Mi è sempre piaciuto, sin da bambino, è stato il sogno più ricorrente della mia adolescenza: andare in moto. Non importa se la tua compagna di avventura ha più di vent’anni e tanti chilometri nei pistoni e nelle ruote, l’idea di libertà che ti comunica è veramente unica!
La tua amica giapponese è lì, in garage, che ti aspetta, non ti mette il broncio perché per quasi sei mesi non l’hai degnata di uno sguardo; appena i raggi del sole inteporiscono l’aria, la tentazione di lasciare tutto e dedicarti solo a lei si fa sempre più grande. Si ricarica la batteria, un poco di pazienza nel riavviarla, perché è stata ferma per tanto tempo e…via, si riparte. E’ bello correre con lei verso il mare, ma le strade dove si concede come il più piacevole dei divertimenti sono quelle di montagna. Curve, tornanti e contro tornanti da affrontare piegando sul fianco: in linguaggio tecnico si direbbe “in derapata” , ma… dalle nostre parti rende meglio “ca recchia ‘nterra”.
In tutta sincerità soffro non poco nell’indossare il casco, specialmente quello integrale. Non è per insofferenza nei confronti delle regole, ma perché ritengo che tutta la percezione del bello, che c’è nel viaggiare in moto, ne risente. Suoni e rumori si attenuano ed, a volte, le immagini ed anche gli odori che vengono dalla ambiente circostante sono molto meno avvertibili.
Non mi piacciono molto le moto più moderne, le trovo molto omologate e prive di personalità, specialmente quelle carenate, molto più simili a siluri; così come ritengo non sia da veri motociclisti sfidare i limiti del mezzo e quelli propri nella capacità di condurlo, è preferibile procedere ad andatura “da crociera”: è il modo migliore di viaggiare con lei apprezzando ciò che ti circonda e, al limite, scambiando qualche impressione col passeggero che conduci con te.
L’eterno fanciullo che alberga in me, ad onta degli anni, spera tanto di rimanere motociclista, nell’animo e nel corpo, ancora per tanto tempo... con il vento in faccia!
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