Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

domenica 21 marzo 2021

IL VENTIDUE DI MARZO

“Quantunque gradevole sia sempre a Maria o che si venerino con parzialità le sue allegrezze, o che si onorino i suoi dolori, sendo (essendo, ndr) sempre segno di vera amicizia congratularsi coll’amico sì delle sue gioie che prender parte alle di lui sventure , tuttavia, a parere di Sant’Agostino, mostra più attenzione chi viene in soccorso degli affanni, che quegli che faccia compagnia nei gosimenti” con questo pensiero Monsignor Vincenzo de Ponte, Protonotario Apostolico e Penitenziere della Cattedrale di Teano, inizia il suo diario, tenuto dal 1853 fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1885. Il diario tratta della propria donazione del gruppo scultoreo dell’Addolorata (cfr. immagine di copertina) alla Chiesa di Sant’Agostino in Pietramelara, opera dello scultore napoletano Arcangelo Testa, nonché della festa civile e religiosa che si è poi regolarmente tenuta anche dopo la sua morte, nel mese di ottobre, con qualche breve interruzione dovuta a fatti storici, come ad esempio avvenne nel 1860, in occasione del processo di unificazione “Nell’anno 1860 a causa delle turbolenze del governo, e perché nel mese destinato alla festività di Maria Addolorata  della pietà il paese tribolato dall’orde borboniche, le quali essendo qui accantonate in numero stragrande , e non bastando al loro alloggio le case de privati la nostra Chiesa di AGP, quella cioè di S. Agostino (chiamata anche con quel nome)  fu occupata come quartiere, non potetti perciò al solito far celebrare  l’annuale festività. Quindi nella speme di una pace duratura all’ombra della sabauda Croce sotto il regime di Savoia la farò, a Dio piacendo, più sontuosa celebrare al prossimo anno 1861”. Il de Ponte nutriva simpatie filounitarie e filosavoiarde, quindi, anche se poi si dovette in qualche modo ricredere quando gli italiani presero Roma, annullando il potere temporale del papato “Coll’occasione di’esser stato in Roma facendo parte del gran pellegrinaggio Italiano, che a prestar omaggio di divozione e filiale venerazione al Sommo regnante Pontefice Leone XIII, e per una dichiarazione del Mondo cattolico di molto affetto alle Sante ceneri del gran Pontefice Pio IX insultate villanamente da taluni miscredenti nella notte del 13 luglio quando dal Vaticano venivano trasportate in S.Lorenzo fuori le mura”. Il triduo nel periodo “precalstelpetrosiano” si tenne sempre e comunque in Sant’Agostino, fatta eccezione per il citato motivo nel 1860, e nel 1863 in cui ci fu un crollo parziale della volta “Caduta la lamia della Chiesa di sant’Agostino nel mese di luglio di quest’anno corrente per celebrare la festa della SS,ma Addolorata ho dovuto portare la statua di notte alla Chiesa di San Rocco , e quindi col concorso di tutto il clero ‘o fatto la solita festa”.

Come già si è potuto scribacchiare su questo blog, il culto dell’Immacolata a Pietramelara, che poi ha dato luogo in tempi più recenti al pellegrinaggio al Santuario Mariano di Castelpetroso (IS), si fa risalire appunto alla donazione dell’opera, ed ha avuto considerevoli sviluppi se, a distanza di circa centosettant’anni resiste imperterrito nel numero. In questi giorni, nella Chiesa di Sant’Agostino, tanto cara a tutti noi, si celebra il triduo solenne che si tiene ogni anno; nell’ottocento in ottobre, attualmente, e da quando è iniziato il pellegrinaggio in marzo, per commemorare, appunto l’apparizione della Vergine a due pastorelli avvenuta precisamente il 22 marzo 1888, cioè a distanza di un trentennio dalla donazione stessa; e proprio tale data  “il ventidue di marzo” che viene ricordata nel canto che accompagna sia il triduo che il pellegrinaggio. 

In tempi “normali”, precedenti la pandemia che ci affligge da più di un anno, il pellegrinaggio si teneva nel maggio, percorrendo in origine 90 chilometri, oggi ridotti considerevolmente in virtù delle infrastrutture stradali realizzate nel frattempo. Fu la comunità di Roccaromana ad iniziare il pellegrinaggio, tuttavia dopo qualche anno ci fu un passaggio del testimone alla vicina Pietramelara, grazie all’impegno dell’Arciprete Domenico Lombardo e di un gruppo di persone a lui vicine, tra le quali va ricordata la figura di Zì Salvatore Vitale, un contadino che, con semplicità e grande spirito aggregativo, ha guidato il pellegrinaggio sino alla sua morte .

Le notizie storiche sono tratte dal diario tenuto da Monsignor de Ponte, e continuato post mortem dal fratello Domenicantonio (1853/1896), e dalla pregevole pubblicazione di Pietro De Simone dal titolo “Cronistoria di un Pellegrinaggio” (1985)

martedì 16 marzo 2021

GUZZI, UN DESIDERIO CORONATO

Ieri, 15 marzo, è appena trascorso un giorno importate per me: esattamente cento anni, il 15 marzo 1921, fa nasceva la Moto Guzzi, un mito più che un marchio, per generazioni e generazioni di motociclisti. Dagli anni ruggenti, ai conflitti mondiali, al boom economico e fino ai giorni nostri.

Per Carlo Guzzi, Giorgio Parodi e Giovanni Ravelli, il sogno di "produrre e vendere motociclette e perseguire altre attività legate o connesse ai settori metallurgico e meccanico" sorse per la prima volta durante la prima guerra mondiale. Loro come molti della loro generazione, che hanno fatto grande il nostro paese, guardarono oltre il fango delle trincee e fissarono il loro sguardo sul futuro.

Intorno al 1965, al vertice di questa catena evolutiva, fa il suo debutto il motore che è diventato la firma del marchio di Mandello: il bicilindrico trasversale a 90 gradi raffreddato ad aria. Il cambiamento è stato innanzitutto nella filosofia: lontano dalle prestazioni fine a sé stesse, più vicine alle esigenze del mondo reale. Durata, riparabilità, coppia più che potenza vertiginosa sono diventati i mantra a Mandello. Accoppiato alla trasmissione a cardano, standard di Moto Guzzi, questo robusto e affidabile propulsore è stato originariamente costruito pensando agli utilizzi in ambiti istituzionali particolarmente esigenti, come le Forze Armate; per l’esercito fu infatti sviluppato negli anni ‘60 il famoso “mulo meccanico”, un mezzo speciale che per primo montò il 2 cilindri a V. Una filosofia distinta e distante dai “giapponesismi” ancora tanto diffusi nel mondo delle due ruote.

Cosa ha rappresentato la Guzzi per il vostro blogger scribacchiante? Beh…dopo circa un trentennio di moto giapponesi, acquistate soprattutto grazie alla loro larga reperibilità sul mercato dell’usato a condizioni vantaggiose, il mio cruccio rimaneva sempre quello… la Guzzi, in particolare la V7, una moto che da oltre cinquant’anni ha fatto parlare di sé in ogni angolo del mondo. Sui social si possono visualizzare numerosissimi post di guzzisti di ogni dove, gente dell’Europa settentrionale, dell’estremo oriente, del Nord America. Ed è proprio lì, negli U.S.A., in luogo della fornitura di Harley-Davidson alla polizia, negli anni settanta tra le più famose alternative ci fu la Moto Guzzi V7 Ambassador 750 (dalla quale la casa italiana derivò poi la V7 California: ecco spiegata l'origine del nome), attiva nelle strade di Los Angeles nei primi anni 70 e vista anche in vari film dell'epoca.

Un desiderio, dicevo, il mio, coronato qualche anno fa, con l’acquisto di una moto rodata ed affidabile, compagna di escursioni di breve e medio raggio, come giornate al mare, in estate, distensive passeggiate in gruppo con altri motociclisti. Purtroppo anche in questo caso la pandemia da COVID ha fatto i suoi immancabili danni: le moto giacciono silenti nei garage, immobili e tristi, come noi, ma sono fiducioso che, al più presto, le riprenderemo per ritornare a calcare l’asfalto sicuri.

Come tutte le Guzzi, attraverso i secoli, oltre le guerre, oltre le pandemie.

domenica 14 marzo 2021

UN POPOLO INCLINE ALLA DEMOCRAZIA


Avevo da lungo tempo notizia della sua esistenza, ma per quanto mi fossi impegnato non ero riuscito in alcun modo a trovarlo: si tratta di un testo dello storico locale Raffaele Alfonso Ricciardi, di Roccaromana, autore tra l’altro della nota sul sacco di Pietramelara del 1496, argomento di questo studio prezioso lo “Statuto Municipale di Pietramelara, confermato nel secolo XVI all’Università dalla feudataria Lucrezia Arcamone”, rivenuto grazie al web nella biblioteca comunale di Formia (come ci sia finito me lo sono domandato anche io). Si tratta di una breve nota critica, scritta nel 1891, di commento agli
   articoli, circa 140, di cui si compone lo statuto stesso; il Ricciardi nel prologo fa un excursus storico sulla genesi giuridica dello statuto, sottolineando il fatto che esso è il prodotto di uno sforzo comune delle popolazioni residenti di riscattarsi ed emanciparsi di fronte ai frequenti soprusi feudali  (la sicura tutela dei diritti e il bisogno di unione in uno scopo comune creavano quell’ambiente propizio alle libertà comunali di fronte ai feudatari). Grazie ad alcuni riferimenti il Ricciardi fa risalire il corpo principale dello Statuto all’età sveva (secolo XII e XIII). Ma chi era Lucrezia Arcamone, la feudataria che confermò (non concesse) all’Università (antica dizione di comune) di Pietramelara le norme contenute nello Statuto? La famiglia Arcamone, greca di origini, ma naturalizzata a Napoli, fu in possesso di molteplici baronie, tra cui quella di Roccaromana. Lucrezia era figlia di Agnello Arcamone, Regio Consigliere ed ambasciatore del Regno di Napoli presso il Papa e la Repubblica di Venezia, signore di molti feudi. Antiche leggende (tutte da confermare) tramandano che sia stata una donna di grande bellezza ed anche di costumi piuttosto liberi.
Lo statuto è scritto per la maggior parte in lingua latina, mentre alcuni articoli, probabilmente aggiunti in un momenti successivi, anche non coevi, sono in volgare. Il vostro blogger scribacchiante, facendo ricorso alle scarse reminiscenze liceali, sta cercando di trascriverlo e tradurlo in italiano, per permetterne una migliore fruizione, forse si rivolgerà a qualche buon amico per essere aiutato in quest’opera “ardua”. Nello statuto molti sono i  rifermenti destinati ad assicurare una “certezza del diritto” che evidentemente all’epoca doveva essere un concetto labile; nel prologo/introduzione (in primis) è fatto obbligo a chiunque abbia responsabilità pubblica (quilibet capitaneus et bajulus) di osservare e far osservare le norme dello statuto; si passa poi alle pene per i bestemmiatori, a norme che riguardano danneggiamenti colposi o dolosi nelle proprietà altrui, le truffe, le modalità di elezione dei rappresentanti del popolo, i compensi dovuti ai pubblici ufficiali ed ai magistrati. Viene affermato e ribadito più volte un principio di grande civiltà giuridica, in virtù del quale nessuno può essere inquisito senza una precisa accusa o denuncia, evidentemente allo scopo di evitare soprusi e persecuzioni da parte del potere costituito nei confronti di strati inermi della popolazione, con scarsa possibilità di difesa. Si spazia, quindi, dal diritto privato a quello pubblico, ed al diritto penale; non mancano interessanti curiosità, come il divieto di gioco (d’azzardo) otto giorni prima e otto giorni dopo il Natale e per l’intero mese di agosto, l’impossibilità ed  il divieto di assumere uffici e cariche pubbliche da parte dei Pietravairanesi (homini terrae Prete cuiscumque conditionis), il divieto di mantenere immondizie davanti al propria abitazione nel periodo estivo e nel giorno di sabato tutto l ’anno; infine grande interesse ricopre, per la datazione, la norma c.35 che obbliga i bestemmiatori ad erigere a proprie spese date quantità di muratura nella costruenda chiesa di San Rocco, e se non si possiedono le risorse, pene alternative (et chi non potesse o volesse pagare ditta pena debba stare per sette dj alla porta detta Ecclesia finche dureando le messe scalzo et con una corcia la collo). Ma, se colà già nel XVI secolo si celebrava messa, la chiesa era in costruzione, o si trattava della ristrutturazione di una preesistenza?
Lo statuto di Pietramelara, in definitiva, è l’ulteriore conferma, ove ve ne fosse bisogno, di una civiltà antica, scevra di timori reverenziali verso il potere e pertanto naturalmente incline alla democrazia.

sabato 6 marzo 2021

UNA SORPRESA A PORTATA DI MANO

 

E’ la curiosità che induce la conoscenza!  Ed è così che ho ritrovato la mappa di cui voglio parlare, curiosando un po’ qua e là sul web, come faccio spesso nei momenti di tempo libero. Visitai qualche sera fa il sito dell’Archivio di Stato di Caserta, e digitando “Pietramelara” sul motore di ricerca interno al sito, mi comparve l’immagine che riporto in copertina. Essa fa parte del Fondo “Usi Civici”, e raffigura con estrema schematicità la piana e le alture che la circondano. La risoluzione dell’immagine acquisita via web non mi permetteva di rendermi conto di particolari importanti, allora sono andato a visionarla dal vivo, nella sala studio dell’archivio, sita nella reggia vanvitelliana: una vera e propria miniera di documenti per chi è appassionato di queste cose. Si tratta di una mappa che rappresenta il territorio di Pietramelara nell’anno 1810: ve ne voglio parlare.
A questo punto una breve digressione: cosa sono gli “usi civici”? …Traggo la definizione dall’Enciclopedia Treccani “Sono diritti perpetui spettanti ai membri di una collettività, come tali, su beni appartenenti al demanio, o a un comune, o a un privato. Sono di origine antichissima, e si collegano al remoto istituto della proprietà collettiva sulla terra (…). Il contenuto di questi diritti è assai vario: facoltà di pascolo, di alpeggio, di far legna, di raccoglier fronde o erba, di spigolare, perfino di seminare. Vitali nel primo Medioevo, non furono scalzati dal feudalesimo. Un aspetto della lotta, sostenuta in età successive dalle città, quindi dalle monarchie, contro il feudalesimo, è la reazione contro le usurpazioni dei signori feudali in danno delle collettività”. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che probabilmente indusse l’indagine territoriale che diede luogo alla redazione della mappa. Era l’epoca napoleonica, Giuseppe Bonaparte, salito sul trono di Napoli aveva abolito la feudalità, in uno sforzo di modernizzazione del regno. Evidentemente erano sorte controversie relative a sconfinamenti ed usurpazioni che innescarono la necessità di ristabilire e risistemare del territorio sotto tale punto di vista, anche graficamente.
Ritornando alla mappa, essa è ovviamente priva di ogni criterio geografico e/o topografico, essendo stata redatta “a vista”, senza l’ausilio di strumenti di misurazione. Il supporto è un cartoncino, tipo bristol, piuttosto spesso, le dimensioni sono di un metro di base e ottanta centimetri di altezza, la tecnica grafica è probabilmente l’acquerello, sul disegno sono state riportate annotazioni in corsivo, a china. La forma del territorio descritto è ellissoidale, con asse maggiore in senso est/ovest, il sud con il Monte Maggiore è in alto, il nord in basso. Quali i particolari salienti che maggiormente colpiscono? Un territorio all’epoca già contraddistinto da particolari ancora presenti, come le diffuse alberature di confine e la presenza di masserie; l’uso del suolo prevalentemente a seminativo, fatta eccezione per un vasto oliveto alle falde del Monticello, che si dichiara appartenere al sig. Lucio Caracciolo, duca di Roccaromana; la presenza di estesi castagneti e querceti alla falde del Monte Maggiore, fino a una certa quota, oltre solo boschi cedui (selvatico); i pantani (le pratole), oggi solo un ricordo, allora una presenza idrologica permanente o quasi, tanto da contrassegnarli in colore azzurrino, erano divisi in una parte comunale e l’altra di “spettanza del duca di Roccaromana” (vedi foto in basso);
l’estensione del territorio comunale sensibilmente maggiore rispetto all’attualità, ricomprendendo  una parte del Monte Maggiore oggi in tenimento di Roccaromana, come  Pizzo Madama Marta e dintorni. Al centro della piana il borgo con la porta di Santa Maria in bella vista  (perduta nell’ultima guerra); alcuni toponimi che si sono conservati (le grotti, pizzo Madama Marta, Santa Maria a Fradejanne, la guarana, il palatiello), altri che hanno mutato nel tempo, come il convento di San Francesco, oggi San Pasquale e la via che conduceva ad esso, anch’essa intitolata a S. Francesco; l’attuale sferracavallo è riportata come “covuccio”, mentre l’adiacente parte del Monticello, quella che oggi sovrasta il cimitero, è riportata come “pietra palomba”.
Che dire? … le sorprese sono dietro l’angolo, basta cercarle!