Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

martedì 23 ottobre 2018

UN RESTAURO "FUORI MODA"

Lo spunto me lo diede proprio Teresa, la giovane artista e restauratrice che si sta occupando di esse, le quattro bombe a corona del monumento ai caduti, in piazza. Il comune le ha chiesto di far qualcosa per frenare il sensibile degrado, inflitto ad esse dal tempo e dall’incuria. Il restauro, ormai quasi completo, in vista delle tradizionali celebrazioni del IV Novembre, è consistito in una ripulitura interna, nel riprendere i punti più corrosi dalla ruggine, e in una riverniciatura esterna con un trattamento contro le intemperie. Visto il mio interesse per la cosa, Teresa mi propose: “perché non scrivi qualcosa su queste bombe, e sui restauri che sto conducendo?”. Nella nostra estemporanea chiacchierata, durata non più di un quarto d’ora, mi raccontò che alcune persone di passaggio avevano affermato che si trattava di residuati bellici della I guerra mondiale: “impossibile” avventai io “gli aerei del tempo non potevano in alcun modo trasportare un peso del genere, è evidente che risalgono alla seconda e non alla prima guerra mondiale”. Tempo dopo, una ricerca sul web mi ha permesso di ricredermi in parte: si tratta effettivamente di qualcosa risalente al primo conflitto mondiale, ma non precisamente di bombe di aereo, bensì di bombe “da bombarda”, ovvero ordigni utilizzati dal nostro Esercito in quel conflitto come proiettili di un mortaio da trincea di grosso calibro (la bombarda, appunto cal.240 mm), in dotazione a una specialità di artiglieria, detti appunto “bombardieri”, con maggiore precisione si tratta di bombe da bombarda mod. “240 C”. La conferma definitiva alla mia supposizione mi fu fornita dalla foto di copertina di quest’articolo: nell’immagine proveniente dal Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, si vede con chiarezza che, in un bosco innevato, alcuni soldati con l’uniforme del Regio Esercito Italiano, lavorano nei pressi di un deposito, ove sono state accatastate bombe uguali in tutto e per tutto a quelle che fanno da corona al nostro monumento; la fustaia di abeti e l’innevamento stanno ad indicare che dovrebbe trattarsi di qualche punto della dorsale alpina, allora “zona operazioni”. Ma non poteva che essere così! … bombe americane, inglesi o tedesche se ritrovate inesplose venivano fatte brillare dagli artificieri, solo quelle italiane, disponibili a conflitto terminato potevano essere disinnescate e rese inoffensive per far da corona al monumento ai caduti di un qualsiasi paese. Il nostro monumento, raffigurante un fante che alza il braccio sinistro esultando per la vittoria, è stato posto in Piazza San Rocco nel 1923, il ventennio fascista era cominciato da qualche mese, e non siamo in possesso, anche perché il nostro archivio comunale è andato disperso, dei documenti che ci permettano di conoscerne l’autore e chi lo avesse commissionato.
Non è facile, miei cari quattro lettori, scribacchiare di armi e di strumenti che danno la morte, specie in tempi come questi, in cui i valori del patriottismo, delle identità etniche e geografiche sono tanto “fuori moda”. Al di la delle ideologie, ritengo comunque che sia una cosa buona restituire dignità a quei residuati, intanto per ricordare ed onorare coloro che con l’estremo sacrificio hanno contribuito a delineare il senso di italianità, ma anche, e soprattutto, per un monito alle future generazioni che possa fare da argine ai pericoli che corre la nostra democrazia e la libertà del Nostro Popolo.
Lode a te Teresa, quindi, che ti sei resa disponibile per il restauro.

venerdì 19 ottobre 2018

L'ABBAZIA DELLA FERRARA

Non c’è monumento dell’alto casertano che più di esso renda testimonianza di cultura, fede e progresso sociale anche in tempi oscuri come il medioevo: l’importanza dell’ Abbazia delle Ferrara, in agro del comune di Vairano Patenora, è purtroppo pari alla sua ridotta notorietà, i più ne ignorano infatti anche l’esistenza.
Edificata a partire dall’anno 1171, per opera di Giovanni de Ferraris, monaco di Fossanova, i lavori di costruzione terminarono nel 1179, e l’abbazia divenne in breve tempo una potente istituzione, con estesi possedimenti non solo nel territorio di Vairano. La platea dei beni dell’Abbazia redatta dal Notaio De Pernutis nel 1622, riporta beni in anche in Pietramelara e Riardo: il toponimo “Ferrarelle” (piccola ferrara) deriverebbe infatti proprio da beni posseduti in quel comune dall’Abbazia, e non, come comunemente si crede, dal fatto che le acque che vi sgorgano siano ricche di ferro.
L’importanza sul territorio di questa istituzione religiosa si fonda sul principio che “i frati, senza alcuna rinunzia al lavoro, assicurano così il necessario per loro stessi e l’assistenza, insieme con la protezione e l’addestramento a coloro, contadini,pastori e artigiani che gli si votano”. Un vero e proprio volano di progresso e sviluppo economico/sociale, con una diffusione capillare, grazie alle articolazioni territoriali con le “grange”, gestite dai conversi e le “curie” gestite dai mercedari. In altre parole i monaci attraverso lo studio e la sperimentazione facevano proprie le innovazioni e le trasferivano a chiunque veniva in contatto con loro; essi vedevano nel territorio integrazione spinta fra boschi, pascoli e campi coltivati, secondo una concezione ecologica ed agronomica rivoluzionaria per quei tempi, ed oggi quanto mai attuale.
Nella sua millenaria storia l’abbazia ha attraversato varie fasi; certamente, quella caratterizzata dalla gestione dell’abate Taddeo fu quella di maggiore splendore. Infatti, nelle prime tre decadi del XIII secolo l’abbazia poté contare sull'amicizia e sulla devozione all'ordine cistercense dell’imperatore Federico II, che soggiornò nel 1223 e nel 1229 nell'abbazia, incontrando l’amico abate Taddeo.
Posizionata su di un ramo del cammino della via Francigena del Sud, nell'anno 1223 ospitò dei cavalieri dell’ordine teutonico provenienti da Oriente.
Dopo la gestione dell’abate Taddeo iniziò una lungo processo di decadimento, sia morale che economico dell’abbazia, fino alla soppressione avvenuta nel 1807; in seguito l’abbazia venne utilizzata come una comune masseria, modificandone irreparabilmente l’originaria struttura.
Rispetto all’aspetto attuale, l’ingresso era rivolto a Sud, in direzione di Vairano. L’interno era costituito da una chiesa con più altari e campanile con tre campane, ormai completamente distrutti, un chiostro con al centro una grande cisterna, mentre al piano superiore vi erano le celle dei monaci.
Sopravvive, in pessime condizioni strutturali, la cappella della Scala Santa, dove è possibile ammirare un affresco, della fine del XIII sec., che rappresenta i funerali di Malgerio Sorello, “valletto e falconiere” di Federico II, che si ritirò a vivere nell’abbazia fino alla morte. Nell’affresco sono raffigurati la Beata Vergine Maria con il Bambino, S. Benedetto, con il mano il libro della Regola, e S. Bernardo di Chiaravalle, anch’egli con un libro sul quale è possibile leggere «Memento, Domine, animae famuli tui, fratris Malgerii Sorelli, militis» (ricordati Signore dell’anima del tuo servo, fra Malgerio Sorello, soldato). Secondo lo storico avv. Domenico Caiazza nell'affresco è rappresentato anche Pietro del Morrone, passato alla storia come Celestino V, papa del “gran rifiuto” citato nell’Inferno dantesco.

lunedì 15 ottobre 2018

VICENZA

Vincenzina Smaldone nacque in via Recinto (ju cintu, ‘ncoppa ju paese) come tanti altre donne e uomini di allora, nel settembre 1913, più di un secolo fa. Dall’atto di nascita apprendiamo che i genitori erano Domenico e una “donna non maritata, non parente ne affine nei gradi che ostano il riconoscimento”, nessun cenno all'identità della mamma, forse per la pudicizia tipica del periodo, forse per salvaguardarne la privacy. Il riconoscimento come figlia legittima poi puntualmente ci fu, un anno dopo, una volta celebrato il matrimonio fra Domenico e Maria Carmina De Ninno (questo il nome della mamma che compare solo nell’annotazione di riconoscimento). Fu tenuta a battesimo qualche giorno dopo la nascita nella Parrocchia di San Lorenzo Martire, l’attuale Sant’Agostino.
I mestieri “ufficiali” a cui si dedicò Vicenza (come tutti la chiamavano) furono, stando alle carte di archivio, quello di ricamatrice e di sarta, ma chiunque la ricordi sa quale fosse la sua attività principale: è stata per decenni infatti la “siringara” di tante famiglie in paese, dall'aspetto gentile e leggero nella figura, dimostrando una singolare professionalità. Tratti immancabili gli occhiali di forma allungata, il fazzoletto sulla testa, una borsa scura ed abbastanza capiente portata al braccio, con tutto l'occorrente per quel mestiere ormai del tutto scomparso, come tanti altri.
Aveva, nei lunghi anni di attività, accumulato un bagaglio di esperienza notevole, praticava con sicurezza endovenose, applicava le flebo, medicava ferite postoperatorie o traumatiche: una vera e propria infermiera a domicilio! Basta fare mente locale a qualche decennio fa per rivederla sempre sola e silenziosa percorrere le vie del paese, i gradini del borgo o le stradine di campagna, per assistere, curare, portare conforto agli ammalati e alle loro famiglie. Un vero modello di crocerossina ante litteram, veniva ripagata per i suoi servigi solo da chi poteva, nelle masserie accettava a volte delle uova o un pezzo di formaggio, per le famiglie in stato di bisogno il lavoro era assolutamente gratis; il tutto accompagnato da una gentilezza innata, da un sorriso malinconico che portava quasi perennemente disegnato sul volto. Devo confessare oggi che a noi, bambini degli anni 60, non piaceva tanto, perché quando entrava in casa significava che era giunta l’ora di una dolorosa puntura... e lei era inflessibile: non andava via se non aveva adempiuto al compito per la quale era stata chiamata.
Anche essendo di aspetto gentile e grazioso, non si sposò mai, tuttavia non volle per questo rinunciare alle emozioni della maternità: l’occasione si presentò curando una donna che aveva da poco partorito. Luigi era un neonato biondo, grazioso ma particolarmente bisognoso di cure ed attenzioni. La guerra era da poco trascorsa con tutte le sue brutture, e Luigi era proprio nato dall’unione di una donna locale con un soldato inglese di servizio dalle nostre parti: un tipico “figlio della guerra”. Vicenza colse l’occasione, lo prese con se, lo allevò come un vero figlio (da cui non pretese mai di essere chiamata mamma), gli diede una professione e se ne separò solo quando lui si sposò, per poi ritornare insieme quando la vecchiaia incombeva, trascorrendo l’ultima fase della sua vita in Riardo, proprio a casa di Luigi.
Un esempio di donna che addito a ognuno dei miei quattro lettori, specie a quelli che non hanno avuto la fortuna di conoscerla in vita.

martedì 2 ottobre 2018

L'AMORE MA ANCHE IL SUO CONTRARIO

Non esagero se dico che con Charles Aznavour, se ne va un pezzo importante della mia giovinezza e di quella di tanti altri che con me l'hanno vissuta sul finire degli anni settanta. Mi riferisco a quei famosi e, a volte, galeotti balli di sera, in casa propria o in quella di amici. Nel corso di quelle “feste da ballo”, le immortali canzoni di Aznavour arrivavano in genere dopo che l'atmosfera era già calda, quando a chi “metteva i dischi” (chiamarlo adesso dj è inadatto e/o riduttivo) sembrava giunto il momento dei “lenti”...si, le “scalette” erano in genere strutturate in tal modo: due tre “svelti” (disco music, tipo Barry White, Stevie Wonder, ecc.), e dopo la serie dei “lenti” piuttosto lunga. Ed allora insieme ai vari cantanti e cantautori nazionali, tipo Fred Bongusto, Bruno Martino, Peppino Di Capri, ecco le immancabili Come è triste Venezia, Lei, Io sono un istrione, Quel che non si fa più, Amore, Devi sapere, veri capolavori dell’artista che ci ha appena lasciato.
Nato a Parigi il 2 marzo 1924 da una coppia di immigrati armeni, Charles Aznavourian (questo il vero nome), morto ieri a Alpilles, nel sud della Francia all’età di 94 anni, è stato il cantautore francese più applaudito nel mondo, infatti nella sua carriera ha venduto 300 milioni di dischi incisi in 7 lingue. Forte il suo legame con l'Italia, anche a motivo di tragiche esperienze di vita. Il suo immenso repertorio è dominato da una sottile e struggente melanconia, adorava cantare le vite sul viale del tramonto, gli amori corrosi dagli anni e dalla noia, il rimpianto per le grandi occasioni perdute. Diceva: «Canto l’amore ma anche il suo contrario. L’amore non è solo quello che va bene, ma anche quello logorato». Forse era proprio tale vena così particolare a farlo apprezzare a noi, giovani di quegli anni, combattuti fra gli ultimi strascichi delle proteste studentesche del '68, le crisi energetiche originate dai conflitti medio-orientali, l'impegno per costruire un futuro migliore (almeno nelle intenzioni) e la voglia di vivere con gioia, tipica di quell'età. Si aspettava un lento di Aznavour quando una ragazza ti interessava davvero, anche perché in quei momenti forse, nell'immaginazione, la disponibilità della “controparte” si innalzava in modo sensibile.
Nell'età matura, anche per quella forza evocativa che possedevano le sue canzoni, capaci di riportarmi con la mente a quelle serate, ho continuato ad ammirarlo ed ascoltarlo: veramente sorprendente la sua capacità di calcare il palco con successo fino alla della fine. Il segreto? Era riuscito ad adattare il suo spettacolo ai suoi limiti. Così per surrogare una vocalità ormai scarsa, Aznavour sfoderava la classe del grande uomo di palcoscenico, una teatralità e una gestualità che sottolineava ogni parola dei suoi versi, la saggezza disincantata di chi conosce a fondo la vita, le donne, la gioia, il dolore, l'ansia, la noia. Usava le rughe, l'età, i capelli bianchi per caricare d'enfasi drammatica un gran numero di canzoni legate proprio al tema degli anni che passano impietosi, alla difficoltà di invecchiare con dignità, al rimpianto di quella giovinezza fuggita.
Se ne va dunque un magico poeta insuperabile nel cantare di sogni infranti, amori sterili («Noi non abbiamo bambini»), vite coniugali vissute nell'incomprensione, emozioni di un attimo.


mercoledì 26 settembre 2018

IL CAVALLO DI ZI' FATTORE

Nel mio paese “antico ed estinto” non erano solo gli uomini e le donne a rendersi protagonisti di episodi grotteschi e singolari, ma a volte anche gli animali ci mettevano del loro, come nel racconto che vado ad iniziare.
Si chiamava Giovanni, ma per tutti in paese era Zì Fattore! … aveva una famiglia abbastanza numerosa e di mestiere faceva il carrettiere, ma quando non aveva merci da trasportare, attaccava anche il calesse ed era un po’ un tassista ante litteram: se qualcuno doveva prendere il treno lo accompagnava alla stazione, oppure se c’erano bambini e ragazzi affetti da malattie cutanee, li portava alle rurali ed antiche terme di Riardo (abbasc’ i bagni), site nei pressi dello stabilimento Ferrarelle, oppure ovunque altro gli si richiedesse di andare. Possedeva ovviamente un cavallo, che teneva in un locale terraneo, sotto casa, e l’episodio di cui scribacchio oggi non riguarda tanto Zì Fattore, ma proprio il suo cavallo. Si racconta infatti che l’equino un giorno era rimasto in stalla perché nessuno aveva richiesto a Zì Fattore servizi, e costui, approfittando di tale momentanea tregua dal lavoro, si era allontanato da casa, così come ogni altro componente della famiglia; il nostro simpatico animale, un po’ euforico per l’insperata giornata di riposo, un po’ per la stranezza connaturata in ogni animale (ma anche nell’uomo), fatto tesoro della mancata sorveglianza si slegò e, invece di darsi a vagare per strada , trovata la porta di casa aperta, fece le scale, entrò nelle stanze del piano di sopra e visto anche un balcone spalancato che dava sulla strada, si affacciò. Lo stupore dei passanti, numerosi perché l’abitazione era quasi al centro del paese, fu enorme e destò anche una forte e generalizzata ilarità. Qualcuno si precipitò a cercare Zì Fattore per informarlo della cosa, altri accorsero incuriositi, numerosi furono poi quelli che giocarono i numeri al lotto, suggeriti dall’originalità del caso. Il vero difficile venne dopo, perché bisognava aiutare la simpatica bestia a ridiscendere le scale che aveva salito con tanta facilità, e la cosa si dimostrò tutt’altro che semplice per la mole dell’animale, per l’angustia del vano e per l’eccessiva pendenza delle scale stesse. Chi mi raccontava divertito l’episodio asseriva che ci vollero molti uomini validi ed esperti nella conoscenza degli animali per evitare che il cavallo si ferisse o, peggio, si spezzasse una gamba; si trattava infatti di un prezioso strumento di lavoro e di un capitale che non poteva venire pregiudicato neppure da un caso così fortuito. Il sistema di vita di allora infatti imponeva un assoluto rispetto della ricchezza, anche di quella minima che può essere rappresentata da un semplice cavallo adibito a tirare un carretto.

sabato 8 settembre 2018

OTTO SETTEMBRE

Il proclama del Capo del Governo Badoglio, firmato il 6 settembre ma reso noto solo due giorni dopo a causa di tentennamenti vari, comunica agli italiani che: «Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza. »
La fuga dalla Capitale dei vertici militari, del Capo del Governo Pietro Badoglio, del Re Vittorio Emanuele III e di suo figlio Umberto dapprima verso Pescara, poi verso Brindisi, e la confusione, provocata soprattutto dall'utilizzo di una forma che non faceva comprendere il reale senso delle clausole armistiziali e che fu dai più invece erroneamente interpretata come indicazione della fine della guerra, generarono ulteriore confusione presso tutte le forze armate italiane in tutti i vari fronti sui quali ancora combattevano: lasciate senza precisi ordini, si sbandarono. 815 000 soldati italiani vennero catturati dall'esercito germanico, e destinati a diversi Lager con la qualifica di I.M.I. (internati militari italiani) nelle settimane immediatamente successive.
In uno scritto di Don Roberto Mitrano, testimone oculare, seppur giovane, di quello che avveniva qui da noi: “I tedeschi presero possesso di Pietramelara il successivo 12 settembre” da tale giorno al 23 ottobre in cui le truppe alleate fecero ingresso in paese, ben quaranta lunghi giorni, continua Don Roberto “la cronaca parla di circa 40 vittime, più una trentina di case incendiate e quasi tutte le atre colpite dalle cannonate. Oltre venti abitazioni minate. Sulle macerie e i disastri i sopravvissuti versarono lacrime di dolore per le vittime innocenti, per i cari scomparsi a causa di una guerra insulsa, come tutte le guerre del resto, e si rimboccarono le maniche per la ricostruzione”.
Evidentemente furono quaranta giorni drammatici: quasi l’intera comunità fu costretta a rifugiarsi nei boschi del Monte Maggiore, in cui si sentiva al sicuro, soprattutto dai rastrellamenti che iniziarono quasi immediatamente e che portarono alla deportazione in Germania di un numero consistente di uomini destinati a lavorare nelle fabbriche in condizioni disumane (alcuni di loro non hanno fatto più ritorno). E’ evidente che i lutti, il dolore per le perdite morali e materiali ebbero un effetto di scuotimento su ognuno, perché , come apprendiamo sempre dallo stesso scritto, quello che seguì “Fu un periodo miracoloso. Governi illuminati, uomini politici di gran talento e saggezza, amministratori locali onesti, volenterosi e preparati, sacerdoti del tempo coraggiosi, insieme ad un popolo desideroso di risorgere, senza grandi mezzi, ma con la volontà decisa di riuscire , si misero a lavorare con serietà e responsabilità e in pochi anni ottennero risultati sorprendenti (…) Noi giovani eravamo accanto agli anziani e partecipammo alle lotte politiche con entusiasmo consapevole convinto”
E’ questo lo spirito forte di noialtri, sapientemente descritto dal grande sacerdote, per decenni coscienza critica collettiva del paese. La Fenice che risorge dalle sue ceneri ma, mi domando: è proprio necessario un periodo di sciagure e lutti per dimostrare chi siamo realmente?

lunedì 27 agosto 2018

SAGRA 2018.CONSIDERAZIONI A MARGINE

E vabbè… è passata anche questa! Ieri sera (stanotte) si è conclusa la 46sima edizione della Sagra al Borgo, nella nostra Pietramelara. Per fortuna è andato tutto per il verso giusto: condizioni meteo, musica, gradimento degli avventori ben oltre le aspettative.
Certo che, a voler tener conto delle previsioni c’era poco da stare allegri: nuvoloni per gran parte della giornata con probabilità elevatissima di piogge e temporali. Lavorare alla preparazione dell’evento con tale “spada di damocle” sulla testa non è ne semplice ne defatigante e, si sa, le cose da fare sono tante e complesse. Il lieve malore del presidente Francesco Tabacchino, poche ore prima del debutto ne è il segno più tangibile.
L’intrattenimento musicale, seguendo una linea tracciata dalla sapiente direzione artistica Gino Lauro/Adele Bassi è stato vario, e non si è staticamente fossilizzato come in passato sulla musica popolare, che però non è mancata: abbiamo anche ascoltato volentieri e ballato su blues, folk, cantautori; tale offerta musicale diversificata ha coinvolto attivamente i nostri ospiti maggiormente che in passato.
Anche l’offerta enogastromonica si è sensibilmente evoluta, forse venendo incontro ad una domanda latente e non espressa di maggiore fantasia: prova ne sia il fatto che la braciola di maiale servita nella cucina “La vecchia cappella”, sotto la guida sapiente di Elio Barriciello, è andata letteralmente a ruba in entrambe le serate. Non per questo il must della sagra “la carna saucicciara” ha perso smalto: nella cucina “muro scassato”, coordinata da Peppe Izzo, non ne è avanzato un solo pezzettino! I primi piatti, poi, quelli che per propria natura e per volere degli organizzatori hanno bisogno di una preparazione che parta da lontano (almeno due tre giorni) hanno in pieno premiato Pasquale Lombardo e i suoi collaboratori.
La partecipazione è stata fortissima, in entrambe le serate, da una prudenziale stima direi che si è superato ampiamente il numero 5.000 ospiti. Divertentissimo l’epilogo della Sagra, in piazzetta “'ncoppa a corte”, dove gli ultimi ospiti, i più nottambuli hanno ballato, cantato e riso di gusto appena dopo il concerto di “Radici Popolari”, il gruppo in cui si esibisce fra la l’altro la nostra concittadina Adele Bassi, figlia del compianto Gabbì, tra i primi a credere nella valenza della Sagra, per lo sviluppo locale e la salvaguardia del Borgo.
Quali le considerazioni al riguardo? Beh, miei cari “quattro lettori”, il vostro blogger scribacchiante ha potuto notare quanto le innovazioni di cui sopra premino gli organizzatori, sia per le presenze che per gli incassi, che andranno a rifocillare le asfittiche risorse della Pro Loco Pietramelara che, lo ricordiamo, finanzia i propri eventi quasi esclusivamente grazie ai proventi della Sagra e agli sponsor.
Il gradimento è stato elevato, tuttavia si sono notate defezioni da parte dei nostri concittadini, gli ospiti graditissimi erano in gran parte provenienti dalle città di Napoli ed il suo hinterland, da Caserta e provincia. Saremo felici di qualche commento autenticamente pietramelarese a questo pezzo, possibilmente non polemico che ce ne fornisse i motivi in modo da poter, se possibile, correggere il tiro e rivedere sul borgo l’anno venturo i volti familiari e carissimi che ogni giorno incontriamo per strada.
Devo infine fare un “mea culpa”, il previsto “percorso del gusto”, degustazioni guidate da esperti di tipicità locali quali olio e.v.o., formaggi e vini, proposto e propugnato da me, non si è tenuto, a motivo di un assoluta mancanza di persone interessate alla cosa. Era una pretesa così ambiziosa coinvolgere un gruppo di nostro ospiti in tali attività? Chissà... forse l’interesse alle pietanze offerte e all’ intrattenimento ha in qualche modo impedito il successo di tale innovazione, o si tratta di qualcosa fuori posto in un evento come la Sagra, ove l’aspetto ludico ha predominanza su tutti gli altri, compreso quello culturale? I tempi non sono maturi per tali cose, devo riconoscerlo ma… “mai dire mai”, forse in futuro si riproverà e ci sarà un successo più incoraggiante.

mercoledì 15 agosto 2018

SAGRA 2018, MANCA POCO

La Sagra al Borgo 2018, la nostra sagra, è un grande contenitore: un evento che ne contiene altri cento! Quando dico “la nostra sagra” non mi riferisco di certo al presidente Pro Loco e ai componenti del consiglio direttivo, ma “nostra” in quanto pensata per ogni pietramelarese e tanti altri che ci vorranno onorare con una visita graditissima. Un grande contenitore … dicevo: si comincerà domenica prossima 19 agosto, alle 19, con il convegno di presentazione alla stampa, saluti ed interventi di autorità ed esperti, che si concluderà con una pratica dimostrazione della preparazione di alcuni piatti tipici della nostra cucina contadina. Gnocchi cavati a mano, carne saucicciara, conciata e fritta sul posto, allo scopo di rivelare ai mass media i saperi antichi delle nostre donne, dell’arte e della fantasia che infondevano (e infondono) nel perpetuare segreti tramandati da generazioni. Il convegno si terrà nel suggestivo chiostro rinascimentale del Municipio, una volta Convento Agostiniano denominato Santa Maria della Carità, fondato nel 1420 da Giovanna da Celano, signora di Pietramelara.
L’evento vero e proprio poi sarà realizzato nei giorni 25 e 26 agosto, sabato e domenica, tra le viuzze del Borgo medioevale, i suggestivi angiporti e le piazzette. Una formula collaudata quella riproposta ancora una volta quest’anno: cucina contadina, musica popolare, esposizioni di artigianato locale, mostre e il “percorso del gusto”. Di cosa si tratta? … soprattutto di una comunicazione accessibile e divulgativa delle tecniche di assaggio dei nostri prodotti tipici. Vino, olio, formaggi e mieli per i quali qualificati assaggiatori cercheranno di comunicare qual è il modo più corretto per riconoscerne la qualità.
Si parte sabato pomeriggio, alle 19 con la tradizionale sfilata in costume contadino: centinaia di figuranti, bambini ed adulti muoveranno dal Municipio verso Piazza San Rocco, al suono dei “riganetti” che accompagnano i canti popolari della tradizione contadina, tramandata oralmente da generazioni. Appena dopo si entrerà nel vivo: fuoco ai fornelli! Saranno le cucine il must dell’evento, in numero di quattro quest’anno, ognuna specializzata nel preparare ed offrire agli avventori sensazioni ed emozioni diverse: tagliariegli e i cavati al sugo “ncoppa a corte”, suggestiva piazzetta a ridosso dei ruderi del castello, carna saucicciara al “muro scassato”, luogo grondante di storia, da cui si ammira il panorama sulla valle sottostante, frittelle e zeppoline nei pressi di Casa Rinaldi, antica dimora signorile, braciola di maiale alla Madonna della Libera. Ci sarà poi la musica in vari angoli a rallegrare i visitatori: gruppi popolari con canti e suoni della tradizione antica delle nostre campagne.
Manca poco, ancora qualche giorno: vi aspettiamo, fateci visita, lo sforzo comune degli organizzatori è di farvi trascorrere qualche ora serena, ne abbiamo bisogno tutti, soprattutto in momenti come questo rattristati da lutti che hanno colpito l’intera Nazione.

domenica 5 agosto 2018

DOPO CINQUE ANNI

Guardavo ieri sera quei meravigliosi ragazzi e pensavo a te … gli animatori del Pietramelara Village, pieni di entusiasmo, grondanti energia e amore per il nostro paese. Quanto c’era di tuo in loro? Il messaggio che hai trasmesso si rifletteva in quei corpi di ragazzi impegnati nella baby dance, che anche senza aver quasi mai provato insieme si muovevano all’ unisono come il più collaudato dei corpi di ballo, in coloro che facevano divertire i più piccoli ai “gonfiabili”, attenti e responsabili affinché lo svago non potesse tradursi in gioco pericoloso, in quelli ai gazebo, pronti a soddisfare ogni domanda e curiosità, a donare larghi sorrisi, nella tua Tina, splendida e sorridente.
Il tuo messaggio dicevo, fatto di progettualità, smania di sperimentare cose nuove mai provate, di tolleranza anche verso di coloro che non ti potevano soffrire e non sprecavano una sola occasione per boicottarti, mettersi di traverso. Ricordo sai … dicevi: “lasciateli fare” e proseguivi per la tua strada insieme ai chi ti voleva bene, ed erano in tanti, motivati e coesi. E’ un dato di fatto … ovunque hai messo piede ti è stata tributata stima, affetto, amicizia: sul lavoro che amavi tanto, nelle attività culturali a cui tanto tenevi, nella nostra Pro Loco, che con la tua presidenza ha conosciuto un breve e felice periodo di attività, innovazioni ed impegno. Non potrò mai dimenticare le ultime amichevoli espressioni tra noi, la mattina di quella domenica in piazza, pochi giorni prima: quattro chiacchiere per commentare la Sagra che sarebbe dovuta tenersi alla fine del mese, per comunicarti pareri ed impressioni personali, che recepisti con la consueta cordialità.
Non ho voluto allora tessere le tue lodi e ricordarti da queste pagine, che già avevano preso corpo in quel tristissimo giorno in cui decidesti di lasciarci, e neppure commentare i motivi e le ragioni che ti hanno indotto a tanto, perché mi sentivo ferito e ammutolito dal dramma; e poi perché chi scrive deve avere anche la forza di aspettare, non farsi prendere la mano da un facile ritorno in termini di accessi, ascolto e gradimento delle cose scritte.
Caro Giuseppe, ti ricordo invece oggi a distanza di cinque anni, adesso che i tuoi carissimi figli sono cresciuti, che tra loro regna di nuovo la serenità (almeno in apparenza), che il dolore è stato lenito dal tempo che inesorabile scorre.
ADDIO

sabato 28 luglio 2018

RACCOLTA RIFIUTI: IL RUOLO DEI CITTADINI

Premesso che qui da noi, in paese, di sicuro ancora non si può parlare di una vera e propria “emergenza rifiuti”, legata allo stato di crisi dettata dallo scioglimento del contratto stipulato dal nostro Comune con la Ditta appaltatrice del servizio di raccolta, la situazione quantomeno desta delle preoccupazioni, legate alla stagione calda e all’incremento della popolazione per il periodo estivo. Nel corso dell’ultima seduta del Consiglio Comunale, più e più volte sono state formulate scuse per disservizi che da eventuali potrebbero divenire reali, e si è detto che, nelle more della gara, ci sarà un affidamento temporaneo del servizio ad altra ditta. Qualcosa andava fatto nei confronti di chi si è dimostrato inadempiente rispetto agli obblighi contratti in sede di partecipazione alla gara, anche se non denoto grande tempestività nell’azione amministrativa, come giustamente è stato fatto notare fra gli scranni dell’opposizione, in un assise assorbita in larga parte dallo scontro verbale tra il sindaco Di Fruscio e la consigliera Loredana Palumbo.
Ritengo che in una situazione come quella che si è venuta a determinare, per evitare un aggravamento, ci sia bisogno del contributo di ognuno di noi. Chi possiede un giardino ( e siamo in tanti) stocchi i sacchetti di multi materiale in un angolo, avendo cura di risciacquare piatti e bicchieri in plastica prima di deporli nel sacco; è inutile tirar fuori casa i sacchetti quando vi è una certezza quasi assoluta che essi non saranno ritirati a breve. Per l’umido ci si può provvedere di una compostiera (cfr. immagine di copertina), ma ove essa fosse non disponibile per un motivo qualsiasi anche un cumulo fuori terra può fare al caso nostro; è opportuno che nella compostiera o nel cumulo non finiscano avanzi di carne perché potrebbero attrarre topi, mosche ed altri ospiti indesiderati ed inoltre essere causa di cattivi odori; oppure ancora si possono cedere gli avanzi a qualche amico che ancora alleva polli, galline o un maiale: è questa un’opportunità ulteriore derivante dall’abitare un paese di campagna.
Si riduca al massimo la produzione di indifferenziato, anche una volta superato questo momento di incertezza, perché tale frazione è quella più onerosa da smaltire.
E’ venuto il momento di pensare a soluzioni innovative da condividere: il “compostaggio di comunità” cioè l’ottenimento di compost ricavato direttamente in loco dove si produce lo scarto/rifiuto organico attraverso una compostiera di comunità . Questo sistema è basato sull’uso di piccole “macchine elettromeccaniche” in cui il processo aerobico viene mantenuto e accelerato dal continuo apporto d’aria unito alla continua movimentazione del rifiuto. Al bando regionale del 2017 hanno aderito anche i vicini comuni di Pietravairano e Roccaromana; da noi si potrebbe partire, in via sperimentale, dai grandi parchi condominiali siti in località “la cava”, le cosiddette “palazzine delle cooperative”.
Tutto ciò non ha la pretesa di essere un codice o un decalogo, si tratta di piccole cose, piccole idee, che richiedono un impegno minimo, ma che ci faranno sicuramente sentire meglio inseriti nelle comunità a cui apparteniamo, alleviando una situazione ancora non critica ma di sicuro preoccupante.

sabato 21 luglio 2018

MERCATO DOMENICALE: QUESTIONE CONTROVERSA

Diciamoci la verità: il dibattito politico sonnecchia dopo gli eccessi di una campagna elettorale ormai trascorsa da un anno e più. Una questione, tuttavia, anima un poco i capannelli della piazza, specie di domenica mattina, quando essa riassume quell’habitus tanto tipico e caro a molti di noi. Il tema di tante discussioni è il mercato domenicale, di nuovo in paese.
Ricordiamolo: intorno al 2000, l’ amministrazione Di Fruscio diede il la per la costruzione dell’Area Mercato in zona limitrofa al quartiere svizzero, in breve lasso venne acquisito il terreno, fu progettata e realizzata l’opera. Già in fase realizzativa fu spostato il mercato, che si teneva lungo l’asse di via Pescara, dopodiché, ad opera ultimata, lo spostamento divenne definitivo. Le motivazioni addotte allora si riferivano soprattutto a una carenza di sicurezza in quanto le vie di fuga non erano sufficientemente assicurate in caso di incidenti, inoltre i residenti lamentavano fastidi nell’intera giornata domenicale.
La mia posizione al riguardo è sempre stata netta e chiara: spostare il mercato fu un errore dalle conseguenze incalcolabili sull’economia locale e per le sorti del centro storico. L’ho detto a più riprese e l’ho scritto, anche servendomi di questo blog e di altri media, e non cambio idea (cfr. su questo blog https://scribacchiandoperme.blogspot.com/2011/04/piazza-san-rocco.html, https://scribacchiandoperme.blogspot.com/2016/09/edificio-scolastico-di-via-marconi-che.html )
Il mercato dopo circa un quindicennio, lo scorso Natale è stato riportato “in via sperimentale” al centro del paese; opinioni contrastanti al riguardo: i favorevoli, soprattutto commercianti locali, dicono che gli affari, la domenica mattina, vengono trainati dalla presenza del mercato, facendo registrare qualche timido segno di ripresa, i contrari, tra cui primeggiano i rappresentanti della ex amministrazione Leonardo, sostengono che i problemi di sicurezza non sono stati rimossi, che i parcheggi per gli avventori sono un dramma, che nulla è migliorato per l’economia locale, che la fruizione della piazza come luogo di incontro ne ha risentito. Qualcuno di costoro arriva persino a predire l’imminente fine del mercato, perché gli ambulanti si stancano e mano a mano lo lasciano: a costoro va risposto che questa tendenza era già evidente prima dello spostamento “sperimentale”, e che i pericoli di estinzione del mercato sono reali, ma legati all’evoluzione delle modalità di acquisto, nei grandi centri commerciali e sulle piattaforme on line.
Non so come andrà a finire, quando la sperimentazione sarà conclusa, se e quando il mercato ritornerà in via definitiva al centro del paese. Qualcuno parla di un referendum per sondare la volontà della popolazione… vedremo.
Due le considerazioni che vorrei esprimere al riguardo: la prima riguarda la sensazione (mia personale) che veramente qualcosa sta migliorando nel centro storico a noi tutti tanto caro ed importante per il resto del paese; si vede effettivamente qualche persona e qualche gruppo in più pendolare da Piazza San Rocco lungo via Roma verso Piazza Sant’Agostino. Pietramelara la domenica mattina si sveglia meglio, i disagi ci sono, certo, ma legati soprattutto al cantiere dell’ex edificio elementare, rimosso il quale si potrà di nuovo parcheggiare.
In secondo luogo va dato poi atto al Sindaco Di Fruscio del coraggio dimostrato nel tornare sui suoi passi: da fautore ed artefice del mercato “fuori porta”, a protagonista del riposizionamento in centro. Non è cosa da poco, miei cari quattro lettori, e ve lo dice chi di Di Fruscio è stato netto e palese oppositore.
In conclusione ritengo che bisogni aspettare che la situazione si assesti, che forse si dovrà pensare ad una nuova Area Mercato, limitrofa al centro di Pietramelara, in grado di soddisfare giuste esigenze igienico/sanitarie e di sicurezza, ed al contempo mantenere viva la parte più importante del paese.

martedì 17 luglio 2018

I "CASTELLI" DEL MONTICELLO

Solo chi conosce a fondo il nostro territorio ne ha o ne ha avuto notizia: in pochi sanno infatti dell’esistenza di due significative emergenze sul Monticello, il primo sovrasta il versante Nord, che da sulla piana dei pantani ed il secondo a ridosso del cimitero, versante Est, distanti tra loro 200 metri circa ed entrambi a quota 230 slm, metro più metro meno. La tradizione popolare ha attribuito loro i nomi, rispettivamente, di “Castello Quadrato” e “Castello Rotondo”. In realtà di castelli non si tratta, almeno nel senso stretto della parola: le ridotte dimensioni, lo spessore delle mura che non supera i 50/80 cm, l’assenza di torri o di ruderi di esse, ce ne rendono contezza.
Sono ubicati entrambi nel bosco del Monticello, già proprietà della famiglia Caracciolo, duchi di Roccaromana e padroni di Pietramelara, che ne avevano fatto una piccola riserva di caccia (25 ettari circa) racchiusa pèr l’intero perimetro da un muro in pietra calcarea e malta, alto circa 2 metri e mezzo. Tale fondo boschivo con l’annessa masseria in località San Pasquale, passò poi in tempi più recenti al Marchese Paternò, imparentato coi Caracciolo, attualmente ne sono proprietari gli Eredi Cerbo.
Il Castello Quadrato, sorge in un punto estremamente panoramico, che domina la piana dei pantani, sino alle alture di Marzanello e Pietravairano; la pianta è rettangolare, non rimangono di esso che le mura perimetrali. Dalla tipologia costruttiva si direbbe che in passato si sia trattato di un edificio religioso: forse un conventino, forse l’abitazione di un eremita con annessa chiesetta; l’ipotesi è confermata dal fatto che nella cartografia borbonica del Rizzi-Zannoni (1784) il punto è indicato come “Sant’Angelo”; dato il dislivello rispetto alla vasta radura sottostante, si notano tracce di una scalinata in pietra che doveva agevolare il superamento di tale dislivello (8/10 metri).
Più interessante e intrigante la visita al cosiddetto “Castello Rotondo”: si tratta comunque di un edificio di dimensioni ridotte, su due livelli, di cui l’inferiore è completamente interrato. La parte fuori terra ha pianta anch’essa rettangolare, con spigoli fortemente arrotondati (da cui il nome), la muratura è in tufo nero, a vista. Misteriosa la parte ipogea, a pianta circolare: si tratta di una stanza centrale di forma circolare al cui centro è presente una colonna cilindrica il cui diametro supera il metro; la funzione di tale colonna è portante per l’intera costruzione superiore; la stanza circolare è circondata da un corridoio sull’intera circonferenza… La sua funzione: quasi sicuramente un casino di caccia, a servizio della piccola riserva dei Caracciolo, ove pare fossero allevati cinghiali ed altri ungulati. Il lato esterno del corridoio è intervallato da aperture ad altezza d’uomo, a distanza regolare (cfr. foto di copertina). In un pozzetto, sul pavimento di detto corridoio, vi è un affioramento di acqua, probabilmente per effetto di una falda artesiana. Quali fossero state nel passato le funzioni di tale ipogeo non è riportato in alcun documento e neppure nella tradizione orale popolare se ne rinviene traccia: un’inquietante sensazione di leggenda pervade quel luogo. E’ certo comunque che quella porzione di territorio è disseminata di esoterismo, che solo in parte la pia presenza del Convento Francescano di San Pasquale ha potuto contemperare: a chi ha occhio per queste cose non sarà sfuggito, infatti, che nel nostro cimitero, osservando la facciata delle due cappelle principali sono raffigurati un simbolo massone nel timpano dell’Ave Gratia Plena (cappella r’i signuri) e una croce celtica in quello del Corpus Domini.
I due edifici sul Monticello rappresentano un’ulteriore profonda impronta lasciata dai Caracciolo, famiglia controversa, sul nostro territorio: si sa che la nobiltà partenopea, d’altronde, non ha mai disdegnato rapporti con l’occulto e con l’esoterismo.

sabato 30 giugno 2018

LA TORRE

E’ fra gli edifici storici di Pietramelara quello che maggiormente la caratterizza in senso geografico e di immagine: parlo della torre, ultimo residuo del castello distrutto nel nefasto 12 marzo 1496 dalle truppe aragonesi, giorno della presa e del sacco di Pietramelara (sullo stesso argomento in questo blog cfr. http://scribacchiandoperme.blogspot.com/2018/01/un-castello-da-risvegliare.html). Chiunque infatti fissa nella mente l’immagine del borgo, adagiato sullo sperone calcareo a forma di tronco di cono, non può non aver notato la torre alla sua sommità che emerge con la sua altezza fra case e palazzi, e soprattutto la sua posizione eccentrica rispetto al vertice.
Le origini si collocano nel periodo normanno/svevo (X-XI secolo) secondo alcuni, mentre altri le collocano in epoca longobarda. La torre si articola attualmente in due piani, residui degli originari quattro, di cui il terraneo adibito originariamente a serbatoio di acqua, strategico per la resistenza ai lunghi assedi. L’ingresso originario, di cui vi è ancora evidente traccia, è al primo piano: vi si poteva accedere mediante un ponte levatoio, di cui si conservano ancora tracce degli attacchi; è evidente che per poter arrivare a tale ponte levatoio sito a circa 7 metri di altezza, dovevano esserci scale o altre parti del castello distrutto al momento del sacco. Le volte che separano i piani sono a botte, orientate ortogonalmente fra loro, per distribuire meglio le spinte sulle pareti verticali. L’area di base, quadrata, misura 9 metri per 9, e a tal livello lo spessore delle murature calcaree è di 2 metri e 20, spessore che si riduce gradualmente salendo fino a un metro e 70, in sommità. La struttura portante è in calcare a blocchi regolarmente squadrati dalla base al primo piano, in tufo per i livelli superiori, sicuramente ricostruiti e più volte (cfr. immagine di copertina).
Da disegni e vecchi documenti pervenuti si è potuto intuire che ancora nell'800 la torre era a tre (o quattro) piani ed era presente una copertura a doppio spiovente; già allora era stata eliminato il coronamento a merli, sicuramente presente in origine. Tramontata l’importanza militare vari ne furono gli impieghi: quello di cui si ha tuttora traccia è l’allevamento dei colombi, essendo presenti al primo piano ancora numerosissime cellette ricavate nel muro, per accogliere i nidi. Partecipai negli anni 70 al campo di lavoro allestito dalla Pro Loco per liberare la torre da detriti derivanti dalla capitozzatura degli anni 60, e potei allora rendermi conto di alcuni graffiti presenti al piano superiore (oggi cancellati dall’intonaco), attestanti probabilmente l’impiego a cella carceraria.
Liberato il piano inferiore, sistemata e recintata la piccola area prospiciente, l’allora Amministrazione Sorbo finanziò una scala lignea, eliminata poi per far posto alle attuali scale a chiocciola metalliche. L’aspetto attuale è ancora quello di un imponente ed austero edificio, che si erge per oltre 15 metri in elevazione. Nei due piani coperti è stato allestito un piccolo museo; sulla terrazza a belvedere della sommità si può ammirare un suggestivo panorama sulla vasta piana circostante, detta dei 5 castelli (Pietramelara, Roccaromana, San Felice, Pietravairano, Riardo); in genere le visite guidate al borgo, organizzate dalla Pro Loco o altre associazioni sul territorio, si concludono con l’accesso a tale belvedere, e da molta soddisfazione in chi le organizza notare lo stupore, il piacere e la meraviglia di chi per la prima volta giunge in quel luogo grondante di storia: si può ammirare un paesaggio vario e ancora risparmiato dagli eccessi dell’urbanizzazione, la corona di borghi e castelli circostanti, le verdi campagne e i lussureggianti boschi del Monte Maggiore. Una tappa da non perdere visitando l’Alto casertano!

venerdì 22 giugno 2018

RE LEONE

La “sindrome del Re Leone”, che prende il nome da un film a cartoni della Disney di qualche anno fa, si genera in una fase della vita familiare in cui il conflitto generazionale fra un padre e un figlio maschio diventa evidente. Comincia a manifestarsi appena dopo la pubertà dei figli, e si trascina più o meno con evidenza per decenni. Dalla parte del genitore vi sono le differenze di vedute, il modo un po’ morboso nel voler proteggere un figlio, l’essere legato a valori e stereotipi che le generazioni più giovani non condividono e non accettano, ed ancora l’inconfessata voglia di mantenere per sempre il proprio primato e lo status di potere. Dalla parte dei figli maschi, perché sono costoro a intravedere nella figura paterna un potenziale rivale, la smania di emergere, di fare da se con il proprio portato di informazioni in più, acquisite negli studi e/o con l’esperienza di vita. Qualche bisticcio, muso lungo portato per giorni, a volte mesi, ma poi finisce li: le conseguenze non sono in genere drammatiche e si stemperano nell'affetto reciproco.
La natura e la necessità hanno individuato nelle cure parentali e nei legami affettivi fra genitori e prole un strumento fondamentale per la sopravvivenza e il diffondersi di qualsiasi specie animale. Nella specie umana questo tipo di legame, un poco naturale perché insito nel corredo genetico, un poco culturale perché da sempre è così, tende a perpetuarsi anche ben oltre lo svezzamento ed il momento in cui i cuccioli lasciano padre e madre per affrontare la giungla. Ma questa è la regola!... a volte però si verificano le eccezioni, e quando queste eccezioni danno luogo a drammi che si consumano a pochi passi da noi rimaniamo attoniti e ci chiediamo il perché senza alcuna risposta convincente.

sabato 16 giugno 2018

A' LIBRETTA

Viviamo i tempi della moneta elettronica, della moneta virtuale: il bitcoin che, confesso con candore ancora non ho capito cosa sia e a cosa serva. Gli acquisti li facciamo servendoci di carte di credito o bancomat, al supermercato e al centro commerciale, oppure on line su Amazon o altre piattaforme del genere. Si tratta di sicuro di grandi innovazioni, in grado di permettere servizi rapidi ed efficienti, risparmio per chi acquista, garanzie sulla qualità dei beni acquistati, economicità legata al non dover compiere spostamenti ecc. Eppure se mi soffermo un po’ a pensarci su, non posso non considerare come sia cambiato il mondo ed il sistema anche in questo campo, negli ultimi decenni.
Se rivado indietro solo di qualche tempo, rivedo me adolescente, oppure ancor giovane quando, in famiglia, per le spese quotidiane si utilizzava il sistema della cosiddetta “libretta”. A pensarci ora fa sorridere: si trattava in sostanza di un sistema di pagamento differito, basato sulla reciproca fiducia fra acquirente e negoziante: ci si recava in salumeria, si comprava ciò che di volta in volta serviva per le necessità quotidiane e al posto di pagare “cash”, come si direbbe oggi, chi aveva acquistato, il capofamiglia o un congiunto, trascriveva il conto della spesa su un minuscolo libretto (a' libretta per l'appunto) custodito dal negoziante, uno per ogni famiglia che aveva optato per tale modalità. Alla fine del mese, percepito lo stipendio, si portava a casa a’ libretta, e si faceva il conto di quanto si doveva corrispondere; la mia famiglia si è sempre servita dal nostro storico salumiere Michele, la cui attività sita di fronte all’innesto di via Angelone su via San Pasquale è cessata da tempo, e devo dire che in tanti anni di uso di tale sistema non ricordo mai una contestazione ne da una ne dall’altra parte, il conto lo aveva fatto ju pruf’ssore (mio padre, n.d.r), e non c’era motivo di dubitare sulla precisione dello stesso! Il nostro salumiere era talmente noto che ancor’oggi qualcuno usa definire quel punto di Pietramelara “annanzi addò Michele” (trad.:davanti da Michele), e innumerevoli erano anche le famiglie che avevano optato per tale comodo sistema che, è evidente, dati i tempi cambiati non è più assolutamente utilizzabile, anche perché l’obbligo di emissione dello scontrino determinerebbe una potenziale evasione per ogni acquisto. A’ libretta veniva utilizzata dai clienti di Michele, ma anche di tante altre salumerie in paese: da una parte vi era il vantaggio di differire il pagamento a momenti di maggiore disponibilità economica, dall’altra di utilizzare a’ libretta come efficace strumento di marketing in grado di attirare come clienti famiglie, un tempo più numerose di oggi, in grado di fare acquisti ingenti e continuati nel tempo. Oggi analogamente, alcuni esercizi accettano in pagamento buoni mensa, in luogo di moneta: il sistema non è più bilaterale, ma interviene un terzo soggetto che emette i buoni, il quale non di rado si è dimostrato molto meno affidabile e degno di fiducia dei clienti con libretta di un tempo.

mercoledì 13 giugno 2018

IL CIAO

Entrò nella mia giovane vita circa un cinquantennio fa, avevo poco più di nove anni in quel luglio 1969, lo comprò mio padre per se stesso, ma solo dopo qualche tempo per vari motivi fu mio, solo mio (o quasi), e da allora non ne è più uscito, perché tuttora lo posseggo, custodendolo gelosamente, anche se non lo uso ormai più. Parlo del Ciao, ciclomotore della Piaggio progettato dall'ingegner Gaddi, che sin dalla sua presentazione ebbe un rapido successo, soprattutto grazie ad uno strumento di marketing di particolare efficacia: la semplicità meccanica. Era provvisto infatti di un minuscolo motore a due tempi funzionante a miscela, raffreddato ad aria; l'avviamento era a pedali, molto simili a quelli di una bicicletta.
Dotato di un telaio molto semplice in lamiera d'acciaio, le cui forme richiamavano le biciclette da donna, e al cui interno era ricavato anche il serbatoio del carburante, e di impianto frenante a tamburo, divenne in breve tempo un veicolo di successo, al pari dell'altra famosa creazione della casa, la Vespa.
Nella fabbricazione si era cercato di ridurre al minimo i costi e di contenere il peso (inferiore a 40 kg, a secco); tutto era improntato alla massima semplicità, a partire dall'impianto delle sospensioni anteriori “a biscottino”. Per quanto riguarda il posteriore, la sospensione era addirittura inesistente e il comfort per il guidatore era affidato a delle molle sottostanti al sellino. Queste scelte tecniche resero possibile, di presentarlo al pubblico il 11 ottobre 1967, a un prezzo di listino che andava da 54.000 lire alle 61.000 lire (attuali 27/30 euro).
Uno dei suoi punti di forza era certamente il peso irrisorio, oltre al ridotto consumo di carburante, pari a circa 50 km/l, e alla manutenzione particolarmente semplificata. Il suo successo non fu limitato al mercato italiano, ed ottenne un buon riscontro anche sul mercato tedesco. Durante i quasi 40 anni di produzione, con 3 milioni e mezzo di esemplari, il Ciao è stato il ciclomotore italiano più venduto nel mondo.
La data di immatricolazione del mio Ciao, versione special con variatore, come da libretto in foto di copertina, è il 22 luglio 1969: per un riferimento temporale, il giorno prima un americano di nome Neil Armstrong aveva posato per primo il piede sul suolo lunare. Non esagero se dico che guidandolo ho imparato tanto, anche dalla vita: l’ho usato per spostamenti in paese, per andare a scuola, per le scorribande con amici dotati di mezzi dello stesso tipo e … anche per far colpo su qualche ragazza, anche se (non sempre) con pieno successo, forse anche perché la modestia del mezzo era un indicatore attendibile delle condizioni economiche del conducente . Tuttavia sono molto legato a questo m’zzicciull (piccolo mezzo), come lo chiamava mio padre nel suo idioma napoletaneggiante, per i ricordi che mi legano a lui, per le ore serene che ho trascorso guidandolo, perché per me soprattutto è diventato un’icona, un oggetto simbolo di quegli anni sereni e spensierati.

sabato 9 giugno 2018

CICLI

Anche nei rapporti sociali vi sono delle ciclicità che non si possono ignorare: se ripenso ai miei ultimi tre decenni mi rendo conto che di cicli ne ho vissuti almeno tre, uno per decennio. Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta, ho partecipato ai matrimoni dei miei amici più stretti e, naturalmente, ho vissuto il mio. Erano quelli, anni veramente spensierati: gli studi finiti da poco, molte speranze, qualche soldino in tasca. Una filosofia condivisa poi, quella di vivere un po’ alla giornata, accontentandosi di quello che la vita ed il contesto ti presentava; serenità, gioia di vivere, senza le ansie derivanti dalle responsabilità che sarebbero inevitabilmente giunte dopo. Partecipare ad una festa, allora, era veramente un piacere! Stare insieme per scherzare, cazzeggiare (come si usa dire oggi) e, non ultimo, per gustare ciò che gli sposi avevano preparato per noi nel ricco menù. Tutt’altro discorso per il mio matrimonio: in particolare, è rimasta impressa la preoccupazione della mia mamma, non solo perché tutto andasse bene e per l’agio degli invitati, ma soprattutto perché stava per generarsi una nuova famiglia, con tutti i vantaggi e le criticità connesse.
Dopo qualche anno (e siamo alla fine dei novanta/inizio nuovo millennio), le prime comunioni della prole che quei matrimoni avevano generato. Tutto o quasi era cambiato: una famiglia da portare avanti, le responsabilità di un lavoro che man mano crescevano, erano contemperate dalla forza derivante da un’età che, sebbene non del tutto verde, ti metteva in grado di gestire tutto al meglio. Il cambio di millennio generava ansie ed aspettative positive: tanto per citarne una, chi non ricorda l’apprensione per il “millenium bug”, conosciuto anche come Y2K bug o Year 2000 problem, in italiano baco del millennio?.. è il nome attribuito ad un potenziale difetto informatico (bug) che si manifestò al cambio di data della mezzanotte tra il venerdì 31 dicembre 1999 e il sabato 1º gennaio 2000, problema che si rivelò poi di minor portata del previsto e piuttosto circoscritto, grazie alle misure di precauzione adottate. Le prime comunioni di quei preadolescenti erano feste gioiose anch’esse, velate di un po’ di malinconia per il tempo che passava inesorabile. Erano occasioni quelle per rivedere amici e coppie di amici che la vita, il lavoro ed altro avevano separato geograficamente da noi, ricordare la goliardia e l’allegria dei bei momenti trascorsi insieme.
Ed eccoci giunti ai giorni nostri, alla soglia del terzo decennio del duemila: i matrimoni dei nostri figli. Ho finito per rendermi conto dell’inizio di questo terzo ciclo, da qualche giorno. Aver partecipato giovedì alla bella festa per Alessandra ed Andrea (foto di copertina) insieme all’invito ricevuto poche ore fa per il matrimonio di Luigi, tra l’altro mio “patino” (tenuto a battesimo, n.d.r.), ha immediatamente in me generato tale convinzione.
L’emozione a volte ti coinvolge anche quando non ci pensi e, mentre ti incammini nel corteo nuziale, si genera il pensiero che di li a poco potrebbe essere la tua volta, ad accompagnare una sposa all’altare. La storia si ripete, secondo la grande intuizione di G.B. Vico, ed ecco che quei pensieri e quelle preoccupazioni di tua madre, tanti anni fa, potranno (dovranno) esser tuoi.

domenica 3 giugno 2018

UNA FESTA LAICA CON AMPIO GRADO DI LIBERTA'

A evento concluso, penso che qualche considerazione si possa fare: parlo, è evidente, del Montemaggiore Festival, fissato per il primo maggio, rimandato per i noti motivi e quindi tenutosi ieri, 2 giugno.
Partiamo dall'inizio: la passeggiata naturalistica; non ha riscosso grande partecipazione, dieci quindici persone, è vero, ma forse si tratta della fase più autentica ed “in chiave” di tutta la manifestazione. Essa ha avvicinato alla nostra montagna giovani che non la conoscono, ed ha riavvicinato persone che in passato la frequentavano e oggi per motivi di vario ordine non lo fanno più; riporto il caso di Daniele, mio compagno di scuola, da oltre un quarantennio a Milano per lavoro, che non ha voluto farsi sfuggire l’occasione di ripercorre passi dell’infanzia e dell’adolescenza, quando nel bosco si andava per funghi, asparagi o semplicemente perché il territorio era vissuto nella sua interezza. Le tante foto pubblicate sui social, insieme ai commenti sono la dimostrazione più evidente del successo della passeggiata, al di la del numero di partecipanti.
Veniamo alla parte serale: il concerto, che ha visto la partecipazione soprattutto dei giovani, accorsi in gran numero alla nostra “area mercato” (per quanto ancora la chiameremo così?), è stato un momento di aggregazione come non si vedeva da tempo. Ha generato un’alternativa credibile alla solita uscita verso Vairano e i suoi soliti ritrovi; questo per un genitore ha la sua importanza, specie per uno ansioso come chi scrive. Gli standisti, soddisfatti dall’affluenza, hanno potuto dare il meglio di se stessi, offrendo una vetrina di produzioni alimentari tipiche. Se un’obiezione va fatta, essa è da legarsi alla mancata esibizione dei gruppi musicali locali, come avvenne lo scorso anno, privandoli di una chance di farsi conoscere di ampio respiro e coinvolgimento.
Quale la valenza di questo evento, giunto al secondo appuntamento: si è trattato di una “festa laica”, con ampio grado di libertà riguardo al programma, cosa significa? Anche la Sagra al Borgo lo è, da tanto tempo, ma essa è molto più restrittiva dovendosi, per forza di cose, incentrarsi sulla riscoperta e rivalutazione del borgo e della enogastronomia locale; in questo caso veramente l’organizzazione della Pro Loco ha potuto spaziare con la mente, dando vita ad un programma articolato e diversificato ove l’unico trait d’union era il luogo geografico dove si doveva tenere l’evento.

sabato 26 maggio 2018

FURTI: UN'ATTENTA REGIA

Mi convince poco, anzi mi lascia perplesso, questa storia dei furti in casa, che ormai si rinnova e si aggiorna con cadenza quasi quotidiana. Mi convince poco… si, perché ormai risulta quasi palese ed evidente che a gestire il tutto vi è una “attenta regia” pietramelarese. Queste le costanti: i furti avvengono in pieno giorno, approfittando di momenti di temporanea assenza dei proprietari, vengono preferite le zone periferiche e le case abitate da vedove e/o comunque anziani. Sono elementi questi che non possono prescindere da osservazioni ripetute e costanti sul territorio da parte di chi lo conosce, e bene!
Grande è lo sgomento che ne deriva: il solo vedere la propria casa a soqquadro (come dall’immagine di copertina), insieme alla consapevolezza di essere stati violati nelle proprie cose, genera uno stato di rabbia frammisto alla frustrazione per l’impotenza di reagire. E menomale che fino ad adesso, per una serie di coincidenze i furti sono rimasti solo furti, e che finora non c’è mai stata violenza ad accompagnare tali drammatici avvenimenti.
Qualcuno, sull’onda emozionale del momento, ha evidenziato l’importanza e l’opportunità di una rete di videosorveglianza, peraltro già sostenuta finanziariamente dal nostro comune negli anni passati ma mai decollata: a costoro va risposto che tale mezzo si rivela efficace soprattutto nei centri storici e nelle ore serali e notturne, ma il contesto delineato non è proprio quello. Cosa fare allora? … aspettare con ansia il prossimo drammatico episodio? … tapparsi in casa e rinunciare del tutto a quella socialità tipica dei nostri paesi?
Il problema – è chiaro – non può essere risolto dai singoli cittadini, neanche organizzandosi in ronde, come suggestivamente sento ripetere sui social network; tuttavia ritengo i cittadini possano egualmente rendersi protagonisti, che una nuova linea di dialogo vada stabilita con le istituzioni: comune e forze dell’ordine, ad essi va riferita ogni stranezza, ogni frequentazione ritenuta irrituale, ogni comportamento che travalica la normalità specie da parte di persone notoriamente in passato coinvolte in vicende del genere. Ne potrebbero scaturire nuove piste da indagare, anche a carico di insospettabili, e la cosa potrebbe determinare anche l’eliminazione di quella “attenta regia” di cui si parlava all’inizio.

venerdì 18 maggio 2018

Ai Letizia il premio Industria Felix

Ci riempie di gioia e legittimo orgoglio il premio conferito all’Azienda Letizia Srl, sita in Contrada Pantano di Pietramelara. L’ambito riconoscimento denominato “Industria Felix” è nato nel 2015 come sperimentazione regionale in Puglia da un’inchiesta del giornalista Michele Montemurro, ed è stato consegnato nel corso di una cerimonia tenutasi ieri 18 maggio nell'aula Chiesa dell'Università LUISS Guido Carli (vedi foto di copertina).
A scegliere le migliori imprese sulla base dell’oggettività dei bilanci è un Comitato Scientifico composto, tra gli altri, dai delegati dell’Università Luiss Guido Carli e di alcune associazioni degli industriali. Il Comitato Scientifico valuta la sintesi dell’inchiesta su poco più di 70mila bilanci in relazione ad un algoritmo che individua le aziende che, nelle rispettive dimensioni, hanno registrato i migliori risultati di bilancio e incremento nelle unità lavorative impiegate.
La famiglia Letizia, da oltre un quarantennio a Pietramelara, ha creato e sviluppato nel nostro paese un’azienda fortemente legata al territorio e alle sue produzioni di eccellenza, in primo luogo la mozzarella di bufala, prodotto di punta dell’enogastronomia campana. Tuttavia la lungimiranza del capostipite Cristoforo e della coesa famiglia ha interpretato a pieno la multifunzionalità dell’azienda, spingendosi oltre: dalla selezione genetica dei capi allevati, ormai ai vertici, alla produzione rinnovabile di energia da biomasse aziendali. Credere nel territorio e nell’agricoltura, attività legata alla tradizione ma fortemente proiettata nel futuro, alla lunga ha prodotto brillanti risultati economici e riconoscimenti in ambito nazionale.
Leggo da Repubblica di ieri, in un articolo dedicato all’evento “Il sintagma “Industria Felix” vuole costituire il riconoscimento più giusto e più grato all’inventiva, allo zelo e alla determinazione di chiunque abbia inteso mettere a disposizione la propria capacità di “costruire” un’attività, dandole non solo quello sviluppo spaziale, che la fa crescere progressivamente all’interno della sfera dei propri interessi e di quelli della società alla quale il cittadino industrius appartiene, ma anche quel generoso nutrimento che la renda capace di dar frutti copiosi e redditizi in termini di benessere sociale e di progresso economico”.
Complimenti, allora, a tutti i componenti della famiglia Letizia, e che sul loro esempio anche tanti altri imprenditori del territorio sappiano cogliere le sfide legate a un mercato sempre più globalizzato ma comunque in grado di preferire la specificità di aziende, produzioni e tipicità.

sabato 5 maggio 2018

UNA COMPAGNA DI VIAGGIO

E’ sabato, per molti giorno non lavorativo, se ne approfitta per lo svago, per il bricolage in casa, per sistemare faccende arretrate durante la settimana, la sera poi, quando si può, si esce: locali, la movida per i giovani, birra e pizza. Ecco… proprio di questo volevo scribacchiare, della pizza, divenuta, insieme alla pasta, l'alimento italiano più conosciuto all'estero. Per amore di completezza devo dire che, per quanto amante della buona pizza, non sono particolarmente felice di andare il sabato sera in pizzeria: troppa folla, file interminabili e, per di più, qualità deludente del prodotto e del servizio proprio a causa del sovraffollamento, anche nei posti più rinomati. Meglio i giorni infrasettimanali, in cui si viene serviti nell’arco della mezz’ora (quando va male) e di sicuro la pizza è stata fatta lievitare nei tempi giusti, il forno non viene stressato, gli ingredienti e le varianti preferite sono sempre disponibili. Di sabato no: a metà serata terminano i funghi e le zucchine, il numero di avventori supera ampiamente le stime ed allora bisogna rimpastare, attendere la lievitazione. Ecco come una distensiva uscita serale di sabato può trasformarsi in una snervante attesa di ore (non esagero), e per di più con una pizza al limite dell’immangiabile!
Eppure questo alimento rappresenta una compagna di viaggio che ci accompagna dall’infanzia alla vecchiaia, è uno dei tanti fregi dei quali noi campani dovremmo, a buon diritto esser fieri: la pizza era praticamente ignota al di là della cinta urbana napoletana ancora nel XIX secolo, oggi di sicuro è divenuta “international food”, consumato in ogni continente; anche se è poi difficile mangiarne una buona allontanandosi solo un centinaio di chilometri dalla Campania.
Ha generato in me qualche perplessità il fatto che nel 2017 l'Unesco ha dichiarato l'Arte dei pizzaiuoli napoletani "Patrimonio dell'umanità”, ma la pizza mi piace, a volte la mangio anche a pranzo, nello spacco dell’orario lavorativo: il profumo che sprigiona appena uscita dal forno stimola il mio subconscio, producendo abbondante salivazione, per non parlare poi del primo boccone rovente, ma comunque gradevolissimo.
L'etimologia del nome "pizza" deriverebbe secondo alcuni, da pinsa , cioè alimento steso mediante pressione (delle mani o di un matterello).
La sua storia è lunga, complessa e incerta: le prime attestazioni scritte della parola "pizza" risalgono al latino volgare della città di Gaeta nel 997. Un successivo documento, datato 1201 presente presso la biblioteca della diocesi di Sulmona-Valva, riporta la parola "pizzas" ripetuta due volte. Già comunque nell'antichità focacce schiacciate, lievitate e non, erano diffuse presso gli Egizi, i Greci e i Romani.
Benché si tratti ormai di un prodotto diffuso in tutto il mondo, la pizza è un piatto originario della cucina napoletana. Nel sentire comune, spesso, ci si riferisce con questo termine alla pizza tonda condita con pomodoro e mozzarella, ossia la variante più conosciuta della cosiddetta pizza napoletana, la pizza Margherita.
Va detto che nel nostro dialetto, con il termine “pizza” si indicano anche le torte dolci ma, se a Napoli e dintorni le pizze sono state sempre cotte nel forno senza nessuno stampo, da noi ‘a pizza cu e pummarole si fa nel ruoto, non si usa sugo ma pomodori interi (freschi o conservati quando non è stagione), ed è indissolubilmente legata (almeno nella memoria) alla preparazione del pane fatto in casa.

sabato 28 aprile 2018

IL DOLORE DI UNA COMUNITA'

Non ho conosciuto Domenico, il giovane che ci ha appena lasciato, pertanto non possiedo particolari ricordi che mi leghino alla sua persona: chissà, sarà stata la forte differenza di età, gli interessi distanti, il fatto che trascorro gran parte della giornata fuori paese!
La vicenda, comunque è sempre la stessa, quando se ne va un giovane, uno che per le leggi della natura e della statistica avrebbe dovuto, ancora per molti anni, continuare a calpestare il suolo di questo strano pianeta: un paese sgomento che si chiede perché, gli amici che ne ricordano il garbo, la sua innata creatività e le altre doti, la famiglia affranta nel dolore.
Mi sembra giusta la decisione della Pro Loco di sospendere l’evento “Monte Maggiore Festival”, ormai imminente e per il quale erano già state impiegate risorse: non poteva che essere così, lo spirito solidale dei giovani pietramelaresi ancora una volta ha dimostrato la sua forza e la sua presenza.
Mi chiedo poi (e non so darmi una risposta definitiva), se è un vantaggio essere “di paese” anche in tale frangente; anche perché in una realtà urbana e sociale più grande di Pietramelara anche la morte passa inosservata o quasi. Si, la cosa avrebbe potuto produrre rumore, sicuramente sarebbe uscito qualche trafiletto sulla stampa locale, ma poi tutto in breve tempo sarebbe tornato nella più terribile delle normalità, lasciando una mamma e dei fratelli nel dolore e nello sgomento. Da noi no! E’ il paese ad essere addolorato, anche chi non ci vive più da decenni: Maria, che vive in Inghilterra, ad esempio, raccomandava ieri su fb agli amici di Domenico di fare visita alla mamma Paolina, di cui era stata amica di infanzia. Dimostrazione questa di una sensibilità derivante da valori che ci sono stati comunicati e che ci hanno reso qualcosa di diverso da “persone che vivono nello stesso luogo”, qualcosa che ci rende comunità; è evidente che per Maria vivere 40 anni tra gente anglosassone, non ha cambiato nulla in lei, che resterà pietramelarese per sempre.
Domenico è stato la tessera di un mosaico, altre ne saranno aggiunte, ma comunque al suo posto resterà il buco di una tessera mancante, che indurrà l’osservatore a chiedersi: “perché?”.

venerdì 20 aprile 2018

UN RUOLO DIFFICILE

Sono figlio di insegnanti e può darsi che il mio punto di vista possa essere in qualche modo mediato dalla memoria dei miei genitori, ma quello che sta succedendo oggi nella scuola va ben oltre ogni limite di decenza!
Ricordo e ci sorrido (amaramente) su quanto possa essere cambiato il mondo: un tempo molti genitori, che sulla scorta della fama di educatore severo di mio padre, venivano anche a casa per chiedere come un favore di prendere con se figli particolarmente discoli e pertanto bisognosi di rigore in aula, oggi il contrario: padri che aggrediscono docenti anche per un semplice rimprovero verbale , come nell'immagine di copertina. Studenti che aggrediscono quotidianamente i professori ormai riempiono le cronache: insulti, umiliazioni, violenza fisica non sono purtroppo rari.
Non c’è d’altronde da meravigliarsi: gli episodi che le cronache riportano con tanto clamore, non sono che l’ennesima conferma a quanto vado dicendo da tempo: la perdita della funzione esercitata dai “ruoli”, all’interno della società. Ogni ruolo ha dignità e merita rispetto ma, per chiunque, evolversi da un ruolo ad uno migliore, la norma richiede impegno, studio e sacrificio: sono costi questi che però pochi vogliono sostenere e, nell’illusione di evitarli, ognuno è giunto all’assurda conclusione di poter fare ogni cosa, impresa, funzione. Gli effetti dirompenti di tale perdita sono evidenti un poco dappertutto: in politica, ad esempio, hanno di fatto dato spazio ad una classe dirigente incapace ed autoreferenziale, responsabile di un Paese dal futuro incerto e privo di considerazione internazionale.
“Il ruolo sociale degli insegnanti italiani” viene evocato da ogni ministro dell'Istruzione all'insediamento nella stanza nobile di viale di Trastevere, ma quel "ruolo sociale" calpestato, oggi, è una semplice questione di sicurezza e di onore da difendere, nei rari casi in cui il professore non abbassa la testa. Un ruolo difficile ed impegnativo: non c'è settimana che la cronaca non racconti una storia così. Episodi violenti crescenti in classe, in palestra, al portone. Ragazzini che picchiano in branco vecchi insegnanti, genitori che assalgono professori perché stavano educando i loro figli al vivere in comunità. A Reggio Calabria, in una classe superiore è arrivata la polizia a sedare la rissa tra ragazzine, la prof di turno non c'era riuscita: aveva rimediato uno schiaffone ed era finita al pronto soccorso. Ma non c’è affatto bisogno di andare tanto lontano: nello scorso febbraio, un ragazzo di 17 anni, studente all’istituto superiore Ettore Majorana di Santa Maria a Vico, a pochi chilometri da noi, si è presentato a scuola con un coltello e si è scagliato contro la docente di lettere Franca Di Blasio, di 54 anni, colpendola al volto davanti ai compagni, mentre erano in corso le lezioni, per futili motivi dovuti a presunte offese da parte della stessa: pare che la donna, visti gli scarsi risultati a scuola, volesse interrogarlo per fargli recuperare una insufficienza.
Il recupero dei ruoli parte dalla famiglia: attenzione, se non comunichiamo la loro importanza e funzione insostituibile, ci assumeremo la responsabilità di mandare i nostri figli presuntuosi, ma di fatto indifesi, a misurarsi con una società sempre più competitiva, che non perdona errori a nessuno.

venerdì 13 aprile 2018

CUCCU'

Oggi la pubblicità anima tutti i mass media disponibili: dalla TV ai social network, dalla radio agli sms sui nostri telefonini ma, fino a qualche decennio fa come funzionava? Negli anni sessanta e settanta, la televisione era già entrata in forze in un gran numero di case e famiglie del “bel paese”, che stava vivendo un momento di particolare prosperità economica; era il tempo di “Carosello”: 10 minuti di brevi scenette pubblicitarie appena dopo il telegiornale della sera. Si trattava senz’altro di un segno di grande modernità, tuttavia nei nostri borghi la vita ed il progresso procedevano a ritmo sensibilmente più lento, e il compito di veicolare messaggi ed annunci veniva affidato anche ed ancora a mezzi che oggi potrebbero far sorridere.
Vi era una figura, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, che rispondeva proprio all’esigenza di comunicare notizie, annunci, opportunità offerte alla popolazione: si trattava del banditore, un uomo maturo, dalla voce chiara e forte, che girava per le vie del paese e, dietro compenso, ci diceva che quel giorno sarebbe mancata l’acqua, che in una determinata masseria si vendeva carne “ a basso macello” (con prezzi sensibilmente inferiori a quelli ordinari di mercato), che da Pepp’nella la pescivendola quella mattina, gli alici erano particolarmente freschi e a buon prezzo, che presso tale casa era esposta una “frasca” (insegna per una mescita di vino estemporanea) ...e così via. A fine estate del ’73, in occasione dell’ultima epidemia di colera, il nostro ebbe particolarmente da fare, perché il comune e le autorità sanitarie lo incaricarono di diffondere e ripetere tra la popolazione le più elementari norme igieniche, in modo da prevenire il contagio.
Si chiamava Luigi e veniva da Riardo, forse a causa di questo suo mestiere la feroce ironia della nostra gente gli affibbiò un curioso nomignolo: Cuccù. Non usava la classica trombetta per farsi ascoltare, ma faceva precedere ogni bando con un forte “Attenzione”, seguito dal testo. Un brav’uomo, che cercava di sbarcare il lunario grazie a un mestiere destinato a scomparire di li a poco: forse lui stesso ne era consapevole. Gli ultimi “bandi”, credo che fossero stati gridati per strada all’inizio degli anni ottanta, una pubblicità rurale che vale la pena di ricordare con nostalgia.
Come al solito vi era poi chi con il suo comportamento singolare coloriva il paese, anche in relazione all’argomento di cui scribacchio: si racconta che un tale zì ‘Ntonio, notorio buontempone, un giorno rincasava dal lavoro a ora di pranzo, giunto che fu a casa, evidentemente affamato, chiamò la moglie, ma costei non rispondeva, perché era uscita per commissioni; la delusione si accrebbe quando entrato notò che la tavola non era stata ancora imbandita, allora senza stare li a pensarci più di tanto cercò il banditore e, trovatolo, gli chiese di bandire che “zi ‘Ntonio ha persa a muglière, pe chi ‘a trova, na bella mazzetta”, in sostanza una mancia competente per colui che avesse ritrovato e riaccompagnato a casa la consorte smarrita. La cosa fece scalpore e suscitò l’ira della donna, che si sentì ferocemente derisa, insieme a diffusa ilarità: si sa che la mia gente, un tempo, era serena e quello che era successo bastava ed avanzava, per una sonora risata.

venerdì 6 aprile 2018

GIALLI E DELITTI PREUNITARI

Siamo comunemente portati a pensare che nei secoli scorsi la vita nel nostro borgo natio fosse scandita esclusivamente da un continuo andirivieni di contadini dal paese alla campagna e viceversa, dal risuonare di botteghe artigiane, da servitori intenti ad occuparsi di signori e delle loro ricche dimore ma… non è proprio così! Dai registri parrocchiali emerge anche una sotterranea e delittuosa Pietramelara sette/ottocentesca, con fatti e misfatti che oggi avrebbero avuto a buon diritto accesso alle pagine di cronaca nera.
Eccovene qualche esempio più significativo.
Santagata Giuseppe di 24 anni, morì il 30/12/1781, in località in via ubi dicitur a castiello , il sacerdote annota: repentina morte propter ictus gladii in gutture receptus (morte improvvisa per un colpo di spada sferrato alla gola). Il progresso intanto va avanti, la polvere e le armi da sparo sono giunte anche dalle nostre parti, e il 18/02/1789 perisce in seguito a ferite mortali Mancino Giulio di 44 anni, in località sotto l'orologio, il sacerdote annota: ictu schopi percussus die trigesima mensis Januarii prope janua ubi dicitur alla Porta dell'Oliva (ferito il 30 gennaio nei pressi della Porta dell’Oliva da un colpo di arma da fuoco).
Un certo Riccio Nicola dell’età di anni 36 , proveniente dalla Calabria ultra (attuali provincie di Reggio e Catanzaro) trovò la morte il 01/05/1796, al Borgo di San Leonardo , il sacerdote annota “ ictu Jati vulgo detto ronga verberatus a latronibus” (per un colpo di roncola sferrato da briganti).
Il doppio nome di De Angelis alias Broccoli Andrea, di età imprecisata , da Riardo, ci induce a pensar male, fu ucciso (per un regolamento di conti?) il 04/04/1799 in località “alli mancini o sia alla cerquella alla massaria dello sipone” , il sacerdote annota “post peritiam judicis delatum” (portato via dopo l’ispezione giudiziaria).
Ed ancora: un tale Lanza Geronimo, età 30 anni “littore del Principe di Roccaromana” , da Marigliano fu assassinato in località all'Acqua sant'Angelo il 11/07/1803; una guardia del corpo, un bodyguard si direbbe oggi, del famoso Lucio Caracciolo (1771-1833), probabilmente perito nell’assolvimento del dovere; si sa infatti che la famiglia Caracciolo aveva vasti possedimenti all’Acqua Sant’Angelo, e probabilmente il delitto avvenne nel corso della visita del famoso personaggio storico a uno di questi, forse (ipotizzo) generato da una controversia particolarmente accesa, con un amministratore o un colono.
Tuttavia il protagonista dell’episodio più sconcertante (tra l’altro segnalatomi dallo stesso Don Roberto), quello che maggiormente desta curiosità ed eccita la fantasia, è un frate alcantarino, ramo della famiglia francescana allora presente nel convento di S. Pasquale. Il suo nome secolare è ignoto, quello da monaco frate Andrea della Santa Visitazione, di anni 45, rimase colpito il 25/09/1796 ai pantani “ictu schopeti” (da un colpo di fucile); un agguato, una rapina, la punizione per aver importunato più del dovuto una fanciulla? … non lo sapremo mai (in foto di copertina la pagina del registro)
Come si spiegano tanti delitti in comunità da sempre dedite al lavoro e notoriamente tranquille? Direi per un insieme di cause e di fattori: la diffusa miseria, in primo luogo, madre di una lotta di classe strisciante ma attiva ancor prima che venissero formulate le teorie marxiste (1867), e che dopo l’unità d’Italia diede vita al brigantaggio come fenomeno socio politico. Va considerata poi una presenza dello stato ancora troppo poco avvertibile, senza risorse e mezzi in un territorio peraltro difficile per morfologia, dotato di rifugi, macchie ed anfratti: la diffusione capillare dei Carabinieri, dopo la riunificazione, è stata dettata proprio da quest’ultima esigenza.

sabato 24 marzo 2018

AVANTI CON BRIO

I risultati dell’attività della Pro Loco Pietramelara sono sotto gli occhi di tutti. Ritengo che ormai sia priva di qualsiasi senso la distinzione fra vecchia e nuova Pro Loco Pietramelara, e chi la fa ha il solo scopo di continuare a creare attriti e divisioni. E’ un fatto che ognuno degli appartenenti alla Pro Loco che ha preceduto l’attuale, laddove l’abbia voluto, è stato accolto a pieno titolo nel gruppo più operativo tra i partecipanti. Le attività che si cerca di portare avanti, con grande sforzo, sono state finora solo frutto di autofinanziamento e sponsor che hanno creduto in esse. La più viva gratitudine va ai titolari delle ditte che, anche in un momento di difficoltà e crisi, hanno voluto tenere alto il nome di Pietramelara, sostenendo materialmente le iniziative che di volta in volta venivano proposte.
E’ tornata la primavera ed allora si deve cominciare a fare sul serio, programmando e mettendo in campo iniziative già collaudate e introducendone di nuove. Sarebbe comodo riproporre sempre lo stesso, ma il direttivo ha accettato a pieno titolo la sfida dell’innovazione, e sono sicuro che il pubblico, l’Amministrazione Comunale, e gli altri soggetti cointeressati apprezzeranno lo sforzo.
Il tesseramento si è appena concluso con risultati incoraggianti, a chi la cosa è sfuggita e fosse interessato a divenire socio Pro Loco, comunichiamo di essere ancora in tempo: avverta il Presidente Tabacchino, o altri componenti del Direttivo e sarà accolto. Il bisogno di energie rinnovate ed estese è generalmente avvertito, perché di “ carne a cuocere” ce n’è tanta, quindi ben vengano coloro che vogliono dare una mano, collaborare, suggerire, realizzare.
Dopo il successo di un Carnevale appena scalfito dalla pioggia, pieno di spettacolo, tradizione e innovazione, che ha visto, tra l’altro, il gradito ritorno del “Gruppo Scenico dei 12 Mesi" (in versione motorizzata), il prossimo primo maggio si rinnoverà l’appuntamento con un evento innovativo e coinvolgente, denominato “Montemaggiore Festival”, una sintesi di natura, tradizioni, fisicità e musica. Una rilassante passeggiata tra i boschi e i sentieri del nostro Monte Maggiore, in mattinata, sulle orme dei Pietramelaresi di ieri che la montagna l’hanno vissuta e che da essa sono stati nutriti, riscaldati e protetti, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale.
L’impegno della Pro Loco andrà nel corso del 2018 con i consueti appuntamenti primaverili ed estivi: Pietramelara Village e la Sagra al Borgo, evento clou della stagione. Il video promo della Sagra 2017, realizzato con poche risorse, ha avuto un effetto dirompente sulla conoscenza di Pietramelara, delle sue bellezze e delle tradizioni gastronomiche del territorio; un plauso ai giovani che l’hanno realizzato mostrando un talento fuori dal comune.
Un calendario denso di appuntamenti, che richiederà un impegno organizzativo intenso e costante, perché mentre si realizza un evento si è già con la mente al prossimo.