Scribacchiando per me

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il blog di un pietramelarese

venerdì 10 novembre 2017

FRATE ANSELMO

Il 7 ottobre del 1571, giorno della battaglia di Lepanto (una città greca posta all’imboccatura del golfo di Corinto), è una data molto importante perché segnò la fine dello strapotere dell’Impero Turco nelle acque del Mediterraneo, si fronteggiarono due grandi flotte: la Lega Santa e i Turchi, composte da centinaia di navi. La cosa si risolse in una grande disfatta dei turchi, che persero quasi tutte le navi e circa 35.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri. Da quella data in genere gli storici fanno partire il definitivo tramonto della potenza turca, nonché l’espansione della civiltà occidentale.
Pochi sanno, tuttavia, che a tale battaglia prese parte attiva anche un nostro concittadino, un monaco cappuccino di nome Frate Anselmo da Pietramelara, partito con un gruppo di confratelli dal Convento di Paliano (FR) al seguito di Marcantonio Colonna. Nella battaglia il nostro si distinse nell’uso delle armi più che nei pii uffici per il quale era stato imbarcato. Insieme ad altri monaci doveva infatti, a bordo di quelle navi, amministrare i sacramenti ai marinai, rimettere i loro peccati e, se del caso, anche combattere. Narrano le cronache dell’epoca: “Il qual caso come parve al padre Anselmo da Pietramelara che fosse venuto, perchè dopo molta uccisione di Cristiani la galera sua era piena di nemici, così afferrò con ambe le mani un roncone: e invece d'elmo crinito e di corazza lucente, camuffato di aguzzo cappuccio e di bigio saione, non altro mostrando che il ferro acuto e l’ispida barba, con sì fiero piglio e di tanto furore avventossi contro i nemici, e così grande spavento mise nelle anime loro al solo mostrarsi, che dopo aver cò suoi manrovesci straziato sette turchi , cacciò tutti gli altri in fuga, o spinseli a gettarsi nel mare; senza che nessuno s'ardisse affrontarsi con lui. L' annalista Boverio ne fa sapere che frate Anselmo raccontando il suo fatto in Roma al Papa, il fece sorrider”.
L’episodio fece scalpore, quindi, al punto che anche l’allora Papa Pio V si interessò alla cosa e volle ascoltare divertito dalla stessa bocca di frate Anselmo, il racconto dei fatti. Leggo inoltre da altro contributo rinvenuto sul web “Frate Anselmo di Pietramolara, prefetto dei monaci, che si troverà su una galera di cui si erano impadroniti i turchi, presa una spada con due mani ne distenderà sette, facendo arretrare gli altri. Rimarrà illeso e andando poi a chiedere perdono al papa, sarà confortato sentendosi rispondere di essere “più degno di lode che di dispensa”.
Sono convinto, anche mancando le fonti, che frate Anselmo fosse stato il figlio cadetto di una famiglia nobile, addestrato in gioventù a maneggiare le armi, ma costretto dalla legge del maggiorascato a farsi monaco: una vicenda che richiamerebbe quella di Gertrude, la Monaca di Monza, di manzionana memoria. Un uomo di chiesa combattivo e risoluto nel difendere il proprio mondo, i valori secondo i quali era stato allevato, la sua stessa possibilità di continuare liberamente ad essere monaco. Risolutezza, spirito combattivo, animosità: caratteri da sempre presenti nella nostra comunità, ieri più che attualmente, da prendere ad esempio soprattutto oggi, tempo in cui la globalizzazione del pianeta mina dalle fondamenta l'identità occidentale.


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