Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

giovedì 26 giugno 2025

UN CAMMINO FRA FEDE E BUONA CUCINA

 

San Francesco Caracciolo
In questo momento di auge del cosiddetto “turismo lento” mi sembra opportuno segnalare il “Cammino di San Francesco Caracciolo”.  Non è questo un santo di cui si sente spesso parlare, tuttavia la sua vita fu avventurosa ed articolata.
Ascanio Caracciolo apparteneva a una delle famiglie più influenti di tutto il Regno di Napoli, essa possedeva oltre 500 feudi e decine e decine di titoli nobiliari, oltre a contare ben 10 cardinali e ancora più numerosi vescovi, per non parlare delle cariche civili e militari. Nel 1588 aveva fondato un ordine, quando intorno ai vent’anni, avendo contratto una malattia ritenuta contagiosa, decise di rimanere in isolamento. Guarito miracolosamente, scelse il nome di Francesco, ispirandosi al grande santo di Assisi, al servizio dei più poveri, degli esclusi ed emarginati. Da principe a mendicante, e va detto che aveva aggiunto per sé e i suoi confratelli, accanto ai tre voti di povertà, castità e obbedienza, un quarto voto: quello di “non ambire” alle cariche ecclesiastiche. Nella Napoli vicereale aveva fatto tanto bene, in particolare assistendo i condannati a morte e le loro famiglie prestando servizio presso la Compagnia dei bianchi di giustizia. Già alla sua morte erano avvenute guarigioni miracolose grazie alla sua intercessione, che gli valsero la proclamazione a Santo nel 1807.
Villa Santa Maria, in Abruzzo, dove nacque Ascanio, era tenuta in feudo dalla famiglia Caracciolo. Costoro apprezzavano a tal punto la buona tavola che tutti i garzoni al loro servizio dovevano fare esperienza anche di cucina. I più promettenti venivano inviati a Napoli per imparare i segreti dell’arte culinaria dai celebri “Monsù”. A ciò si deve il fiorire di generazioni di cuochi espertissimi a Villa Santa Maria e dintorni, ove nacque la prima scuola alberghiera d’Italia e forse del mondo. In San Francesco Caracciolo i cuochi hanno trovato colui che riunisce in sé il cibo dell’anima e quello del corpo, pertanto nel 1996 la Santa Sede lo proclamò “patrono dei cuochi d’Italia”.
Il santo nella sua breve vita (44 anni) aveva affrontato anche tre lunghissimi viaggi a piedi fino in Spagna. Nel 1608 si era recato in pellegrinaggio a Loreto e da qui era ripartito alla volta di Napoli attraverso Abruzzo e Molise, seguendo itinerari che si erano andati consolidando dalla seconda metà del Cinquecento.
Da qui l’idea di ideare un cammino per il camminatore-pellegrino di oggi. Grazie alla collaborazione fra padri e laici caracciolini, con il coinvolgimento di professionisti di vari ambiti, il progetto ha iniziato a prendere forma e sostanza nel 2019. La storia della costruzione del Cammino di San Francesco Caracciolo, patrono dei cuochi ha portato al coinvolgimento di giovani allievi e docenti degli Istituti Alberghieri presenti lungo l’itinerario, che ne fanno non un semplice cammino ma un camminare insieme verso l’altro, verso il buono, verso il bello.
Quali i punti di contatto di questa storia con il nostro paese? Prima di tutto citerei il fatto che i Caracciolo sono stati fino agli inizi dell’ottocento feudatari di Pietramelara, sotto il titolo di Duchi di Roccaromana, il grande stemma nella volta dell’androne del Palazzo Ducale ne dà testimonianza. La loro presenza portò addirittura un Re, Ferdinando II di Borbone a visitare Pietramelara, nel maggio 1836: il seguito, lo staff dei Caracciolo, nel tempo ha arricchito il territorio e la sua comunità di saperi e tecnologie sino ad allora sconosciute. Inoltre il Cammino di San Francesco Caracciolo inaugurato nel 2019 passa per il nostro comune, nella tappa n. 4 Piatravairano/Rocchetta e Croce, (vedi locandina) con escursioni programmate, fra le altre ai due eremi di Santa Maria a Fradejanne e del San Salvatore.

martedì 10 giugno 2025

UNA FESTA TRA FEDE, STORIA E TRADIZIONE

 

I “colpi scuri” alle sette circa del mattino costituiscono l’incipit più classico e tipico della festa di stamattina; si tratta dei festeggiamenti in onore della Madonna della Stella, tanto cari ai riardesi ma anche a noi altri dei comuni confinanti. Dei colpi scuri, dicevo, che si avvertivano distintamente anche qui a Pietramelara. Il culto, ancora tanto presente e sentito, si dipana tra il Santuario omonimo e la Chiesa Madre di Riardo.
Ripercorrendo la storia di questo Santuario, apprendo dal web che esso affonda le radici in un passato lontano, precisamente intorno al 1450. Secondo la tradizione popolare, un pastore, alla ricerca di una pecora smarrita, si imbatté in un roveto particolare. La pecora, infatti, aveva l’abitudine di inginocchiarsi proprio sopra quel roveto. Incuriosito, il pastore scrutò tra i rami spinosi e scoprì, nascosta dalla vegetazione, un’antica cappella. Riportata alla luce la cappella, emersero affreschi bizantini raffiguranti la Madonna col Bambino, il Redentore e diverse figure di Santi. Si narra che, tra la gente accorsa, vi fosse una giovane donna affetta da problemi mentali che, alla vista della cappella, gridò di correre dalla “Madonna della Stella”. Questo episodio fu interpretato come un segno divino, e da allora il santuario fu consacrato a Santa Maria della Stella.
Le origini della cappella si fanno risalire alla prima metà dell’XI secolo, epoca altomedioevale. Dopo qualche decennio di abbandono tra il 1191 e il 1230, la Cappella cadde nell’oblio e venne nascosta dalla vegetazione.
I lavori di restauro del 1952, evidentemente condotti senza controllo e guida, causarono la perdita (per sempre) di alcune immagini bizantine; in compenso grazie al distacco di quelli rimasti dalle pareti, gran parte di tali affreschi oggi sono fruibili dai fedeli e dagli appassionati d’arte.
Fino al 2024 il sedime della Cappella giaceva su un fondo di proprietà della Famiglia de Ponte, tuttavia con atto di donazione rogato dal notaio Di Caprio, Andrea de Ponte, in rappresentanza dell’intera famiglia cedette il bene al Comune di Riardo, nella persona del Sindaco Armando Fusco, anche grazie ai “buoni uffici” dell’Assessore Nicola de Nuccio.
Secondo l’indirizzo dell’Amministrazione Fusco la Cappella della Madonna della Stella diventerà non solo un luogo di culto e di pellegrinaggio, ma anche un importante attrattore turistico. La presenza degli affreschi della “scuola campana”, coevi a quelli delle più celebri opere di arte sacra della regione, come Sant’Angelo in Formis e Rongolise, conferisce a questo luogo un’importanza storica e artistica che merita di essere valorizzata e preservata per le generazioni future.
Articolato, quest’anno, il programma dei festeggiamenti: stamattina, nel primo giorno di festa, il Giro della Banda Musicale Città di Gioia del Colle, e due Messe celebrate dal parroco Don Marco Stolfi, in Chiesa Madre, e alle ore 18,00 avrà inizio la tradizionale processione che terminerà al Santuario, dove come tutti gli anni la Statua della Madonna rimarrà fino alla mattina della domenica 15. Stasera, alle 21,30, in Villa Violati, si esibirà il Concerto Musicale Falcicchio di Gioia Del Colle. Nel pomeriggio di Giovedì 12 al Santuario arriveranno i fedeli di Pietramelara che ricambieranno, come da tradizione secolare, il recente pellegrinaggio dei riardesi a San Pasquale. Venerdì 13 giugno, è prevista una celebrazione eucaristica per anziani e infermi, seguirà la Fiaccolata fino al Santuario. Domenica 15, al termine della Santa Messa delle otto in Cappella, è prevista la Processione e la Statua sarà riportata dai fedeli in Chiesa Madre, accompagnata dalla Banda Musicale Ritmo ed Armonia di Riardo, diretta dal Maestro Nicola Tartaglia; i fuochi pirotecnici saranno il materiale coronamento ed epilogo della festa, che sa tanto di tradizioni ed identità condivisa. 

giovedì 5 giugno 2025

GABBIANI ALIENI A PIETRAMELARA

 

Si tratta già il secondo avvistamento da parte del sottoscritto, confermato anche da qualche amico dotato di spirito di osservazione: uno o più gabbiani (larus spp.) incrociano il volo dalle parti delle contrade Dodici e Acqua Sant’Angelo, verosimilmente attirati dalla presenza della cosiddetta isola ecologica, nei pressi del dismesso macello comunale.
Dal web apprendo che la nidificazione del Gabbiano reale in ambienti urbani ha avuto inizio nel XX secolo. I primi episodi sono stati riportati nel Regno Unito a partire dagli anni ’40, sebbene solo a partire dagli anni ’70 il fenomeno si è sviluppato coinvolgendo anche altri Paesi europei: in Francia le prime nidificazioni urbane sono iniziate nel 1970 e in Spagna nel 1975. In Italia il primo caso di nidificazione urbana risale al 1971 con una coppia che è riuscita a portare a termine la riproduzione su di una scogliera artificiale all’interno dello zoo di Roma. La coppia si è riprodotta per diversi anni, ma è rimasto un caso isolato per un lungo periodo, perché è solo a partire dagli anni ’80 che il Gabbiano reale ha incrementato il numero di nidificazioni in aree urbane italiane.
Nei centri urbani il cibo è abbondante e facilmente reperibile, consentendo anche ai giovani del primo anno, ancora inesperti, di procurarlo con facilità. Per molte popolazioni urbane la principale fonte di cibo può essere fornita dalla vicinanza con siti adibiti a discarica. Alcune condizioni ecologiche favorevoli, quali una temperatura media superiore rispetto a quella delle aree extraurbane. IL gabbiano modifica la dieta adeguandola alle risorse più abbondanti e facilmente disponibili presenti nei centri urbani o nelle loro vicinanze, nutrendosi quindi anche di scarti alimentari di origine antropica, e svolgendo un’attiva azione predatoria che riguarda sia insetti e piccoli mammiferi ma anche uccelli, tra cui soprattutto il Piccione domestico, abbondantissimo in tutte le città. (La colonizzazione dei centri urbani italiani da parte del Gabbiano reale, a cura di Maurizio Fraissinet, edito dall’ANCI).
Tanto premesso rivado con la memoria al caso del pappagallo avvistato sul “quartiere svizzero”, qualche mese fa, oggetto anche di una nota su questo blog scribacchiato, del dicembre scorso (https://scribacchiandoperme.blogspot.com/2024/12/il-pappagallo-evaso-ipotesi-e-rischi.html), nella quale si paventavano rischi per la salute umana e danni all’agricoltura. La nostra biodiversità si arricchisce, grazie all’innalzamento delle temperature medie, ma ciò comporta rischi di varia natura! Spetta alle istituzioni (ASL, Istituto Zooprofilattico, ecc.) di monitorare il fenomeno e arginarlo, laddove possibile; ma anche a noi cittadini, primi custodi di un ecosistema in continua evoluzione, di tenere gli occhi aperti e fare le dovute segnalazioni alle competenti autorità.