Scribacchiando per me

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il blog di un pietramelarese

lunedì 15 ottobre 2018

VICENZA

Vincenzina Smaldone nacque in via Recinto (ju cintu, ‘ncoppa ju paese) come tanti altre donne e uomini di allora, nel settembre 1913, più di un secolo fa. Dall’atto di nascita apprendiamo che i genitori erano Domenico e una “donna non maritata, non parente ne affine nei gradi che ostano il riconoscimento”, nessun cenno all'identità della mamma, forse per la pudicizia tipica del periodo, forse per salvaguardarne la privacy. Il riconoscimento come figlia legittima poi puntualmente ci fu, un anno dopo, una volta celebrato il matrimonio fra Domenico e Maria Carmina De Ninno (questo il nome della mamma che compare solo nell’annotazione di riconoscimento). Fu tenuta a battesimo qualche giorno dopo la nascita nella Parrocchia di San Lorenzo Martire, l’attuale Sant’Agostino.
I mestieri “ufficiali” a cui si dedicò Vicenza (come tutti la chiamavano) furono, stando alle carte di archivio, quello di ricamatrice e di sarta, ma chiunque la ricordi sa quale fosse la sua attività principale: è stata per decenni infatti la “siringara” di tante famiglie in paese, dall'aspetto gentile e leggero nella figura, dimostrando una singolare professionalità. Tratti immancabili gli occhiali di forma allungata, il fazzoletto sulla testa, una borsa scura ed abbastanza capiente portata al braccio, con tutto l'occorrente per quel mestiere ormai del tutto scomparso, come tanti altri.
Aveva, nei lunghi anni di attività, accumulato un bagaglio di esperienza notevole, praticava con sicurezza endovenose, applicava le flebo, medicava ferite postoperatorie o traumatiche: una vera e propria infermiera a domicilio! Basta fare mente locale a qualche decennio fa per rivederla sempre sola e silenziosa percorrere le vie del paese, i gradini del borgo o le stradine di campagna, per assistere, curare, portare conforto agli ammalati e alle loro famiglie. Un vero modello di crocerossina ante litteram, veniva ripagata per i suoi servigi solo da chi poteva, nelle masserie accettava a volte delle uova o un pezzo di formaggio, per le famiglie in stato di bisogno il lavoro era assolutamente gratis; il tutto accompagnato da una gentilezza innata, da un sorriso malinconico che portava quasi perennemente disegnato sul volto. Devo confessare oggi che a noi, bambini degli anni 60, non piaceva tanto, perché quando entrava in casa significava che era giunta l’ora di una dolorosa puntura... e lei era inflessibile: non andava via se non aveva adempiuto al compito per la quale era stata chiamata.
Anche essendo di aspetto gentile e grazioso, non si sposò mai, tuttavia non volle per questo rinunciare alle emozioni della maternità: l’occasione si presentò curando una donna che aveva da poco partorito. Luigi era un neonato biondo, grazioso ma particolarmente bisognoso di cure ed attenzioni. La guerra era da poco trascorsa con tutte le sue brutture, e Luigi era proprio nato dall’unione di una donna locale con un soldato inglese di servizio dalle nostre parti: un tipico “figlio della guerra”. Vicenza colse l’occasione, lo prese con se, lo allevò come un vero figlio (da cui non pretese mai di essere chiamata mamma), gli diede una professione e se ne separò solo quando lui si sposò, per poi ritornare insieme quando la vecchiaia incombeva, trascorrendo l’ultima fase della sua vita in Riardo, proprio a casa di Luigi.
Un esempio di donna che addito a ognuno dei miei quattro lettori, specie a quelli che non hanno avuto la fortuna di conoscerla in vita.

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