Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

sabato 28 luglio 2012

PARTO!

Finalmente il tempo del riposo è giunto: si parte!... una vacanza breve, secondo lo stile montiano/minimalista, tanto caro al nostro beneamato premier, ma, ne sono sicuro, una vacanza ritemprante e rigenerante.
Parto! …cosa porto in valigia? Non saprei: forse costumi di varia foggia, calzini, mutande, camicie e pantaloni?... però so di certo ciò che non troverà posto nella mia valigia. Non porterò con me l’affanno tipico dei giorni dell’ufficio, magari in prossimità di qualche scadenza; non porterò l’alea della vita del pendolare ferroviario che conosce di sicuro l’ora della partenza, ma ignora nel modo più assoluto quella del rincasare; avrò cura di liberarmi delle piccole gelosie e delle chiacchiere del corridoio; farò in modo di dimenticare da qualche parte l’ignoranza di certa gente; riporrò in un angolo remoto l’amarezza per non essere stato capito e/o apprezzato da qualcuno.
Mi saranno compagni i miei libri, da divorare sul bagnasciuga, magari accarezzato dalla brezza; le “mie donne” saranno l’ideale cornice per una vacanza in cerca di me stesso e degli affetti più prossimi, se non altro per il maggiore lasso di tempo da passare insieme. Camminerò tanto, da solo, fra la moltitudine dei bagnati di agosto, lettore mp3 in tasca e cuffiette perennemente alle orecchie.
La mia quasi perpetua dieta, peraltro con risultati evidentemente scarsi, subirà una temporanea interruzione: in vacanza si è per vacanzare!

venerdì 20 luglio 2012

Un diritto fondamentale

Educazione, fede religiosa, formazione scolastica ci hanno imposto un sistema di regole non scritte ma rigide nella loro applicazione: responsabilità nel lavoro, attaccamento alla famiglia, legami profondi con le radici ed il luogo di nascita, rispetto delle tradizioni.
Fuori da ogni dubbio, le conseguenze che ne sono derivate sono state positive sotto più di un punto di vista: l’istaurarsi un sistema di relazioni sociali equilibrate e durature hanno accompagnato il cammino della nostra civiltà occidentale, dapprima rurale, quindi industriale ed infine, postindustriale e/o postmoderna.
In uno scenario di questo tipo, si è salvato chi ha saputo mantenere entro se stesso un equilibrio fra ciò che doveva, perché imposto dalle regole, e ciò che voleva, perché suggerito dall’istinto; per coloro ai quali, invece, la cosa non è riuscita le conseguenze sono state e sono serie: la nevrosi, patologia sempre più diffusa e presente nell’uomo moderno è il frutto, il portato proprio di questa intima mancanza di equilibrio. Nei casi più gravi subentra l’alienazione totale dal mondo, determinando quella vasta fascia di emarginazione sociale presente soprattutto nelle realtà metropolitane più importanti.
La filosofia “del pensiero debole”, cioè il modo di pensare tipico delle persone semplici e serene, ha rappresentato per molti il paracadute, la rete tesa tra il trapezista ed il suolo, ma…è quella la sola strada per salvarsi? A ragion veduta, e per l’esperienza di vita che mi son potuto fare, non penso che esistano serie e credibili alternative al compromesso che si stabilisce con se stessi; tuttavia, due cose sono da tener ben presenti: primo, ogni uomo detiene il fondamentale “diritto a vivere”, e secondo, la consapevolezza di tale diritto a volte induce anche a percorrere strade alternative a quella delle regole.
L’interpretazione della vita in chiave “positivistica”, cioè quella che concede poco o nulla alle regole, anche se può dare soddisfazione, richiede un coraggio particolare: quello di infrangere gli schemi ed intraprendere un percorso proprio,
fatto di assoluta libertà.
Quante persone al giorno d’oggi possono dire di aver avuto tale coraggio, anche solo per un breve periodo della vita?

lunedì 9 luglio 2012

UN GIORNO CREDI

Metti che una domenica ti trovi a passare per puro caso per un centro commerciale nel cui androne si esibisce una cover di Eduardo Bennato, le cui qualità canore e musicali sono più che accettabili; e metti che un po’ la curiosità, un po’ la nostalgia ti spingono a fermarti, a prendere una sedia ed inforcarla a cavalcioni, e così, quasi per puro caso, comincia lo spettacolo e l’ascolto: mano mano che la scaletta va avanti ti ritornano alla mente tante immagini e tanti suoni di una gioventù neanche troppo lontana, secondo le sensazioni, ma cronologicamente remota. I giorni vissuti fra il finire degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 riemergono con forza e nitidezza, accompagnati da quelle note dure e metalliche.
E dopo “La torre di babele”, “Mangiafuoco”, “Rinnegato”, ecco che iniziano le note di una canzone che hai imparato da ragazzo, verso per verso, strofa per strofa, e che tante volte hai canticchiato insieme ad amici: il grande rockman di Bagnoli, idolo di almeno due generazioni di giovani ed adolescenti, quando scrisse, nel ’73, insieme a Patrizio Trampetti, “Un giorno credi”, forse non immaginava di dare vita ad un autentico capolavoro di poesia e di musica.
E’ una canzone immediata, estremamente percettibile, lontana dagli ermetismi a cui ci eravamo abituati in quegli anni; parla di cose familiari: alterne fortune (un giorno credi di esser giusto e di essere un grande uomo, in un altro ti svegli e devi cominciare da zero), solitudine (situazioni che stancamente si ripetono senza tempo, una musica per pochi amici come tre anni fa), ma contiene anche e soprattutto un fortissimo messaggio di riscatto: “Quando ti alzi e ti senti distrutto, datti forza e va incontro al tuo giorno…”, indirizzato a tanti sconfitti dalla vita, dal destino, a volte da se stessi.
“Un giorno credi”, mi piacque immediatamente, dalla prima volta che l’ascoltai, per la rabbia che esprimeva, ma soprattutto per la positività del testo e per quell’impareggiabile assolo di tromba fra la penultima e l’ultima strofa.

lunedì 2 luglio 2012

POMERIGGI D'ESTATE ('A CALANDRELLA)

E’ una delle cose della mia infanzia che ricordo con più fastidio: d’estate il dover andare a dormire dopo pranzo. Una vera tortura, ma alla fine le mie rimostranze furono ascoltate e arrivò la sospirata “dispensa”: mi fu permesso di trascorrere il pomeriggio senza “siesta”. Ma i problemi, purtroppo, non erano finiti: rimaneva quello di impiegare quell’ora, ora e mezza. Le condizioni non erano delle migliori: i pomeriggi di luglio e agosto dalle nostre parti sono torridi e, anche volendo uscire non si incontrava per strada che qualche cane randagio in cerca di ombra.
Sento ancora risuonare la domanda ricorrente e stupita di mia madre: “…ma dove vai, cu ‘sta calandrella?” … ma, di cosa si trattava? … è ancora fortemente presente nella memoria, è il fenomeno ottico che nel nostro dialetto chiamiamo ancora “calandrella”; ho fatto ricerche sul web, ma sono risultate infruttuose, e sono giunto alla conclusione che non esista un nome scientifico attribuibile ad esso. La cosa funziona più o meno così: sopra una qualsiasi fonte di calore, come l’asfalto o il suolo roventi, l' aria si scalda e comincia a salire verso l'alto, rimpiazzata da quella fredda che entra dal basso, e questo moto convettivo reso invisibile dal fatto che l'aria é trasparente diventa visibile quando si guarda un'immagine attraverso lo strato caldo.
I raggi luminosi vengono distorti seguendo la diversa densità dello strato e l'immagine risulta tremolante.
Ed erano proprio queste figure tremule ad eccitare di più la mia fantasia: auto che, mentre percorrevano la strada, sembravano quasi dissolversi, intere pareti di palazzi compromesse nella loro stabilità, quasi interessate da un terremoto, figure umane danzanti senza musica. Nell’ingenuità di un bambino cercavo di rincorrerle ed avvicinarmi di più a loro, ma esse alla stregua di un miraggio, si allontanavano sempre di più fino a sparire.
In uno dei “voli pindarici” della mia mente ‘a calandrella, oggi, dopo anni, mi appare come uno dei fattori che maggiormente hanno compromesso lo sviluppo economico del Mezzogiorno d’Italia: per forza! …nelle ore più calde del pomeriggio da noi si determina quasi un’impossibilità materiale di lavorare.
Stanco di vagare in bicicletta rincasavo, e mi attendeva qualche lettura o un disco da ascoltare, la TV cominciava le trasmissioni solo nel tardo pomeriggio ed allora non rimaneva altro che aspettare che il pomeriggio terminasse, l’aria divenisse un po’ più fresca e, con il risveglio della famiglia, riprendessero le consuete attività.