L’essere vissuto nello stesso luogo da oltre cinque decenni permette di apprezzare il cambiamento subito da quel luogo, e dalla comunità che lo abita, anche da aspetti che, ad un osservatore distratto, possono sembrare marginali e privi di significato. Nel frattempo, ad esempio, anche la Festa Patronale è profondamente cambiata, anche se, apparentemente i luoghi in cui si tiene sono gli stessi, stesse o quasi le funzioni liturgiche, simili sono gli spettacoli . Ciò che, di sicuro, è cambiato é l’aspetto della folla per le strade. Le feste patronali, anni ’60 e ’70, erano frequentate da pietramelaresi, abitanti dei dintorni e numerosissimi emigrati; tra le poche macchine circolanti per strada, erano quasi di più le svizzere e le tedesche, con la targa bianca, rispetto alle nostrane con targa nera a caratteri bianchi con la sigla, a noi familiare, CE; gli emigrati di allora erano uomini e donne che parlavano il nostro dialetto, amavano ritornare per rivivere le stesse tradizioni, avevano profondi legami con la nostra terra. Le stesse feste nel terzo millennio, sono, al contrario, con la fine dell’emigrazione, ricche di facce diverse: si notano persone dai tratti somatici nordafricani, centroeuropei ed asiatici che, vuoi per curiosità, vuoi per impiegare il tempo libero, oppure per ingannare la solitudine o per esigenza di integrazione, si aggirano fra bancarelle, luminarie ed i tavoli dei bar in piazza.
Chi si occupa di queste cose collega il boom dell’immigrazione in Europa con il crollo del muro di Berlino, con il fatto che la terra è divenuta “villaggio globale”, con la ricerca affannosa, infine, di scenari socio/economici più sereni ed opulenti. Sta a vedere che questi fenomeni “planetari” non hanno provocato effetti e risultati anche da noi, in occasione dell’attesissima Festa Patronale? Chissà…A pensarci bene gli stranieri di ieri, emigranti,e gli stranieri di oggi, immigranti, in hanno tanto in comune: hanno lasciato una realtà dura, fatta di miserie morali e materiali, con la speranza di un futuro migliore, si sono allontanati, loro malgrado, da affetti, amicizie e luoghi cari; ma soprattutto li accomuna il fatto che nei loro riguardi, tutti noi, che non abbiamo conosciuto la dura realtà del migrare, abbiamo un ingente debito. Dobbiamo a loro, oggi come allora, una grande ricchezza economica: per le rimesse degli emigranti, ieri, che hanno cambiato l’aspetto del nostro Paese, e per l’apporto di lavoro degli immigranti, oggi, che permette a tante attività agricole ed artigianali di sopravvivere prosperando; inoltre, a tale grande ricchezza economica va aggiunta un’altrettanto grande ricchezza culturale, grazie alla quale i nostri emigrati hanno recato con sé, ritornando, saperi, tecnologie, lingue e modi di vivere a noi sconosciuti; analogamente gli immigranti trasfondono, nei luoghi dove trovano ospitalità e lavoro, usanze, modi di essere e di pensare, che di sicuro arricchiscono, nella diversità, i popoli ospitanti.
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