Scribacchiando per me

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il blog di un pietramelarese

mercoledì 11 gennaio 2017

LE VIZZOCHE

Nel mio “paese antico ed estinto”, che sopravvive solo nella memoria di quelli come me, esistevano delle figure, degli stereotipi, alcuni dei quali (pochi) ancora sopravvivono, mentre altri sono stati definitivamente soppiantati dalla modernità.
Di questi utlimi faceva parte sicuramente la figura della “vizzoca”: donna di età matura, non sposata, dedita alla frequenza della chiesa e dei luoghi sacri. Le vizzoche cercavano di sbarcare il lunario alla meglio: alcune ricamavano, altre si dedicavano a piccoli lavori di sartoria e qualcuna preparava i bambini alla prima comunione, con un catechismo del tutto personale.
Secondo un’attendibile etimologia scovata sul web “Vizzoca e/o Bizzoca" è la parola abbreviata nelle parlate meridionali (bezzoca, bizzoca) di "bizzocchera"; i bizzoccheri erano frati terziari francescani di una setta chiamata dei "fraticelli" che si distinguevano per le loro pratiche dichiarate eretiche; secondo D'Ascoli, "il termine sorge come dispregiativo di una setta di frati minori terziari condannati da Bonifacio VIII e si potrebbe pensare a derivazione dal latino volgare "bicius" riferito al grigio degli abiti; per il Devoto, invece, il termine è "incrocio di bizarro e sciocco".
Secondo i miei ricordi, però, questa storia delle limitate facoltà mentali, tra l’altro sottolineate dal Devoto, era più che altro dichiarata ma non effettiva, una sorta di difesa preventiva nei confronti di una società rurale che aveva relegato ai margini le vizzoche. La lunga esperienza di vita, a volte condotta fra mille difficoltà, aveva reso infatti qualcuna di queste donne particolarmente furba e reattiva, e a volte tale furbizia degenerava in vera e propria cattiveria.
Una figura controversa quella della vizzoca, dedita si alla pratica religiosa, ma in modo molto personale: insieme ad altre amiche curavano il decoro delle chiese, conoscevano un sorta di latino “maccheronico” imparato e mandato giù a memoria, per tradizione orale, quello delle preghiere. Quei versetti non di rado, in pubblico ed in privato, venivano distorti e corrotti, tanto da degenerare nel ridicolo assoluto. Ad esempio l’invocazione a Maria “Regina santorum omnium” (trad. Regina di tutti i santi), veniva a tal punto distorta da trasformarsi in “Reggìna santi r’mmòni” che, tradotto letteralmente dal nostro dialetto, vuol dire più o meno “regina dei demoni santi”, oppure il “Requiem Aeternam” diventava “Requia materna”, ancora il “Requiescat in pacem, amen” (riposi in pace) dell’Eterno Riposo, poteva essere trasformato in un improbabile “Requia e schiatt’ in pace, ammèn”… un vero spasso ascoltarle, per chi aveva un minimo di dimestichezza con la lingua di Virgilio.
Figura diversa dalle vizzoche, ma analoga e collaterale ad esse era quella della “monaca di casa”. Si trattava di religiose, che avevano regolarmente preso i voti, provenienti da famiglie nobili, e obbligate a tanto per non suddividere fra più eredi il patrimonio di famiglia; vicende diffuse e mirabilmente descritte dal Manzoni, a proposito della arcinota Monaca di Monza, comuni un tempo anche da noi. Erano state dispensate dal vivere in convento e vestivano l’abito talare in casa; la buona educazione ricevuta in gioventù permetteva loro di insegnare musica, arti femminili come il ricamo, e a volte anche di dare lezioni private ; a tal proposito qualche ultraottantenne sporadico lettore di questo blog scribacchiato ricorderà Suor Crocifissa, che abitava nel borgo.
Un “mondo piccolo” perduto nei meandri del tempo, ove ogni figura, dalla più umile alla più altera, era in grado nella propria identità, di contribuire a caratterizzarlo.

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