Il carnevale che ricordo io, quello degli anni ’70 per intenderci, era una grande festa per ogni pietramelarese; ognuno, artigiano, operaio, professionista sentiva il dovere, oltre al diritto naturale, di parteciparvi.
Nacque da un’idea dell’Azione Cattolica, ripresa ed ampliata dalla Pro Loco, che allora muoveva i suoi primi passi, eravamo agli inizi di quel decennio, e la crisi petrolifera, quella delle “domeniche a piedi”, ancora non si era manifestata.
Come in tutte le cose che riguardano il ricordo e la nostalgia, il rischio più forte è quello di scadere nella retorica, tuttavia voglio provare a descrivere quello che ricordo ai miei “quattro lettori”.
La preparazione cominciava nel tardo autunno ed era coperta da un velo di segreto quasi inviolabile. Erano gli artigiani locali i veri protagonisti: i “Serafini”, Mario e Franco Panebianco, i Di Lauro con i loro collaboratori, riuscivano a creare opere che ancora risiedono nella memoria di quanti hanno avuto la fortuna di ammirarle. Chi non ricorda, ad esempio, i costumi del Sandokan pietramelarese, con Mario nella parte della “Tigre di Mompracem”, il gigantesco King Kong, la Nave dei Pirati, il Cavallo di Troia e tanti altri ancora. Vi era poi un gruppo di ragazzi che si ostinavano ogni anno ad interpretare una tribù di pellerossa; a Carnevale fa freddo e ricordo le loro espressioni contratte dall’aria gelida, siccome, per coerenza con il ruolo, erano costretti a recitare seminudi.
Di sera la festa si animava ancora di più con il Festival delle “Voci senza Speranza”, erano i tempi di Salvatore il francese, insuperabile chansonnier, ottima “cover” di Charles Aznavour si sarebbe detto oggi, Mastu Cicciu, irresistibile macchiettista, Leucio il falegname, con la sua voce potente ed armoniosa: molti di loro purtroppo ci hanno già lasciato. Tra il pubblico del festival ogni tanto spuntava un gruppetto di maschere, camuffate in modo da rendersi irriconoscibili, sotto le cui “mentite spoglie” amavano celarsi studenti ed irreprensibili professionisti.
Onore a loro… e onore a chi, ancor oggi, cerca di perpetuare la tradizione! Ma, cosa manca affinché quei fasti si possano rivivere?
Se un decadimento della manifestazione c’è stato, la colpa non è da ascrivere a nessuno; il carnevale è solo una delle tante lodevoli iniziative intraprese e poi lasciate consumarsi, secondo una collaudata consuetudine pietramelarese. E’ venuto a mancare quel “comune sentire” di cui si parlava all’inizio, quel diritto/dovere condiviso, che spingeva i concorrenti a fare sempre di più e sempre meglio.
Bei ricordi davvero. Io aggiungerei ai tuoi ricordi, la morte di Carnevale interpretata da Andrea Natale, che con maestria e una serie di stratagemmi riusciva a nascondere non so dove le interiora di un maiale, e, oserei dire, con abilità di un prestigiatore, il boia di Carnevale, Alfonso Cangiano, mimava lo squartamento dell'addome del povero Andrea con la successiva fuoriuscita degli intestini, accentuando così, la certezza della morte di Carnevale. Ricordo lo stupore di noi ragazzi che assistevamo ai margini del capannello tale da renderci partecipi a quell'avvenimento. Bei ricordi, che riportano i momenti della nostra infanzia, quando il teatro di piazza era il mezzo di comunicazione, e dove era possibile compartecipare quasi toccando gli attori, se non addirittura, essere parte stessa del teatro. Un ricordo va ai Cari Andrea e Alfonso, personaggi che non recitavano, loro erano così, sia da attori carnevaleschi che nel quotidiano. Alla fine uno si ristorava con una birra e l'altro con un bicchiere di vino.
RispondiElimina