Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

sabato 17 marzo 2018

IL CONDANNATO

Le cronache e i tg di questi giorni sono state contraddistinte da una nota ricorrente: la rievocazione a 40 anni di distanza del cosiddetto “caso Moro”.
Poco più che diciottenne “di paese”, frequentavo, “spaesato” mo ce vò, il primo anno di università in una facoltà estremamente politicizzata: il collettivo filocomunista impegnato in un continuo braccio di ferro con quello filo maoista, più estremo nelle tesi, a ciò si aggiungeva la presenza di un gruppo nutrito, ma più silenzioso di “ciellini”. Assemblee che interrompevano le lezioni con metodi abbastanza spicci, continui comunicati scritti a pennarello ed affissi alle bacheche, la bellissima Reggia di Portici, trasformata dalle circostanze, da luogo di studio e ricerca in laboratorio politico: erano così quegli anni!
Mi trovavo a Pietramelara la mattina del 16 marzo 1978, perché trattenuto da un’influenza, ascoltai la notizia dalla radio, dapprima incredulo, poi via via sempre più persuaso del fatto che quei 55 giorni a venire sarebbero entrati a far parte della storia. Quel giorno il nuovo Governo guidato da Giulio Andreotti stava per essere presentato in Parlamento per ottenere la fiducia. In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i brigatisti rossi uccisero i due carabinieri a bordo dell'auto di Moro (Oreste Leonardi e Domenico Ricci), i tre poliziotti che viaggiavano sull'auto di scorta (Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana. Onore a loro per sempre!
Dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale Moro fu sottoposto a un processo politico da parte del cosiddetto «tribunale del popolo» istituito dalle Brigate Rosse e dopo aver chiesto invano uno scambio di prigionieri con lo Stato italiano, il presidente della DC fu ucciso, il suo cadavere fu ritrovato a Roma il 9 maggio.
Su Pietramelara pochi riflessi, se si prescinde dei commenti nei capannelli della piazza: il paese era retto da una Amministrazione vicina al PSI, partito che voleva una soluzione umanitaria del caso Moro, trattando con le B.R., il sindaco era Gianni Sorbo, qualche omelia in chiesa accennò a quello che stava succedendo.
Ho assistito ieri sera in TV all’interessante documentario curato da Ezio Mauro, dato su RAI 3: “Il condannato, cronaca di un sequestro”; buona la qualità giornalistica, tuttavia ritengo che siano state le parole di Giovanni Moro, figlio del politico rapito, dette in conclusione del documentario, la parte saliente delle discussione: “… è ammissione comune che vi siano zone d’ombra, contraddizioni, questioni non chiarite e spiegazioni non ragionevoli date a fatti, fenomeni ed eventi”. In altre parole, a distanza di un quarantennio, nonostante processi, sentenze e condanne il “caso moro” resta aperto, ma allora, chi volle veramente il rapimento e l’uccisione di Moro?
Un bieco intreccio di interessi, poteri forti, potenze straniere, servizi deviati, in cui le B.R. appaiono come burattini senz’anima i cui fili vengono tirati, secondo una sapiente regia. Al proposito trovo plausibile la tesi di Antonio Ferrari , settant’anni, storica penna del Corriere :"Aldo Moro? Voleva emancipare l’Italia dall’abbraccio soffocante degli americani. Così come Berlinguer voleva emancipare il Pci dall’abbraccio soffocante di Mosca. Per questo il leader della Dc è stato rapito e ucciso". (vedi immagine di copertina)
La storia, con l’abbattimento del muro di Berlino e la rimozione della “cortina di ferro”, ha dato torto ai veri mandanti del delitto Moro, interessati ad impedire il “compromesso storico” fra DC e PCI? Da un mondo fatto di frontiere rigide e due blocchi, sé passato ad un “villaggio globale” senza confini insuperabili, in cui guerre locali e terrorismo hanno buon gioco, il caso moro resterà aperto ancora per anni, prima che emerga l’effettiva verità, che a riprendere ancora le parole di Giovanni Moro “…è l’unica forma di giustizia possibile!”.



Nessun commento:

Posta un commento