Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

giovedì 26 giugno 2025

UN CAMMINO FRA FEDE E BUONA CUCINA

 

San Francesco Caracciolo
In questo momento di auge del cosiddetto “turismo lento” mi sembra opportuno segnalare il “Cammino di San Francesco Caracciolo”.  Non è questo un santo di cui si sente spesso parlare, tuttavia la sua vita fu avventurosa ed articolata.
Ascanio Caracciolo apparteneva a una delle famiglie più influenti di tutto il Regno di Napoli, essa possedeva oltre 500 feudi e decine e decine di titoli nobiliari, oltre a contare ben 10 cardinali e ancora più numerosi vescovi, per non parlare delle cariche civili e militari. Nel 1588 aveva fondato un ordine, quando intorno ai vent’anni, avendo contratto una malattia ritenuta contagiosa, decise di rimanere in isolamento. Guarito miracolosamente, scelse il nome di Francesco, ispirandosi al grande santo di Assisi, al servizio dei più poveri, degli esclusi ed emarginati. Da principe a mendicante, e va detto che aveva aggiunto per sé e i suoi confratelli, accanto ai tre voti di povertà, castità e obbedienza, un quarto voto: quello di “non ambire” alle cariche ecclesiastiche. Nella Napoli vicereale aveva fatto tanto bene, in particolare assistendo i condannati a morte e le loro famiglie prestando servizio presso la Compagnia dei bianchi di giustizia. Già alla sua morte erano avvenute guarigioni miracolose grazie alla sua intercessione, che gli valsero la proclamazione a Santo nel 1807.
Villa Santa Maria, in Abruzzo, dove nacque Ascanio, era tenuta in feudo dalla famiglia Caracciolo. Costoro apprezzavano a tal punto la buona tavola che tutti i garzoni al loro servizio dovevano fare esperienza anche di cucina. I più promettenti venivano inviati a Napoli per imparare i segreti dell’arte culinaria dai celebri “Monsù”. A ciò si deve il fiorire di generazioni di cuochi espertissimi a Villa Santa Maria e dintorni, ove nacque la prima scuola alberghiera d’Italia e forse del mondo. In San Francesco Caracciolo i cuochi hanno trovato colui che riunisce in sé il cibo dell’anima e quello del corpo, pertanto nel 1996 la Santa Sede lo proclamò “patrono dei cuochi d’Italia”.
Il santo nella sua breve vita (44 anni) aveva affrontato anche tre lunghissimi viaggi a piedi fino in Spagna. Nel 1608 si era recato in pellegrinaggio a Loreto e da qui era ripartito alla volta di Napoli attraverso Abruzzo e Molise, seguendo itinerari che si erano andati consolidando dalla seconda metà del Cinquecento.
Da qui l’idea di ideare un cammino per il camminatore-pellegrino di oggi. Grazie alla collaborazione fra padri e laici caracciolini, con il coinvolgimento di professionisti di vari ambiti, il progetto ha iniziato a prendere forma e sostanza nel 2019. La storia della costruzione del Cammino di San Francesco Caracciolo, patrono dei cuochi ha portato al coinvolgimento di giovani allievi e docenti degli Istituti Alberghieri presenti lungo l’itinerario, che ne fanno non un semplice cammino ma un camminare insieme verso l’altro, verso il buono, verso il bello.
Quali i punti di contatto di questa storia con il nostro paese? Prima di tutto citerei il fatto che i Caracciolo sono stati fino agli inizi dell’ottocento feudatari di Pietramelara, sotto il titolo di Duchi di Roccaromana, il grande stemma nella volta dell’androne del Palazzo Ducale ne dà testimonianza. La loro presenza portò addirittura un Re, Ferdinando II di Borbone a visitare Pietramelara, nel maggio 1836: il seguito, lo staff dei Caracciolo, nel tempo ha arricchito il territorio e la sua comunità di saperi e tecnologie sino ad allora sconosciute. Inoltre il Cammino di San Francesco Caracciolo inaugurato nel 2019 passa per il nostro comune, nella tappa n. 4 Piatravairano/Rocchetta e Croce, (vedi locandina) con escursioni programmate, fra le altre ai due eremi di Santa Maria a Fradejanne e del San Salvatore.

martedì 10 giugno 2025

UNA FESTA TRA FEDE, STORIA E TRADIZIONE

 

I “colpi scuri” alle sette circa del mattino costituiscono l’incipit più classico e tipico della festa di stamattina; si tratta dei festeggiamenti in onore della Madonna della Stella, tanto cari ai riardesi ma anche a noi altri dei comuni confinanti. Dei colpi scuri, dicevo, che si avvertivano distintamente anche qui a Pietramelara. Il culto, ancora tanto presente e sentito, si dipana tra il Santuario omonimo e la Chiesa Madre di Riardo.
Ripercorrendo la storia di questo Santuario, apprendo dal web che esso affonda le radici in un passato lontano, precisamente intorno al 1450. Secondo la tradizione popolare, un pastore, alla ricerca di una pecora smarrita, si imbatté in un roveto particolare. La pecora, infatti, aveva l’abitudine di inginocchiarsi proprio sopra quel roveto. Incuriosito, il pastore scrutò tra i rami spinosi e scoprì, nascosta dalla vegetazione, un’antica cappella. Riportata alla luce la cappella, emersero affreschi bizantini raffiguranti la Madonna col Bambino, il Redentore e diverse figure di Santi. Si narra che, tra la gente accorsa, vi fosse una giovane donna affetta da problemi mentali che, alla vista della cappella, gridò di correre dalla “Madonna della Stella”. Questo episodio fu interpretato come un segno divino, e da allora il santuario fu consacrato a Santa Maria della Stella.
Le origini della cappella si fanno risalire alla prima metà dell’XI secolo, epoca altomedioevale. Dopo qualche decennio di abbandono tra il 1191 e il 1230, la Cappella cadde nell’oblio e venne nascosta dalla vegetazione.
I lavori di restauro del 1952, evidentemente condotti senza controllo e guida, causarono la perdita (per sempre) di alcune immagini bizantine; in compenso grazie al distacco di quelli rimasti dalle pareti, gran parte di tali affreschi oggi sono fruibili dai fedeli e dagli appassionati d’arte.
Fino al 2024 il sedime della Cappella giaceva su un fondo di proprietà della Famiglia de Ponte, tuttavia con atto di donazione rogato dal notaio Di Caprio, Andrea de Ponte, in rappresentanza dell’intera famiglia cedette il bene al Comune di Riardo, nella persona del Sindaco Armando Fusco, anche grazie ai “buoni uffici” dell’Assessore Nicola de Nuccio.
Secondo l’indirizzo dell’Amministrazione Fusco la Cappella della Madonna della Stella diventerà non solo un luogo di culto e di pellegrinaggio, ma anche un importante attrattore turistico. La presenza degli affreschi della “scuola campana”, coevi a quelli delle più celebri opere di arte sacra della regione, come Sant’Angelo in Formis e Rongolise, conferisce a questo luogo un’importanza storica e artistica che merita di essere valorizzata e preservata per le generazioni future.
Articolato, quest’anno, il programma dei festeggiamenti: stamattina, nel primo giorno di festa, il Giro della Banda Musicale Città di Gioia del Colle, e due Messe celebrate dal parroco Don Marco Stolfi, in Chiesa Madre, e alle ore 18,00 avrà inizio la tradizionale processione che terminerà al Santuario, dove come tutti gli anni la Statua della Madonna rimarrà fino alla mattina della domenica 15. Stasera, alle 21,30, in Villa Violati, si esibirà il Concerto Musicale Falcicchio di Gioia Del Colle. Nel pomeriggio di Giovedì 12 al Santuario arriveranno i fedeli di Pietramelara che ricambieranno, come da tradizione secolare, il recente pellegrinaggio dei riardesi a San Pasquale. Venerdì 13 giugno, è prevista una celebrazione eucaristica per anziani e infermi, seguirà la Fiaccolata fino al Santuario. Domenica 15, al termine della Santa Messa delle otto in Cappella, è prevista la Processione e la Statua sarà riportata dai fedeli in Chiesa Madre, accompagnata dalla Banda Musicale Ritmo ed Armonia di Riardo, diretta dal Maestro Nicola Tartaglia; i fuochi pirotecnici saranno il materiale coronamento ed epilogo della festa, che sa tanto di tradizioni ed identità condivisa. 

giovedì 5 giugno 2025

GABBIANI ALIENI A PIETRAMELARA

 

Si tratta già il secondo avvistamento da parte del sottoscritto, confermato anche da qualche amico dotato di spirito di osservazione: uno o più gabbiani (larus spp.) incrociano il volo dalle parti delle contrade Dodici e Acqua Sant’Angelo, verosimilmente attirati dalla presenza della cosiddetta isola ecologica, nei pressi del dismesso macello comunale.
Dal web apprendo che la nidificazione del Gabbiano reale in ambienti urbani ha avuto inizio nel XX secolo. I primi episodi sono stati riportati nel Regno Unito a partire dagli anni ’40, sebbene solo a partire dagli anni ’70 il fenomeno si è sviluppato coinvolgendo anche altri Paesi europei: in Francia le prime nidificazioni urbane sono iniziate nel 1970 e in Spagna nel 1975. In Italia il primo caso di nidificazione urbana risale al 1971 con una coppia che è riuscita a portare a termine la riproduzione su di una scogliera artificiale all’interno dello zoo di Roma. La coppia si è riprodotta per diversi anni, ma è rimasto un caso isolato per un lungo periodo, perché è solo a partire dagli anni ’80 che il Gabbiano reale ha incrementato il numero di nidificazioni in aree urbane italiane.
Nei centri urbani il cibo è abbondante e facilmente reperibile, consentendo anche ai giovani del primo anno, ancora inesperti, di procurarlo con facilità. Per molte popolazioni urbane la principale fonte di cibo può essere fornita dalla vicinanza con siti adibiti a discarica. Alcune condizioni ecologiche favorevoli, quali una temperatura media superiore rispetto a quella delle aree extraurbane. IL gabbiano modifica la dieta adeguandola alle risorse più abbondanti e facilmente disponibili presenti nei centri urbani o nelle loro vicinanze, nutrendosi quindi anche di scarti alimentari di origine antropica, e svolgendo un’attiva azione predatoria che riguarda sia insetti e piccoli mammiferi ma anche uccelli, tra cui soprattutto il Piccione domestico, abbondantissimo in tutte le città. (La colonizzazione dei centri urbani italiani da parte del Gabbiano reale, a cura di Maurizio Fraissinet, edito dall’ANCI).
Tanto premesso rivado con la memoria al caso del pappagallo avvistato sul “quartiere svizzero”, qualche mese fa, oggetto anche di una nota su questo blog scribacchiato, del dicembre scorso (https://scribacchiandoperme.blogspot.com/2024/12/il-pappagallo-evaso-ipotesi-e-rischi.html), nella quale si paventavano rischi per la salute umana e danni all’agricoltura. La nostra biodiversità si arricchisce, grazie all’innalzamento delle temperature medie, ma ciò comporta rischi di varia natura! Spetta alle istituzioni (ASL, Istituto Zooprofilattico, ecc.) di monitorare il fenomeno e arginarlo, laddove possibile; ma anche a noi cittadini, primi custodi di un ecosistema in continua evoluzione, di tenere gli occhi aperti e fare le dovute segnalazioni alle competenti autorità.

giovedì 24 aprile 2025

25 APRILE

 


Non mi voglio avventurare nel difficile campo del fascismo/antifascismo, sono cose personali che non competono ad un blogger scribacchiante… tuttavia ricordo sempre con piacere i 25 aprile trascorsi. Qui da noi il 25 aprile non era quello dei cortei, dei comizi e delle manifestazioni, tutt’altro…
Quanto il tempo era clemente si trattava di una riedizione del lunedì in albis, con passeggiate e scampagnate varie. La raccolta degli asparagi avveniva nel pieno della stagione in cui le spinose asparagine emettevano i turioni eduli, cioè quella parte della pianta che si poteva raccogliere e mangiare; se la raccolta era andata bene si poteva con mezzi di fortuna preparare una frittata, da accompagnare alle altre leccornie rurali che ci si era portati da casa.
Anche il rituale era sostanzialmente lo stesso del lunedì in albis da poco trascorso: appuntamento in piazza, si stabiliva una meta più o meno raggiungibile e… si partiva. Nei paraggi esistevano masserie abbandonate dove sostare, magari in un aia, accendere un fuoco e preparare da mangiare, giocare; le coppie presenti a volte profittavano di qualche angolo riservato per appartarsi. Il tutto era la celebrazione di una stagione primaverile ormai iniziata, con le sue bellezze (prati verdi, fioriture, profumi d’erba e di fiori di acacia), ma anche con le sue contraddizioni, quando uno scroscio improvviso di pioggia sorprendeva in aperta campagna le comitive.
Godersi un territorio generoso, senza aspettative di chissà cosa, questa la filosofia che animava coloro che, come me, aspettavano un giorno di vacanza dalla scuola che ormai stava per finire o, negli anni dell’università, dai corsi da seguire in vista di un esame. La sera poi ci si vedeva di nuovo in piazza, magari per organizzare un’uscita di qualche decina di chilometri, per una pizza in compagnia degli stessi amici della mattinata, con qualche aggiunta o qualche defezione. Qualcuno poi si stava preparando per il pellegrinaggio a piedi a Castelpetroso ed allora ne discuteva con quelli che, dopo qualche giorno, sarebbero stati i compagni di quell’esperienza di fede e socialità rurale, che tuttora sopravvive a dispetto del tempo che passa.
La politica, sì che ci interessava eccome… ed allora se nella stessa comitiva (e succedeva normalmente) erano presenti ragazzi di idee contrapposte, le discussioni si animavano, senza mai degenerare, e si concludevano fra quattro risate per uno sfottò di quello più sagace fra i due contendenti, magari con una bevuta e un brindisi dell’intero gruppo.

martedì 15 aprile 2025

DAGLI ARCHIVI DI SANT'AGOSTINO UN IMPORTANTE DOCUMENTO

 

Cosa ci faceva a Pietramelara, nel settecento, un uomo di famiglia illustre e benestante, Don Andrea Montanari, originario di Castellammare di Stabia? Quali i motivi che lo indussero a trasferire la propria residenza da una città florida e già dotata di porto e cantieri navali, a un paesino dell’entroterra di Terra di Lavoro, che allora non contava che qualche migliaio di abitanti? Un matrimonio, la possibilità di fare buoni affari? Forse… da una consultazione dei registri del tempo della Parrocchia dei Santi Martino e Donato (San Rocco, ndr), apprendiamo che all’epoca la famiglia Montanari risiedeva nel Borgo, tra la piazzetta di Corte e quello che restava del Castello dei Monforte, dopo la distruzione del 1496.
Don Andrea, uomo pio, entrato in contatto con il Monastero Agostiniano di Santa Maria della Carità, attuale sede municipale, contrattò con il priore del tempo la cessione della Cappella della Beata Vergine della Consolazione che, come si apprende dal rogito notarile stipulato dal Notaio Cesare Papa, conteneva il sepolcro del Servo di Dio Nicola Monforte, e non aveva benefici. In calce riporto la trascrizione dell’Atto datato 12 giugno 1729 (il documento fa parte dell’Archivio Storico della Chiesa parrocchiale di Sant’Agostino, emerso grazie a Don Paolo e Lello Amendola; cfr. immagine di copertina).
Forte il legame ed il culto degli Agostiniani nei confronti della Beata Vergine della Consolazione, infatti ad essa era intitolata una confraternita esistente nella chiesa di San Giacomo Maggiore a Bologna. Con il tempo, la società di Sant'Agostino, venne posta sotto il titolo e il patrocinio della Madre della Consolazione. Esiste una leggenda sul significato mariano dell'abito agostiniano e della lunga cintura che ne è la parte principale: dopo la morte del marito Patrizio, Santa Monica avrebbe chiesto alla Vergine come si fosse vestita dopo la morte di San Giuseppe e Maria le sarebbe apparsa segnalandole l'abito nero, che fu poi adottato anche da Sant'Agostino e trasmesso ai suoi figli spirituali.
Dove si trovava la Cappella, oggetto del rogito? … con ogni probabilità si tratta di quella che oggi costituisce l’ingresso secondario della Chiesa su Via Roma, e dove oggi vi è la porta che dà sulla navata, doveva esserci un piccolo altare contenente il sepolcro del Monforte. D’altronde alla madre di costui, Giovanna da Celano, la tradizione attribuisce la fondazione nel quattrocento del Monastero stesso. Un legame a “doppio filo” fra gli agostiniani e i Monforte, quindi. L’atto detta le condizioni per la cessione: cura del decoro della Cappella da parte del donatario, messa disposizione dei monaci e assegnazione dei frutti derivanti da un fondo sito in località La Tenda (nei pressi della lottizzazione Aprovitola, ndr), dell’estensione di circa sei moggia, cessione di un reliquiario ai monaci, che verrà esposto a discrezione del Priore. I monaci infine si riservarono il pieno dominio sul sepolcro del Monforte.
Un’ottantina di anni dopo la stipula, in epoca murattiana, vi fu la prima espropriazione di beni ecclesiastici da parte dello Stato; dagli archivi diocesani emerge che gli Agostiniani abbiano lasciato il Monastero prima che venisse formalizzato l’esproprio, in seguito la Chiesa venne concessa dal Comune alla Congregazione “Ave Gratia Plena”, ancora esistente. Poco prima dell’Unità d’Italia, al passaggio dei garibaldini, la chiesa fu occupata da costoro ed utilizzata quale temporaneo accampamento, nel 1863 in cui ci fu un crollo parziale della volta. Le varie vicissitudini storiche annotate ci portano a pensare che il degrado e l’abbandono indussero l’attuale aspetto della Cappella, destinata, forse col tempo, a ingresso secondario della Chiesa, peraltro oggi poco utilizzato.

Bibliografia: atto rogato dal Notaio Cesare Papa, 12 giugno 1729; Registro n. 1 della Parrocchia dei Santi Martino e Donato (1753-1771); Diario del Canonico Vincenzo de Ponte (1854-1874)

TRASCRIZIONE DELL'ATTO:

Nel giorno dodici del mese di giugno millesettecento ventinove in Pietramelara

Costituiti in nostra presenza gli infrascritti Rev. Padre Priore, e Padre Vicario del Monastero di Santa Maria della Carità di questa Terra di Pietramelara dell’Ordine dei Padri Agostiniani della Congregazione di San Giovanni a Carbonara, Rev. Padre Giovanni Guglielmo Russo Priore, R.P. Petanio Rinaldi, e R. Padre Giovan Battista (illeggibile) insieme convocati, del capitolo della Congregazione (illeggibile) parte maggiore e più anziana di detto monastero, (continua in modo illeggibile con varie abbreviazioni di gergo notarile del tempo), agenti prioritariamente in proprio e in altrui interesse e con licenza ottenuta del Reverendo Padre Vicario della congregazione come dichiarato dagli stessi, da una parte.

Il signor Don Andrea Montanari, patrizio di Stabia (Castellammare di Stabia, ndr), agente prioritariamente in proprio e in altrui interesse, unitamente in sodalizio con (Assunta Raia, consorte?), suoi servi e successori

(Premesso che) I Rev. Padri sopra nominati (illeggibile) nella loro Chiesa (vi è) una Cappella sotto il titolo della B. Vergine della Consolazione, trovarono vicino all’Altare Maggiore il corpo del Servo di Dio Nicola Monforte , la quale Cappella sta senza alcun beneficio, il Sig. D. Andrea per la gran devozione che il medesimo tiene verso la B. Vergine, essi Rev. Padri (illeggibile) la cedono e rinunciano in vantaggio nel Sig. Don Andrea , suoi servi e suoi successori, con l’impegno (di tenerla) allo stesso modo e stessa forma che si ritrova; a patto che sia tenuto detto Don Andrea, i suoi servi e successori a provvedere a tutti quegli ornamenti dovuti, necessari ed opportuni e in caso al contrario può farne esso Sig. Don Andrea del mantenimento e ornamento così dei candelieri, dei fiori, giarre e tovaglie d’altare e altro bisognevole,  e assegna per essi ai Rev. Padri citati e convenuti come sopra i frutti di un suo fondo di moggia sei circa sito in questa terra nel luogo detto La Tenda confinante con (beni di) detto Monastero, con beni parrocchiali di San Nicola di bari ed altri terreni. Dichiarano essi Rev. Padri che intendono cedere in beneficio del Sig. Don Andrea, suoi servi e successori ed in infinito la sepoltura esistente accanto la sopracitata cappella ceduta sopra alla quale e anche di appresso sia lecito al Sig. Don Andrea porre (illeggibile) con espressa dichiarazione e patto che detta concessione (illeggibile) il corpo del Servo di Dio Nicola Monforte, ((illeggibile) e tutte le statuette in ((illeggibile) restino in pieno dominio del Monastero e dei Reverendi Padri

In compenso esso Don Andrea, a che per atto di gratitudine che tiene verso il Monastero e i Reverendi Padri cede e dona un reliquiario e molte reliquie e con pietà e (illeggibile) verso il Monastero e i suoi Reverendi Padri si possa quello esporre ad elezione ed arbitrio del Padre Priore pro tempore del Monastero; e nel caso che Don Andrea, suoi servi e successori per sua e loro devozione intendano fare feste nell’anno, si permette loro di esporre dette reliquie. Siano i Rev. Padri tenuti ed obbligati, come promettono, di esporre quelle nella suddetta Cappella per conto di esso Don Adrea, dei suoi servi e successori.

 

giovedì 27 marzo 2025

UNA TRADIZIONE, UN'OPERA

 

Tra le note introduttive al pregevole lavoro di Elpidio Fiano, “Pietramelara-Castelpetroso. Memorie e racconti sulle strade dello storico pellegrinaggio”, mi ha colpito in particolare quella a firma di Don Giosuè Zannini, e non me ne vogliano per questo Don Pasqualino, Don Paolo e Lello Amendola, che hanno voluto introdurre il lavoro letterario; in un passo che ritengo di somma importanza Don Giosuè tiene a sottolineare: “Sono pagine scritte con l’inchiostro dell’Amore, incancellabile all’usura del tempo, e per questo sono consegnati a quanti, dopo di noi, continueranno a camminare come pellegrini di speranza”. Sono espressioni veramente condivisibili, conoscendo bene l’autore dell’opera, lo si vede infatti prodigarsi per animare liturgie, per allietare eventi vissuti nella gioia, con quella sua voce potente ed armoniosa. Il suo legame con la tradizione non si esaurisce affatto nell’esperienza di fede del pellegrinaggio, che ogni anno coinvolge tanti fedeli; potremo, senza tema di smentita, definire Elpidio un campione di quel valore che chiamiamo, con un pizzico di orgoglio e senso di appartenenza, PIETRAMELARESITA’.
Già in un passato ormai lontano, ben quarant’anni or sono, il compianto Pietro De Simone, diede alle stampe un lavoro analogo sullo stesso argomento dal titolo “Cronistoria di un Pellegrinaggio” (1985), ed il nostro pellegrinaggio è stato inserito anche, in tempi recenti, nell’Inventario del Patrimonio Culturale Immateriale Campano (IPIC); tutto questo sta a testimoniare quanto solida e compenetrata nella comunità sia questa tradizione, risalente alla fine dell’Ottocento.
Fondamentale nell’evolversi del Pellegrinaggio negli anni, come evento di Fede e Tradizione popolare, la figura dell’Arciprete Don Domenico Lombardo, che spese risorse ed energie anche per dare un contributo fattivo alla costruzione del monumentale Santuario dell’Addolorata, situato a ridosso della SS 17 su un’altura. Chi percorre quell’importante arteria vive una profonda emozione nel vedere la prima volta l’armonica architettura neogotica di quell’edificio... un’emozione difficile da spiegare a chi non l’ha ancora vissuta!
Rintonando all’opera di Elpidio, va detto sicuramente che essa si inserisce in quel filone di letteratura popolare già percorso da altri a Pietramelara: per citarne qualcuno Mario Panebianco, Luisa Moretti, Teresa Regna e, recentemente Eleonora Landi; ciò conferma l’esistenza, laddove e ne fosse bisogno, di un ricco humus culturale nella nostra terra, capace di generare interessi ed opere di assoluta importanza. In un’epoca in cui le informazioni sono veicolate soprattutto tramite il web, lasciare ai posteri un’opera cartacea significa sfidare il tempo e l’oblio, al quale ogni uomo ed ogni cosa è soggetto.
Che dire? … bravo caro Elpidio, chi leggerà il tuo libretto troverà una fonte veramente ricca di ricordi, personaggi, immagini legati indissolubilmente alla secolare tradizione del Pellegrinaggio che, ogni anno si rinnova, e bravo a chi, come Don Paolo, credendo in te, ha sostenuto l’onere della pubblicazione.

sabato 15 marzo 2025

22 DICEMBRE 1862. UN PREFETTO IMPAURITO

 

Una nota a firma del Prefetto della Provincia di Terra di Lavoro, datata 22 dicembre 1862, rinvenuta presso l’Archivio di Stato, sollecitava il Sindaco di Pietramelara a trasmettere “i lavori mensuali del movimento della popolazione a tutto il cadente anno” (vedi immagine di copertina). L’unità nazionale era cosa fatta da appena un biennio, e venne proclamata a Torino solo il 17 marzo 1861; cosa spingeva il solerte funzionario a tanta premura? Nella lettera spedita al nostro comune si legge di analoghe pressioni esercitate dal Ministero Agricoltura, Industria e Commercio, e va detto che l’anno 1862 non era ancora concluso. Ciò che interessava, e lo si legge con chiarezza era il documento denominato “statino sulle emigrazioni ed immigrazioni”.
L’unità nazionale era stata diversamente percepita nei vari strati della popolazione e, se da un lato la nobiltà aveva guardato con favore ad essa, intravedendo un consolidamento dei secolari privilegi che le erano stati da sempre riservati, i contadini, che costituivano la “spina dorsale” dell’economia meridionale, avevano visto un sostanziale peggioramento delle loro condizioni economiche, anche in quel breve lasso di tempo che era trascorso. La preoccupazione, pertanto, era legata all’emigrazione alimentata dai tanti contadini che abbandonavano le terre, in cerca di fortuna (soprattutto) nelle “lontane Americhe”; se si fosse andati avanti così alla fine non sarebbero rimasti che in pochi ad esercitare quell’attività.
D’altronde il Brigantaggio attraversava il momento di più elevata auge, e tanti uomini e donne, delusi delle promesse garibaldine, specialmente popolani, si erano dati alla macchia e, in quel periodo, stavano dando filo da torcere all’esercito piemontese; costoro non potendo apparire nei documenti anagrafici richiesti dal Prefetto, configuravano le carte richieste come elemento utile alle indagini di polizia.
Ed allora il solerte Prefetto passava alle minacce di adozione di “opportune misure, specialmente verso I Segretari Comunali, che esser debbono i principali coadiutori delle Giunte di Statistica”.
Nello stretto linguaggio burocratico di un funzionario, di evidenti origini piemontesi (C. Mayr), o quanto meno non meridionali,  si leggeva il timore per il completo fallimento politico e militare dell’unificazione nazionale.

giovedì 20 febbraio 2025

TONI DA CAMPAGNA ELETTORALE ED ATTACCHI PERSONALI

E’ cosa risaputa che solo occasionalmente dedico le pagine di questo blog scribacchiato alla politica locale; preferisco gli usi, la storia, le tradizioni, il dialetto di questa gente pietramelarese a cui orgogliosamente sento di appartenere.
Tale premessa è riferita al vivace scambio di ieri sera con il Prof. De Robbio Giovanni, il quale, alla stregua dei suoi compagni di cordata, quando si vede alle strette butta la cosa sul “personale”. Per carità ritengo più che legittimo difendere sui social il proprio operato, ma io chiedevo delle risposte che non sono giunte.
Il tono utilizzato è da campagna elettorale, e la onnipresenza personale sui social, da parte di qualcuno, lascia trapelare che qualcosa, nel gruppo di maggioranza, non funzioni al 100%, nonostante l’abbondante spreco di incenso mediatico ripetuto sui social più diffusi.
Beh… al posto di risposte puntuali a puntuali domande, il ricordo quanto mai fuori posto della mancata elezione di Elio Barriciello in consiglio comunale, risalente, udite udite, al lontano 1998. E poi ancora un interminabile elenco di persone rispettabilissime che, nel corso dei decenni, si sono alternati in amministrazione. Senza contare poi che proprio tra loro vi sono donne e uomini che, visto il modo di amministrare, e ritenutolo infondato, insipiente e non in grado di affrontare problematiche serie, sono ritornati sui propri passi. Tra essi noto persone che sono state parte attiva nella formazione della lista “Cambiamo Pietramelara”, con candidato sindaco il caro Andrea, del quale De Robbio e compagni, in dispregio di ogni regola democratica, oggi chiedono le dimissioni; o anche chi apertamente ha sostenuto la lista “Cambiamo Pietramelara”, facendo propaganda elettorale alla luce del sole.
Le domande poste dal sottoscritto blogger scribacchiante, erano riferite alla situazione finanziaria dell’Ente, alla risoluzione del problema dell’approvvigionamento idrico, che seppur cinquantennale oggi come non mai si fa sentire, alla precaria sicurezza nel percorrere le stradine del Borgo. Queste le domande, ma al posto delle risposte giri di parole che dimostrano, laddove ve ne fosse bisogno, che tali problemi sono lontani anni luce dall’essere eliminati.
Caro Professore, sono decenni che fai politica, pertanto dovresti sapere che le invettive, le catilinarie, gli attacchi diretti a chi non condivide le tue idee e il tuo operato, non portano da nessuna parte, sarebbe meglio impegnarsi con maggiore serietà. Ti saluto 

domenica 5 gennaio 2025

DEMANI COMUNALI: NORME ED USO

 


L’ideologia liberale ispirava le corti napoleoniche: Gioacchino Murat, con Decreto 3 dicembre 1808. Istruzioni per l’esecuzione della legge 1° settembre 1806 e del Decreto 8 giugno 1807, sulla divisione del demani, aveva stabilito che ai privati fosse affidata quella gran massa di terre affinché esse, messe a coltura, generassero benessere e sviluppo economico. In particolare l’articolo 21 prevedeva che: “L’agente distrettuale, ed il decurionato di ciascun Comune, faranno nella loro prima unione lo stato di tutte le terre comunali []. Essi divideranno tutte le suddette terre in due classi, cioè in terre coltivabili, ed in terre riservate al demanio. Nella prima classe saranno comprese tutte le terre capaci di coltura, ancorché attualmente si tengano ad altro uso. Nella seconda si comprenderanno i boschi, le terre inondate e lamose, e le falde troppo erte dei monti. Le prime saranno esposte alla divisione. Le seconde saranno misurate e descritte con tutte, le loro circostanze ed accidenti di località …”.
A tal proposito tale Nicolò di Fusco redigeva un verbale in data 18 marzo 1810, incaricato dall’agente demaniale Fabrizio D’Amore, per procedere alle incombenze dettate dal decreto in Pietramelara. Si tratta di un documento ritrovato nell’archivio di Stato a Caserta, prezioso per fornire una descrizione dettagliata dell’uso del suolo all’epoca, in verità non troppo dissimile dall’attualità.  
Nel verbale viene annotato che “in questa Comune non vi sono demani ex feudali, né di Chiese né di luoghi pii”, semplicemente vi sono demani comunali da suddividere, distinti in quattro diverse aree geografiche: al Montemaggiore, al Monticello, al Pelatiello, in “un territorio pantanoso, sotto acque, le Pratole” ovviamente non divisibile in quanto sommerso per oltre sei mesi l’anno. Il demanio di Montemaggiore nella parte più pianeggiante (contrade Gurvo, Sorienze, San Pancrazio ecc.) già all’epoca si trovava divisa fra i cittadini, occupata e ridotta a coltura; la parte superiore era a bosco, erto, petroso e non divisibile, si aggiungeva correttamente che il disboscamento e la messa a coltura di queste ultime avrebbe potuto dar luogo ad alluvioni; tale parte, circa mille moggia,  era condotta in fitto per l’esbosco, con Regio assenso, da tale signor Raimondo Maddaloni per il canone di 350 ducati annui. Similmente le terre dei demani Monticello e Pelatiello erano già divise e messe a coltura, fatta eccezione al Pelatiello per un luogo di “circa moggia otto, tutto petroso, situata tra i confini di Don Crescenzo Montanaro, il Marchese della Pietra, e il Duca di Roccaromana, dal quale luogo la comune non ne ritrae rendita veruna”. Infine il demanio delle Pratole “il quale per l’erba che dà dal mese di maggio e Giugno, essendo luogo piano né da rendita alla Comune di ducati 60”.
L’operosità dei nostri concittadini li aveva indotti a disboscare e mettere a coltura vaste zone, forse già da Medioevo. Quali le differenze da annotare rispetto ad oggi? In primo luogo, gran parte delle coltivazioni ai piedi del Monteggiore e l’intero Monticello, le cese, sono ritornate a rimboschirsi, per le difficoltà di coltivazione e per l’emigrazione; inoltre la zona dei pantani, oggi privata, viene correntemente coltivata, grazie ad un abbassamento della falda freatica e alla diminuita piovosità.

(Sullo stesso argomento in questo blog cfr. https://scribacchiandoperme.blogspot.com/2021/03/una-sorpresa-portata-di-mano.html)