Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

mercoledì 7 dicembre 2016

UN TIPICITA' DA VALORIZZARE

Nonostante la plurisecolare tradizione contadina, il nostro paese purtroppo non vanta produzioni agroalimentari tipiche, almeno nel senso stretto di questa espressione. Condizioni agronomiche difficili e l’emigrazione hanno determinato l’abbandono di alcune tradizioni; inoltre da noi gli imprenditori agricoli e le loro famiglie hanno in gran parte preferito il reddito continuativo e relativamente sicuro derivante dalla produzione di latte bovino e/o bufalino, da vendere alla stalla; pertanto, allo stato dei fatti, non si sono sviluppate produzioni legate al territorio o alla particolare sapienza tramandata oralmente dalle nostre nonne, quali formaggi, salumi, oli e vini, come è avvenuto anche in zone a pochi chilometri da noi.
Se ci guardiamo intorno, tuttavia, un prodotto tipico, o che ha le caratteristiche per diventare tale, Pietramelara ce l’ha! Si tratta della famosa e prelibata “carna saucicciara”: è un piatto semplice ma buonissimo, sconosciuto o quasi appena si varcano i confini comunali, ma arcinoto e molto frequente sulle nostre tavole invernali.
L’origine si perde nella notte dei tempi: quando si uccideva il maiale, questo veniva lasciato a frollare per una nottata, la mattina dopo doveva essere “scortellato”, cioè sezionato nei vari tagli, dopodiché ciò che non serviva per prosciutti lonze , capocolli e ventresche veniva tagliuzzato a dadini e conciato con sale, finocchietto e peperoncino piccante, inoltre qualcuno aggiungeva aglio o altri aromi (buccia di arancio, foglia di alloro, coriandolo). L’impasto così ottenuto andava insaccato nelle budella del maiale, previamente pulite, per ricavarne salsiccia da essiccare. Per vedere se la concia era andata a buon fine, se la carne era al giusto punto di salatura e piccantezza, se il tutto si era armonizzato ed avrebbe conferito il giusto sapore alla salsiccia, si procedeva all’assaggio, friggendo in padella una piccola quantità della carne così preparata e destinata alle salsicce, detta perciò “carna saucicciara”. Da questa usanza il passo ulteriore perché la nostra “saucicciara” divenisse un piatto tipico si è avuto allorquando, negli anni settanta, si diede vita alle prime “sagre al borgo”. Da semilavorato a piatto vero e proprio! …negli stand allestiti per l’evento la nostra carne divenne un must, richiesto e preferito dagli avventori, nel panino o nel piatto, e tutt’oggi la saucicciara continua ad esser la pietanza simbolo della Sagra. Da allora l’uso in cucina si è diffuso a tal punto che oggi tutte le macellerie del luogo non mancano, nel lungo periodo che va da ottobre fino alla primavera inoltrata, di offrire alla clientela la carne saucicciara, tagliata e conciata, già bella e pronta da essere messa in padella.
Ritengo che l’enogastronomia locale si possa fregiare a buon diritto di questa preparazione così singolare e legata alla tradizione; il passo ulteriore dovrebbe essere quello della valorizzazione. Prima di tutto si dovrebbe proporre un disciplinare che regoli la materia prima, i tagli, le razze suine, quindi la tecnica di preparazione, la concia, ed un marchio collettivo in grado di renderla riconoscibile al consumatore. Suggerirei due tipologie, una più nobile e costosa, con il taglio della carne “a punta di coltello”, a mano quindi, ottenendo in tal modo un prodotto molto più bello da vedersi, sia cotto che crudo, ma soprattutto molto più buono in quanto assolutamente libero da nervi, connettivo ed altre imperfezioni. La seconda tipologia, molto più economica e meno pregiata potrebbe riferirsi al taglio della carne a macchina.
Attivare la lunga procedura per il riconoscimento di tale tipicità, con l’approvazione del disciplinare e del marchio, spetta agli operatori economici, allevatori e trasformatori, secondo quanto previsto dalla normativa europea di settore; la cosa non è facile in se, perché si scontra prima di tutto con la scarsa propensione a sostenere finanziariamente l’iter della procedura, con la sfiducia e la diffidenza tipica di tali iniziative da parte di chi dovrebbe avvantaggiarsene in primo luogo. Ma non è detto che in un domani vicino o lontano non possa succedere.

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