Nei mesi scorsi la
Presidenza del Consiglio dei Ministri ha approvato il Piano Strategico
Nazionale per le Aree Interne (PSNAI), un documento – disponibile sul web -
dedicato a coordinare il supporto finanziario rivolto a questi territori e al miglioramento
dei loro servizi. Va sottolineato un passaggio di tale documento, presente a
pagina 45: “Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una
struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte
declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove
generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli
condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di
inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse.
Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di
cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso
per chi ancora vi abita”.
Leggere ciò mi ha fatto letteralmente saltare dalla sedia… si tratta della nuova linea di indirizzo strategico dello Stato verso centinaia di Comuni italiani, per lo più montani, collinari o rurali. Si tratta di un cambio di paradigma silenzioso ma devastante: si rinuncia ufficialmente all’idea di invertire la tendenza allo spopolamento. Si pianifica il declino. Lo si accompagna. Lo si normalizza.
Per capire la portata della questione, bisogna risalire alla definizione di Aree Interne: sono quasi 4.000 Comuni italiani, sparsi in ogni regione, che si trovano lontani dai centri dove si concentrano servizi essenziali come sanità, istruzione e mobilità. Coinvolgono oltre 13 milioni di cittadini, il 23% della popolazione, distribuiti su quasi il 60% del territorio nazionale. In pratica, l’Italia profonda. Quella che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici, comunità coese. E che oggi si vede diagnosticare una malattia terminale.
Qualche genio di Palazzo Chigi, grazie alla consulenza di eminenti professoroni, lautamente ricompensati con danaro pubblico, ha tirato fuori dalla magica lampada la sentenza, la diagnosi per una malattia difficile da curare, è vero, ma non per questo non meritevole della dovuta attenzione. Eticamente, rinunciare alla cura di un malato, significa condannarlo a morte! Il territorio rurale, costituitosi nei millenni grazie alla saggia collaborazione fra uomo e natura, langue per spopolamento; in altre parole viene a mancare una componente fondamentale: la presenza umana… e, in mancanza di essa, i frutti si vedono a stretto giro. Il dissesto idrogeologico, in primo luogo, la sottrazione di una risorsa fondamentale quale il suolo, divorato dall’espandersi del bosco, conseguente all’abbandono.
Leggere ciò mi ha fatto letteralmente saltare dalla sedia… si tratta della nuova linea di indirizzo strategico dello Stato verso centinaia di Comuni italiani, per lo più montani, collinari o rurali. Si tratta di un cambio di paradigma silenzioso ma devastante: si rinuncia ufficialmente all’idea di invertire la tendenza allo spopolamento. Si pianifica il declino. Lo si accompagna. Lo si normalizza.
Per capire la portata della questione, bisogna risalire alla definizione di Aree Interne: sono quasi 4.000 Comuni italiani, sparsi in ogni regione, che si trovano lontani dai centri dove si concentrano servizi essenziali come sanità, istruzione e mobilità. Coinvolgono oltre 13 milioni di cittadini, il 23% della popolazione, distribuiti su quasi il 60% del territorio nazionale. In pratica, l’Italia profonda. Quella che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici, comunità coese. E che oggi si vede diagnosticare una malattia terminale.
Qualche genio di Palazzo Chigi, grazie alla consulenza di eminenti professoroni, lautamente ricompensati con danaro pubblico, ha tirato fuori dalla magica lampada la sentenza, la diagnosi per una malattia difficile da curare, è vero, ma non per questo non meritevole della dovuta attenzione. Eticamente, rinunciare alla cura di un malato, significa condannarlo a morte! Il territorio rurale, costituitosi nei millenni grazie alla saggia collaborazione fra uomo e natura, langue per spopolamento; in altre parole viene a mancare una componente fondamentale: la presenza umana… e, in mancanza di essa, i frutti si vedono a stretto giro. Il dissesto idrogeologico, in primo luogo, la sottrazione di una risorsa fondamentale quale il suolo, divorato dall’espandersi del bosco, conseguente all’abbandono.
E che la nostra
Pietramelara sia esente da tale problematica non è assolutamente vero! Dal 2021
in poi, come dimostra l’immagine che allego la popolazione residente ha
cominciato a scendere passando da 4800
unità nel 2010 alle 4.400 di oggi (contrazione media annua dell’1%), andando di
tale passo tra un secolo il popolo pietramelarese non esisterà proprio più. E
se prescindiamo dalle decisioni del governo nazionale, anche quello locale,
dedito da un trentennio solo alla ordinaria amministrazione, non tenta neppure
di frenare tale calo, mettendo in campo politiche volte all’occupazione, alla tutela
della maternità, alla crescita culturale e quant’altro.