: amore, soldi, avanzamenti di carriera, che bellezza! ma … chi ci crede? Dice che dovrò ricominciare a studiare perché nuovi e più onerosi incarichi si profilano all’orizzonte. Lo studio, che ha sempre rappresentato, da adolescente, un’attitudine a cui il sottoscritto è risultato poco incline, dovrebbe ripropormisi anche nella maturità? Spero tanto che, come al solito, questo oroscopo sia zeppo di mielose frottole .
La lettura dell’oroscopo un’abitudine, dicevo; lo confesso, vado a guardarlo tutte le mattine, interessato , curioso ed allo stesso tempo scettico. L’astrologica previsione della giornata, retaggio della civiltà babilonese, è una debolezza che ho il coraggio di dichiarare, ma … quanti di voi sono disposti a fare altrettanto?