Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

venerdì 22 agosto 2025

INCENDIO. QUALI PERICOLI?

 

Da qualche giorno si susseguono sui social e sugli altri media voci allarmate, e a volte allarmistiche, legate al disastroso incendio di materiali plastici che si è sviluppato sabato scorso, in agro di Teano, località Palmieri, in un impianto di stoccaggio in testa a Campania Energia, ancora non del tutto domato. A ragion veduta è ormai evidente che quello che è mancato è stato il controllo da parte di chi di dovere: politica e amministrazione (locale, provinciale, regionale, nazionale). Ciò che più di tutto suscita allarme è la diffusione di diossine in un ambiente, quello dell’Alto Casertano, finora ritenuto dai più esente da tali negatività.
Con il termine “diossina” si intende una famiglia di composti chimici divisi in due famiglie, le diossine propriamente dette e i furani. Si tratta di sostanze chimiche pericolose per l'uomo e gli animali, potenzialmente cancerogene, con effetti negativi sul sistema endocrino, riproduttivo e nervoso. Diossine e furani sono prodotte in generale da qualsiasi attività di combustione, come incenerimento dei rifiuti solidi urbani.
Nell’ambiente, e, in particolare nel suolo, si legano alla frazione organica presente e rimangono relativamente immobili: a causa della loro insolubilità in acqua non tendono a migrare in profondità. Tale insolubilità inoltre limita fortemente l’assorbimento di tali minacce chimiche, da parte delle radici.
L'assorbimento delle diossine da parte dei vegetali avviene principalmente tramite deposizione atmosferica diretta sulle foglie, poiché le diossine sono scarsamente disponibili per l'assorbimento radicale a causa della forte adozione al carbonio organico del suolo, specialmente nelle piante che crescono in superficie, le radici dei vegetali non sono in grado di assorbire tali molecole, per la loro complessità strutturale (vedi foto n. 2); infatti i composti chimici assorbiti dalle radici sono ioni biatomici o, al più, triatomici.
struttura delle diossine
Siamo realmente in pericolo? L’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania, ente strumentale della Regione che si occupa di controllare, monitorare e tutelare la qualità dell'ambiente del territorio regionale, ha effettuato diffusi monitoraggi da cui risulta che i limiti di tollerabilità stabiliti per le diossine dalla nostra normativa vigente non sono stati, per fortuna, superati. L’economia agricola subirà certamente un danno, ma esso sarà dovuto alla caduta di immagine delle produzioni di eccellenza che il nostro territorio da sempre offre; i consumatori, ma anche chi, come me, autoproduce ortaggi per il proprio consumo, alla luce di quanto sopra non correranno rischi: basterà lavare con attenzione le verdure a foglia larga, al limite usando anche un sapone detergente, e risciacquare. Per l’agricoltura professionale il problema è più arduo, anche perché il senziazionalismo di alcuni articoli diffonderà un senso di insicurezza generale, da recuperare con il tempo, la pazienza e la corretta comunicazione.
Certo, tutto questo sarebbe stato evitabile con un efficace sistema di prevenzione e controllo, cosa che è imperdonabilmente mancata, tuttavia ritengo (in scienza e coscienza) che le cose potevano andare anche molto peggio.
 

domenica 17 agosto 2025

UN SUCCESSO AL DI LA' DELLE POLEMICHE

 

La piazza degli “opinionisti” locali, stamattina era divisa fra coloro che hanno gradito il concerto di Enzo Avitabile, e dall’altra parte coloro che non lo hanno gradito. Non sono stato presente al concerto perché impedito da un’indisposizione temporanea, tuttavia ho visto i vari video che circolano sui social, la piazza era letteralmente gremita! (cfr foto di copertina). Nel nostro dialetto si suol dire: “si menavi na spingula petterra nun c’arrivava”  (se buttavi a terra una spilla questa non riusciva a raggiungere il suolo). Siamo in democrazia e i gusti sono gusti, ognuno la pensi come vuole; la mia opinione è che Avitabile è un artista di forte spessore, con decenni di spettacolo nel curriculum, attento al territorio e alla sua storia, ha saputo dosare un mix di blues, soul e tradizione musicale locale… e il risultato è gradibilissimo, inoltre, come ieri sera, l’interattività con il pubblico ha reso tutto più emozionante. Che dire poi dei nostalgici delle grandi bande? Non ricordate quando suonavano e ad ascoltarle, quando andava bene quaranta/cinquanta persone? Suvvia… costavano risorse ingenti e il gradimento del pubblico era limitato.
Ciò che voglio dire è questo: l’obiettivo dei comitati festa è quello di coinvolgere il pubblico, rendere gradito lo spettacolo e, soprattutto, richiamare le persone in piazza; rimane sterile pertanto la polemica tra favorevoli e contrari, l’obiettivo di cui sopra è stato pienamene conseguito, punto e basta. Vanno lodati le giovani donne e giovani uomini che si sono assunti tale importante responsabilità ed impegno; ognuno di essi ha un lavoro, una famiglia e, pertanto, sono degni di lode sotto ogni profilo. Cosa aspettarsi stasera per la conclusione dei festeggiamenti con Eugenio Bennato e la sua orchestra; il nome già la dice lunga: gli inizi con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, il distacco da questa con Musicanova (nel gruppo Teresa De Sio, scusate se è poco!), attualmente il suo gruppo si chiama  Taranta Power, ed affronta  i temi dell’Italia Meridionale e di ogni altro sud del Mediterraneo e del mondo, l’illusione del riscatto con il brigantaggio, le storie degli immigrati provenienti da ogni angolo del pianeta. 
Credo che un grazie i ragazzi del comitato festa di San Rocco, per quello che hanno fatto e dimostrato anche nel 2025, lo meritino veramente.

venerdì 8 agosto 2025

UN AMICO GATTO, NELLA SUA GIORNATA

 

La Giornata Internazionale del Gatto, celebrata ogni 8 agosto, è un’occasione non solo per coccolare i nostri amici felini ma anche per riflettere su quanto la loro presenza possa influire sul benessere psicologico. Il legame tra uomo e gatto, infatti, può migliorare l’umore, ridurre la solitudine e favorire una migliore qualità della vita.
Dal punto di vista psicologico, il gatto è uno specchio silenzioso delle emozioni umane. Riesce spesso a cogliere gli stati d’animo senza parole: si avvicina nei momenti di tristezza, si ritira quando percepisce tensione.
Questa sensibilità invita a una maggiore consapevolezza emotiva proprio perché i gatti “sentono” ciò che spesso si ignora (McNicholas & Collis, 2006). A differenza dei cani, i gatti sanno stare da soli, scegliere quando essere presenti e quando ritirarsi.
Il nostro felino, di nome Zampo (cfr. foto di copertina), è con noi da ben nove anni; libero e viziato, è padrone della nostra casa e di molte altre del vicinato, specie quelle a destra e sinistra della nostra abitazione, disabitate nella maggior parte dei giorni, nell’anno. Sparisce e ricompare, a volte dopo giorni, destando in noi preoccupazioni circa la sua incolumità: cosa gli sarà successo? Chissà se lo rivedremo, se tornerà a farci compagnia? Miagola molto di rado, ma, nel suo silenzio, sa farsi capire ed ascoltare. La sua fame, la sua sete, le sue emozioni  ce le comunica in modo ormai inequivocabile, visti tutti gli anni che abbiamo trascorso insieme. E’ la delizia delle mie figlie, quando tornano a casa… lo abbracciano, lo strapazzano e lui ci guarda con quell’espressione paziente che significa in modo chiaro: “debbo sopportarle, visto il trattamento che mi riservate”. Ha un amico della sua stessa specie, dal mantello nero, autore di alcune marachelle compiute in maniera congiunta; anche lui è un emblematico ed autentico rappresentante della specie felina domestica, si tiene alla larga da noi come per dire “godo anch’io dei vostri spazi, vi ringrazio ma… di voi non me ne frega nulla”

lunedì 28 luglio 2025

ANALISI DI UNA FESTA ANTICA

 

Cominciamo dalla fiera: i miei ricordi mi riportano ad un evento in cui non mancavano scambi di animali piccoli e grandi, venditori di finimenti per cavalli, muli e ciucci, artigiani del ferro battuto… tutto ciò è completamente scomparso per effetto di normative sempre più stringenti ed evoluzione generale dell’economia rurale; tuttavia la parte più autentica della fiera ha saputo tenere! I “cipollari”, provenienti per lo più da Alife e dintorni, non sono mancati, e non è mancato soprattutto chi era interessato per tradizione e/o per effettivo bisogno all’acquisto di una ‘nzerta dell’ortaggio che dà nome alla fiera. Come dalla foto di copertina, il modo di preparare e conservare le cipolle consiste nell’intrecciare le code e il prodotto che si presenta agli acquirenti è proprio essa, la ‘nzerta. Tutto il resto ha trasformato la fiera in un mercato più vasto ed articolato dedicato in massima parte all’abbigliamento. E’ questo un frutto dei tempi, a cui non possiamo assolutamente opporci. Non mi sono mai persa una visita alla fiera, anche se poi non ero interessato a nulla di particolare; si tratta di rispettare una tradizione identitaria che affonda le radici in un tempo lontanissimo; tanto per ricordarlo ai miei quattro lettori, le radici storiche della fiera della cipolla, che si tiene a Pietramelara nell’ultima domenica di luglio, affondano nel medioevo allorquando l’Ordine Monastico Cavalleresco dei Cavalieri di Malta, altrimenti detti  monaci ospedalieri, si insediarono qui da noi forti di vasti latifondi posseduti, fondarono la Cappella contenente l’effige della Madonna delle Grazie, coprotettice dell’Ordine, insieme a San Giovanni il Battista. Proprio San Giovanni conferì a tali luoghi il toponimo, che resiste ancor’oggi. La fiera ed il toponimo sono sopravvissuti alla presenza dei Cavalieri di Malta, anche oggi a centosettant'anni dall'Unità Nazionale, allorquando i Cavalieri Malta lasciarono Pietramelara, privati dei loro beni che furono messi all'asta. 
Ed eccoci ai nostri giorni. Alla fiera si è da sempre collegato un insieme di festeggiamenti civili e religiosi; il ciclo di celebrazioni sempre molto frequentato, la processione che porta per le vie del paese l’immagine mariana, di raffinatissima fattura, verosimilmente sei/settecentesca, il ruolo instancabile di Don Paolo, competente per territorio parrocchiale sulla Cappella. Le due serate in musica animate da Antonello, stimato cantautore locale; ed alla fine il clou con i Dik Dik, complesso musicale poco noto ai più giovani, ma famosissimo per noialtri “boomers”, nati fra gli anni cinquanta e l’inizio  dei settanta. Devo dire che sono rimasto ammirato da questo gruppo di ottuagenari, che per ben oltre due ore (anche grazie alla tecnologia) hanno intrattenuto un pubblico numerosissimo ed eterogeneo, fatto di locali e forestieri, giovani e meno giovani; questi ultimi nelle prime file sotto il palco hanno cantato insieme a loro, ricordando a memoria i testi, a volte hanno anche ballato, manifestando un entusiasmo vivo. Alla fine l’indice di gradimento della serata è stato veramente elevato.
Che dire? … la fiera e i festeggiamenti collegati sono il prodotto di un “comune sentire” che, seppur affievolito, resiste ancora forte ed avvertibile nel parroco, nei componenti del comitato e nell’intera comunità pietramelarese, che non può e non vuole disfarsi delle sue tradizioni più autentiche.

Sullo stesso argomento LA FIERA DELLA CIPOLLA (25 luglio 2015) (https://scribacchiandoperme.blogspot.com/2015/07/la-fiera-della-cipolla.html)

mercoledì 16 luglio 2025

DUE NAPOLETANI ED UN PAESE INTERNO

 

Come si percepiscono Pietramelara e pietramelaresi, dal di fuori? Quali sono le note positive e negative del nostro paese, agli occhi di gente che l’ha conosciuto per caso?
Per rispondere a tali domande occorrono donne e uomini dotati del requisito della “terzietà”:  persone che si sono approcciate alla nostra comunità e che, inoltre, hanno spiccato senso critico e ne hanno conoscenza quantomeno pluriennale, se non ultra decennale. Avendoli notati da tempo e avendo frequentato con loro la piazza, la Chiesa e altri luoghi di socialità, ho pensato di rivolgermi a due volti ormai noti a molti dei miei quattro lettori… mi riferisco ai coniugi Rosaria Vallorso e Gianni Giannini, pensionati napoletani, del Vomero, (vedi foto di copertina) con i quali, profittando del loro tempo e della loro disponibilità, ho scambiato dieci minuti di conversazione.
“Ci siamo trovati qui per caso, siamo qui per caso perché all'epoca, grazie all’amicizia dei nostri figli con delle ragazze che avevano un agriturismo a Sessa Aurunca, abbiamo cominciato ad apprezzare le zone interne… ci piaceva la situazione, e così abbiamo detto in giro che cercavamo una casetta nei paraggi, ma non la trovavamo. Ci rivolgemmo a Tecnocasa che dopo poco ci richiamò, l’addetto dell’agenzia ci guidò a Pietramelara ove c’era un immobile disponibile per la vendita e… mentre facevamo un giro, la cosa che ci sorprese, che ci decise, fu che la gente ci salutava senza conoscerci: buongiorno, buonasera, accoglienti, era una bella cosa. Venendo da Napoli, noi stiamo chiusi a ‘ rint, noi non vediamo nessuno”
Diciamo che Pietramelara fino a vent'anni fa, sotto ogni aspetto, era ancora migliore di come l'avete conosciuta voi. Voi state qua da tempo?
"Dal 2006, sì. In contrada San Pasquale, diciamo che siamo un po' defilati, in estrema periferia ma… Sì, è meglio. Siamo tranquilli. Stiamo bene"
Voi venite durante l'estate e nei fine settimana?
"Sì. Volevamo venire più spesso ma abbiamo dei figli che stanno all'estero, quindi spesso andiamo da loro. Viaggiamo. Però anche loro vengono qua volentieri. La famiglia si riunisce a Pietramelara, perché poi la casa che alla fine abbiamo comprata è bella grande.  Ci siamo trovati contenti. Sì, siamo contenti"
Poi io vi vedo pure la sera qua in piazza frequentare delle persone.
"Sono le persone che conosciamo, gli ottimi vicini e la signora Angela della gelateria, persona simpaticissima"
Consigliereste ad altri di ripetere la vostra esperienza?
"Lo abbiamo fatto più e più volte, anche ai nostri ospiti… A Napoli a volte ci rincresce anche di uscire per un caffè, le difficoltà legate al traffico e al parcheggio quasi impossibile ci fanno desistere, qui è diverso gli spazi sono più ampi, ed è un piacere trascorrere un po’ di tempo in piazza al tavolino del bar"
Avete conoscenza dei nostri problemi sociali ed economici, anche il calo della popolazione che da qualche anno si comincia a farsi sentire?
“No, ma comunque è naturale che ci sia... Oggi il lavoro per i giovani è un lavoro sotto retribuito e poco qualificato e purtroppo essi sono costretti a lasciare i luoghi dove sono nati, una dinamica comune a Pietramelara come altrove”
Un’analisi lucida e compiaciuta, quella dei coniugi Giannini che, va detto, solletica non poco il nostro orgoglio comune di pietramelaresi.

martedì 1 luglio 2025

AREE INTERNE SENZA ALCUNA CURA

 

Nei mesi scorsi la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha approvato il Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne (PSNAI), un documento – disponibile sul web - dedicato a coordinare il supporto finanziario rivolto a questi territori e al miglioramento dei loro servizi. Va sottolineato un passaggio di tale documento, presente a pagina 45: “Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”.
Leggere ciò mi ha fatto letteralmente saltare dalla sedia… si tratta della nuova linea di indirizzo strategico dello Stato verso centinaia di Comuni italiani, per lo più montani, collinari o rurali. Si tratta di un cambio di paradigma silenzioso ma devastante: si rinuncia ufficialmente all’idea di invertire la tendenza allo spopolamento. Si pianifica il declino. Lo si accompagna. Lo si normalizza.
Per capire la portata della questione, bisogna risalire alla definizione di Aree Interne: sono quasi 4.000 Comuni italiani, sparsi in ogni regione, che si trovano lontani dai centri dove si concentrano servizi essenziali come sanità, istruzione e mobilità. Coinvolgono oltre 13 milioni di cittadini, il 23% della popolazione, distribuiti su quasi il 60% del territorio nazionale. In pratica, l’Italia profonda. Quella che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici, comunità coese. E che oggi si vede diagnosticare una malattia terminale.
Qualche genio di Palazzo Chigi, grazie alla consulenza di eminenti professoroni, lautamente ricompensati con danaro pubblico, ha tirato fuori dalla magica lampada la sentenza, la diagnosi per una malattia difficile da curare, è vero, ma non per questo non meritevole della dovuta attenzione. Eticamente, rinunciare alla cura di un malato, significa condannarlo a morte! Il territorio rurale, costituitosi nei millenni grazie alla saggia collaborazione fra uomo e natura, langue per spopolamento; in altre parole viene a mancare una componente fondamentale: la presenza umana… e, in mancanza di essa, i frutti si vedono a stretto giro. Il dissesto idrogeologico, in primo luogo, la sottrazione di una risorsa fondamentale quale il suolo, divorato dall’espandersi del bosco, conseguente all’abbandono. 
E che la nostra Pietramelara sia esente da tale problematica non è assolutamente vero! Dal 2021 in poi, come dimostra l’immagine che allego la popolazione residente ha cominciato a scendere passando da   4800 unità nel 2010 alle 4.400 di oggi (contrazione media annua dell’1%), andando di tale passo tra un secolo il popolo pietramelarese non esisterà proprio più. E se prescindiamo dalle decisioni del governo nazionale, anche quello locale, dedito da un trentennio solo alla ordinaria amministrazione, non tenta neppure di frenare tale calo, mettendo in campo politiche volte all’occupazione, alla tutela della maternità, alla crescita culturale e quant’altro.

giovedì 26 giugno 2025

UN CAMMINO FRA FEDE E BUONA CUCINA

 

San Francesco Caracciolo
In questo momento di auge del cosiddetto “turismo lento” mi sembra opportuno segnalare il “Cammino di San Francesco Caracciolo”.  Non è questo un santo di cui si sente spesso parlare, tuttavia la sua vita fu avventurosa ed articolata.
Ascanio Caracciolo apparteneva a una delle famiglie più influenti di tutto il Regno di Napoli, essa possedeva oltre 500 feudi e decine e decine di titoli nobiliari, oltre a contare ben 10 cardinali e ancora più numerosi vescovi, per non parlare delle cariche civili e militari. Nel 1588 aveva fondato un ordine, quando intorno ai vent’anni, avendo contratto una malattia ritenuta contagiosa, decise di rimanere in isolamento. Guarito miracolosamente, scelse il nome di Francesco, ispirandosi al grande santo di Assisi, al servizio dei più poveri, degli esclusi ed emarginati. Da principe a mendicante, e va detto che aveva aggiunto per sé e i suoi confratelli, accanto ai tre voti di povertà, castità e obbedienza, un quarto voto: quello di “non ambire” alle cariche ecclesiastiche. Nella Napoli vicereale aveva fatto tanto bene, in particolare assistendo i condannati a morte e le loro famiglie prestando servizio presso la Compagnia dei bianchi di giustizia. Già alla sua morte erano avvenute guarigioni miracolose grazie alla sua intercessione, che gli valsero la proclamazione a Santo nel 1807.
Villa Santa Maria, in Abruzzo, dove nacque Ascanio, era tenuta in feudo dalla famiglia Caracciolo. Costoro apprezzavano a tal punto la buona tavola che tutti i garzoni al loro servizio dovevano fare esperienza anche di cucina. I più promettenti venivano inviati a Napoli per imparare i segreti dell’arte culinaria dai celebri “Monsù”. A ciò si deve il fiorire di generazioni di cuochi espertissimi a Villa Santa Maria e dintorni, ove nacque la prima scuola alberghiera d’Italia e forse del mondo. In San Francesco Caracciolo i cuochi hanno trovato colui che riunisce in sé il cibo dell’anima e quello del corpo, pertanto nel 1996 la Santa Sede lo proclamò “patrono dei cuochi d’Italia”.
Il santo nella sua breve vita (44 anni) aveva affrontato anche tre lunghissimi viaggi a piedi fino in Spagna. Nel 1608 si era recato in pellegrinaggio a Loreto e da qui era ripartito alla volta di Napoli attraverso Abruzzo e Molise, seguendo itinerari che si erano andati consolidando dalla seconda metà del Cinquecento.
Da qui l’idea di ideare un cammino per il camminatore-pellegrino di oggi. Grazie alla collaborazione fra padri e laici caracciolini, con il coinvolgimento di professionisti di vari ambiti, il progetto ha iniziato a prendere forma e sostanza nel 2019. La storia della costruzione del Cammino di San Francesco Caracciolo, patrono dei cuochi ha portato al coinvolgimento di giovani allievi e docenti degli Istituti Alberghieri presenti lungo l’itinerario, che ne fanno non un semplice cammino ma un camminare insieme verso l’altro, verso il buono, verso il bello.
Quali i punti di contatto di questa storia con il nostro paese? Prima di tutto citerei il fatto che i Caracciolo sono stati fino agli inizi dell’ottocento feudatari di Pietramelara, sotto il titolo di Duchi di Roccaromana, il grande stemma nella volta dell’androne del Palazzo Ducale ne dà testimonianza. La loro presenza portò addirittura un Re, Ferdinando II di Borbone a visitare Pietramelara, nel maggio 1836: il seguito, lo staff dei Caracciolo, nel tempo ha arricchito il territorio e la sua comunità di saperi e tecnologie sino ad allora sconosciute. Inoltre il Cammino di San Francesco Caracciolo inaugurato nel 2019 passa per il nostro comune, nella tappa n. 4 Piatravairano/Rocchetta e Croce, (vedi locandina) con escursioni programmate, fra le altre ai due eremi di Santa Maria a Fradejanne e del San Salvatore.