Scrivere o, se preferite, scribacchiare del “tempo che fu” su questo blog raccoglie consensi e successo: i feedback positivi si sprecano! Non mancano però le critiche: la principale? Rinvangare troppo il passato facendo leva sulla nostalgia.
Eh, che volete…a volte non sono neppure io che scrivo: le dita sulla tastiera stabiliscono un collegamento diretto con la memoria che, in qualche modo, bypassa la razionalità e, dalla memoria vengono attinti ricordi, a volte ultradatati, tuttavia vivissimi in me. Tale automatismo che si stabilisce non mi porta a valutare appieno i giudizi critici ma neppure quelli lusinghieri sul mio scrivere. Ma io, e lo dice lo stesso titolo del blog, “scribacchio per me”, e, pertanto, la cosa potrebbe anche lasciarmi indifferente. Non è così! L’ho già detto in altre occasioni: lo scrivere va inteso nell’ottica di servizio che deve caratterizzare ogni azione che abbia risvolti pubblici. Leggere, ad esempio, di Piazza San Rocco negli anni ‘70, o dei “cunti” che un vecchio invalido mi narrava, può essere per chi mi segue dagli USA, dall’Argentina, o addirittura da Singapore e dall’Iran, un modo per allargare l’orizzonte della conoscenza, o anche, se si tratta di emigrati, un modo di sentire più vicina la propria terra di origine, nella sua storia recente e nelle sue tradizioni. I miei giovani lettori, poi, attraverso di me possono, se lo vogliono, avvicinarsi ad un modo ignoto e sconosciuto: un passato che a loro non appartiene.
D’altronde, e non vi sembri irriverente il paragone, come non citare l’esempio di due grandi del nostro cinema, Federico Fellini e Giuseppe Tornatore, che dalla propria memoria hanno attinto autentici capolavori?
Scribacchiando per me
sabato 30 aprile 2011
domenica 24 aprile 2011
...IN ALBIS
Dai, forza, sbrigati, dormi ancora? E’ la mattina del lunedì “in albis”, la mattina di pasquetta. Hai preparato tutto? La colazione: due belle fette di pane ed in mezzo la regina del periodo pasquale: la frittata con gli asparagi! Il pallone non deve mancare, ricordi?... ci siamo dati appuntamento “fore Carpene”, vicino “a’ Marunella”. Saliremo a piedi per il sentiero che porta alle Fosse della Neve, passando per Santu Francaziu e attraversando Castellone, lì qualcuno si dirigerà alle “rutti”, perché li attendono altri amici; noi proseguiremo per la strada che costeggia la “Masseria Suppuntata” e ci fermeremo poco più avanti, alla casella di “piettitonna”, perchè c’è un’altra comitiva e vogliono farci assaggiare la “composta” appena iniziata, e pare che stamattina abbiano anche tirato fuori una “logna” particolarmente ben riuscita, hanno preparato “a’ fellata”, e ci aspettano.
All’ariella il sole spunta presto al mattino, e perciò gli asparagi fanno bella mostra di sé anche lungo il sentiero, questo attarderà il nostro cammino, perché è un peccato non fermarsi a raccogliere tanta grazia di Dio. Tanto, siamo già quasi arrivati, ancora un quarto d’ora di cammino e saremo alla grande spianata delle Fosse della Neve: ah, ecco!... siamo finalmente giunti, non c’è silenzio, la vita intorno è intensa, si ode un brusio continuo che, però, non da alcun fastidio, è quasi musica; le donne sono indaffarate a preparare da mangiare, c’è chi ha raccolto qualche frasca secca e cerca di alimentare il fuoco, perché ha portato un po’ di agnello e lo vuole arrostire. Che noia questo sole che fa capolino, come al solito con il lunedì in albis si rischia di prendere una bagnata! I soliti irrequieti non sono soddisfatti di aver raggiunto al meta che ci eravamo prefissati e stanno rompendo le p… perché vogliono continuare per Fradejanne e Santu Salvatore; ma qui si sta bene… poco più in la c’è qualcuno che ha portato una chitarra e strimpella qualcosa di recente, non è molto bravo ma neppure sgradevole, e la melodia contemporanea si scontra con quella antica, perché a pochi passi altri con il “riganetto” stanno suonando la “craunareccia”, e, appena ci hanno visto, sono corsi ad invitarci perché vogliono organizzare una quadriglia.
Il sole è tornato a splendere, che bello!... ma comincia a farsi tardi bisogna riavviarsi, c’è chi ci invita a riscendere in paese in auto, i posti non mancano, ma perché?... rinunciare a ripercorrere l’ antico sentiero sarebbe un vero sacrilegio, e poi, mezz’ora e passando per le crucivalli e il sassu cupiertu e siamo di nuovo a casa!
Ndr:
- “fore Carpene”, vicino “a’ Marunella”: oggi molto più banalmente Piazza Mazzini
- Santu Francaziu , Castellone,“Masseria Suppuntata” ,l’ariella , crucivalli e il sassu cupiertu: toponimi lungo il sentiero per Fosse della Neve
- le “rutti”: le grotte di seiano, resti ipogei di una villa romana
- “composta”: salsiccia di maiale sotto olio o sotto sugna in un vasetto
- “logna”: lonza di maiale, capocollo
- “a’ fellata”: composizione di salumi affettati disposti in un grande piatto
- “riganetto”: l’organetto
- “craunareccia”: melodia popolare
- Fradejanne e Santu Salvatore: gli eremi del Monte Maggiore
All’ariella il sole spunta presto al mattino, e perciò gli asparagi fanno bella mostra di sé anche lungo il sentiero, questo attarderà il nostro cammino, perché è un peccato non fermarsi a raccogliere tanta grazia di Dio. Tanto, siamo già quasi arrivati, ancora un quarto d’ora di cammino e saremo alla grande spianata delle Fosse della Neve: ah, ecco!... siamo finalmente giunti, non c’è silenzio, la vita intorno è intensa, si ode un brusio continuo che, però, non da alcun fastidio, è quasi musica; le donne sono indaffarate a preparare da mangiare, c’è chi ha raccolto qualche frasca secca e cerca di alimentare il fuoco, perché ha portato un po’ di agnello e lo vuole arrostire. Che noia questo sole che fa capolino, come al solito con il lunedì in albis si rischia di prendere una bagnata! I soliti irrequieti non sono soddisfatti di aver raggiunto al meta che ci eravamo prefissati e stanno rompendo le p… perché vogliono continuare per Fradejanne e Santu Salvatore; ma qui si sta bene… poco più in la c’è qualcuno che ha portato una chitarra e strimpella qualcosa di recente, non è molto bravo ma neppure sgradevole, e la melodia contemporanea si scontra con quella antica, perché a pochi passi altri con il “riganetto” stanno suonando la “craunareccia”, e, appena ci hanno visto, sono corsi ad invitarci perché vogliono organizzare una quadriglia.
Il sole è tornato a splendere, che bello!... ma comincia a farsi tardi bisogna riavviarsi, c’è chi ci invita a riscendere in paese in auto, i posti non mancano, ma perché?... rinunciare a ripercorrere l’ antico sentiero sarebbe un vero sacrilegio, e poi, mezz’ora e passando per le crucivalli e il sassu cupiertu e siamo di nuovo a casa!
Ndr:
- “fore Carpene”, vicino “a’ Marunella”: oggi molto più banalmente Piazza Mazzini
- Santu Francaziu , Castellone,“Masseria Suppuntata” ,l’ariella , crucivalli e il sassu cupiertu: toponimi lungo il sentiero per Fosse della Neve
- le “rutti”: le grotte di seiano, resti ipogei di una villa romana
- “composta”: salsiccia di maiale sotto olio o sotto sugna in un vasetto
- “logna”: lonza di maiale, capocollo
- “a’ fellata”: composizione di salumi affettati disposti in un grande piatto
- “riganetto”: l’organetto
- “craunareccia”: melodia popolare
- Fradejanne e Santu Salvatore: gli eremi del Monte Maggiore
giovedì 21 aprile 2011
Cosa farò per la Terra?
Cosa farò per la Terra? Quale sarà il mio impegno di uomo, di cittadino e professionista impegnato in tematiche ambientali?
Domani, 22 aprile 2011 si celebrerà, in quasi 200 nazioni e da mezzo miliardo di persone, la 41ma Edizione della Giornata Mondiale Della Terra 2011, in inglese Earth Day 2011. Il leit motiv di quest’anno sarà “Billion Acts of Green” (Un miliardo di azioni verdi): ossia l’insieme di tutte le azioni e l’impegno di privati cittadini, ONG, Governi e altri enti mirate a migliorare la sostenibilità della nostra vita sul Pianeta Terra. Una campagna ambientale senza precedenti che pone l’accento sulle piccole cose che fanno la differenza, i piccoli gesti quotidiani, la cui somma diventa più importante dei soliti programmi “imposti” dall’alto.
Alla luce di tutto questo, quale sarà il mio contributo, allora? …veramente una minuscola goccia in un mare di dimensioni planetarie, ma non voglio rinunciarvi.
Non sono nuovo all’ambientalismo e ambientalista sono sempre stato, anche se convinto che un certo integralismo ambientale finisca per danneggiare e non apportare benefici al pianeta. In occasione di questa giornata ho pensato ad un minicodice personale, un “autodecalogo ambientale”.
Prima di tutto cercherò di inquinare di meno per i miei spostamenti di lavoro, abbandonerò l’auto e mi recherò in treno al lavoro, ne risentiranno positivamente anche le “magre finanze”… e ciò non guasta assolutamente.
Le mie uscite su questo blog, che mi sta dando soddisfazione insperate, saranno maggiormente dedicate a tematiche ambientali: i miei “quattro lettori”, che immagino già posseggano una sensibilità in tal senso verranno spronati ancora di più dai miei scritti.
Le mie funzioni di ufficio saranno indirizzate, come non mai, a stimolare soggetti privati ed istituzionali ad intraprendere iniziative di elevato respiro territoriale, in chiave di salvaguardia, conservazione e sostenibilità. I fondi europei messi a disposizione della nostra bella regione, ancora salva da negatività ambientali in gran parte del territorio (ad onta di certi media), con l’autonomia e la discrezione che le norme permettono, saranno impiegati per recuperare e valorizzare beni e manufatti, testimonianze di una civiltà contadina che qui da noi dura, ormai, da circa cinquanta secoli.
I miei amici agricoltori, mi vedranno sempre più presente per richiamarli ad una responsabilità crescente nella tutela del suolo, delle acque e dell’ecosistema agricolo; essi attraversano veramente un brutto momento per l’attività esercitata, e spero solo che ciò non li distolga dall’amore viscerale per la terra, tipico di tale categoria.
Domani, 22 aprile 2011 si celebrerà, in quasi 200 nazioni e da mezzo miliardo di persone, la 41ma Edizione della Giornata Mondiale Della Terra 2011, in inglese Earth Day 2011. Il leit motiv di quest’anno sarà “Billion Acts of Green” (Un miliardo di azioni verdi): ossia l’insieme di tutte le azioni e l’impegno di privati cittadini, ONG, Governi e altri enti mirate a migliorare la sostenibilità della nostra vita sul Pianeta Terra. Una campagna ambientale senza precedenti che pone l’accento sulle piccole cose che fanno la differenza, i piccoli gesti quotidiani, la cui somma diventa più importante dei soliti programmi “imposti” dall’alto.
Alla luce di tutto questo, quale sarà il mio contributo, allora? …veramente una minuscola goccia in un mare di dimensioni planetarie, ma non voglio rinunciarvi.
Non sono nuovo all’ambientalismo e ambientalista sono sempre stato, anche se convinto che un certo integralismo ambientale finisca per danneggiare e non apportare benefici al pianeta. In occasione di questa giornata ho pensato ad un minicodice personale, un “autodecalogo ambientale”.
Prima di tutto cercherò di inquinare di meno per i miei spostamenti di lavoro, abbandonerò l’auto e mi recherò in treno al lavoro, ne risentiranno positivamente anche le “magre finanze”… e ciò non guasta assolutamente.
Le mie uscite su questo blog, che mi sta dando soddisfazione insperate, saranno maggiormente dedicate a tematiche ambientali: i miei “quattro lettori”, che immagino già posseggano una sensibilità in tal senso verranno spronati ancora di più dai miei scritti.
Le mie funzioni di ufficio saranno indirizzate, come non mai, a stimolare soggetti privati ed istituzionali ad intraprendere iniziative di elevato respiro territoriale, in chiave di salvaguardia, conservazione e sostenibilità. I fondi europei messi a disposizione della nostra bella regione, ancora salva da negatività ambientali in gran parte del territorio (ad onta di certi media), con l’autonomia e la discrezione che le norme permettono, saranno impiegati per recuperare e valorizzare beni e manufatti, testimonianze di una civiltà contadina che qui da noi dura, ormai, da circa cinquanta secoli.
I miei amici agricoltori, mi vedranno sempre più presente per richiamarli ad una responsabilità crescente nella tutela del suolo, delle acque e dell’ecosistema agricolo; essi attraversano veramente un brutto momento per l’attività esercitata, e spero solo che ciò non li distolga dall’amore viscerale per la terra, tipico di tale categoria.
sabato 16 aprile 2011
Peppenella, Nicola e Ciccio
All’epoca delle televendite e del web commerce, quant’ è opportuno narrare di qualcuno che ha cercato di sbarcare il lunario spingendo un cigolante carrettino per borghi e contrade di campagna? E quant’è giusto far leva sulla nostalgia comune per suscitare magari un po’ di interesse? … non lo so, è meglio che rispondiate voi, d’altronde!
A volte mi sono ritrovato a rinvangare il mio passato, nelle mattine dei giorni feriali, o di domenica, in piazza, al mercato: ricordo la mia curiosità al cospetto di strani personaggi, venditori ambulanti il cui ricordo è ancora vivo nella mente. Essi avevano come costante una furbizia ostentata, ma più millantata che reale, quasi un dovere legato al tipo di attività, e sovente caratteri fisici in grado di suscitare curiosità.
“Pesce, peè…” era il richiamo acuto di Peppenella, pescivendola proveniente dall’hinterland napoletano e stabilizzatasi a Pietramelara con la famiglia, in seguito divenuta una dinastia vera e propria; donna minuta ma energica, spingeva senza apparente sforzo un carrettino grande e ricolmo di cassette di alici, sarde, qualche polpo, vongole e cozze. Nicola “uoglie fine”, che da San Prisco giungeva da queste parti a bordo di un Motom rosso, e in una sporta sita sul portapacchi, davvero spropositata, rispetto alle modeste dimensioni del mezzo, recava olive in salamoia, “buatte di alici “ ed una tanica di olio da vendere sfuso. Austino il ‘mmenestraro, quasi calvo, dalla pelle olivastra e un caratteristico neo al lato del volto.
Nel mercato domenicale, poi, all’angolo della piazza dove termina via Marconi, vendeva banane e noccioline americane un uomo tarchiato di cui non ricordo il nome; si divertiva a fare pubblicità alla mercanzia esposta improvvisando una sorta di danza senza musica, con un grande casco di banane in equilibrio sulla testa: intorno tutto un ridere di adulti e di bambini, incuriositi da quel rituale chiassoso e comico. Ciccio il pannazzaro, indimenticato fornitore di vestiario per tante famiglie, che conosceva tanto bene da essere al corrente di ascendenze e discendenze di un gran numero di clienti; il tempo trascorso lo aveva tanto legato al nostro paese da trattenerlo in piazza anche dopo il mercato, magari al bar per una partita al biliardo.
Si tratta di uomini e donne che, sebbene per nascita, provenienza o altro, non erano parte della nostra comunità, a poco a poco, grazie a particolari doti, sono riusciti ad entrarvi con discrezione, fino a diventarne componente integrante. Non è un caso, infatti, che il loro ricordo sia ancora presente, distanza di tempo, nella memoria comune di Pietramelara.
A volte mi sono ritrovato a rinvangare il mio passato, nelle mattine dei giorni feriali, o di domenica, in piazza, al mercato: ricordo la mia curiosità al cospetto di strani personaggi, venditori ambulanti il cui ricordo è ancora vivo nella mente. Essi avevano come costante una furbizia ostentata, ma più millantata che reale, quasi un dovere legato al tipo di attività, e sovente caratteri fisici in grado di suscitare curiosità.
“Pesce, peè…” era il richiamo acuto di Peppenella, pescivendola proveniente dall’hinterland napoletano e stabilizzatasi a Pietramelara con la famiglia, in seguito divenuta una dinastia vera e propria; donna minuta ma energica, spingeva senza apparente sforzo un carrettino grande e ricolmo di cassette di alici, sarde, qualche polpo, vongole e cozze. Nicola “uoglie fine”, che da San Prisco giungeva da queste parti a bordo di un Motom rosso, e in una sporta sita sul portapacchi, davvero spropositata, rispetto alle modeste dimensioni del mezzo, recava olive in salamoia, “buatte di alici “ ed una tanica di olio da vendere sfuso. Austino il ‘mmenestraro, quasi calvo, dalla pelle olivastra e un caratteristico neo al lato del volto.
Nel mercato domenicale, poi, all’angolo della piazza dove termina via Marconi, vendeva banane e noccioline americane un uomo tarchiato di cui non ricordo il nome; si divertiva a fare pubblicità alla mercanzia esposta improvvisando una sorta di danza senza musica, con un grande casco di banane in equilibrio sulla testa: intorno tutto un ridere di adulti e di bambini, incuriositi da quel rituale chiassoso e comico. Ciccio il pannazzaro, indimenticato fornitore di vestiario per tante famiglie, che conosceva tanto bene da essere al corrente di ascendenze e discendenze di un gran numero di clienti; il tempo trascorso lo aveva tanto legato al nostro paese da trattenerlo in piazza anche dopo il mercato, magari al bar per una partita al biliardo.
Si tratta di uomini e donne che, sebbene per nascita, provenienza o altro, non erano parte della nostra comunità, a poco a poco, grazie a particolari doti, sono riusciti ad entrarvi con discrezione, fino a diventarne componente integrante. Non è un caso, infatti, che il loro ricordo sia ancora presente, distanza di tempo, nella memoria comune di Pietramelara.
mercoledì 13 aprile 2011
PRIMAVERA NON BUSSA...
Qualcuno, che con me condivide la passione per l’ immortale Fabrizio De Andrè, ricorderà sicuramente il chimico “morto in un esperimento sbagliato” che, sebbene avesse fatto sue tutte le leggi della materia, in vita non era mai riuscito a spiegarsi perché gli uomini “si combinassero attraverso l’amore, affidando ad un gioco la gioia e il dolore”, e perché tale fatto inspiegabile avvenisse molto frequentemente in primavera.
Non sono interrogativi da poco! Certo, già prima del grande Faber, biochimici, sociologi, filosofi ed antropologi si sono avventurati sul poco agevole sentiero di tentar di dare spiegazioni caratterizzate da logicità matematica al fenomeno che, a me sembra, con la logica matematica ha poco o nulla da spartire.
“Primavera non bussa, lei entra sicura, come fumo essa penetra in ogni fessura", continuava, nella canzone, il nostro sfortunato chimico da una fossa del cimitero di Spoon River, quasi a voler addossare ogni responsabilità dell’innamoramento a questa stagione che compenetra e ispira, soprattutto nei più giovani, comportamenti e modi di fare.
Fatto sta… che è vero, è questo il tempo dell’amore: chi di noi non ricorda un amore nato e vissuto in primavera?.... ed inoltre, anche dalle manifestazioni esteriori, in questo periodo dell’anno, siamo portati a leggere nel comportamento di donne ed uomini la spinta propensione a stabilire rapporti con il sesso opposto. Le donne (più o meno giovani) indossano gonne più corte, ampliano i decolleté e usano profumi poco discreti, affinando le armi della malizia. I maschi, da parte loro, si comportano a volte come i tacchini che fanno la ruota o i galli cedroni che inalberano la cresta; la vanità del sesso maschile, un tempo definito “forte” solo per consuetudine e/o abitudine, ha raggiunto punte fino a ieri inimmaginabili, il tutto finalizzato a rendersi più interessanti e in grado di essere notati, in particolar modo dalle donne.
N.d.r. : Per chi volesse approfondire, il pezzo citato è “Un chimico”, tratto dall’album “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”, ispirato alla celebre “Antologia di Spoon River” di E. Lee Master
Non sono interrogativi da poco! Certo, già prima del grande Faber, biochimici, sociologi, filosofi ed antropologi si sono avventurati sul poco agevole sentiero di tentar di dare spiegazioni caratterizzate da logicità matematica al fenomeno che, a me sembra, con la logica matematica ha poco o nulla da spartire.
“Primavera non bussa, lei entra sicura, come fumo essa penetra in ogni fessura", continuava, nella canzone, il nostro sfortunato chimico da una fossa del cimitero di Spoon River, quasi a voler addossare ogni responsabilità dell’innamoramento a questa stagione che compenetra e ispira, soprattutto nei più giovani, comportamenti e modi di fare.
Fatto sta… che è vero, è questo il tempo dell’amore: chi di noi non ricorda un amore nato e vissuto in primavera?.... ed inoltre, anche dalle manifestazioni esteriori, in questo periodo dell’anno, siamo portati a leggere nel comportamento di donne ed uomini la spinta propensione a stabilire rapporti con il sesso opposto. Le donne (più o meno giovani) indossano gonne più corte, ampliano i decolleté e usano profumi poco discreti, affinando le armi della malizia. I maschi, da parte loro, si comportano a volte come i tacchini che fanno la ruota o i galli cedroni che inalberano la cresta; la vanità del sesso maschile, un tempo definito “forte” solo per consuetudine e/o abitudine, ha raggiunto punte fino a ieri inimmaginabili, il tutto finalizzato a rendersi più interessanti e in grado di essere notati, in particolar modo dalle donne.
N.d.r. : Per chi volesse approfondire, il pezzo citato è “Un chimico”, tratto dall’album “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”, ispirato alla celebre “Antologia di Spoon River” di E. Lee Master
giovedì 7 aprile 2011
Quelle antiche storie di lupi, pastori e carbonai
Per continuare a seguire il solco della memoria, ancora netto per fortuna, e visto il successo che tra i miei “quattro lettori” ha suscitato la nota sulla Piazza, rieccomi a raccontare un altro pezzo del passato, così come l’ho vissuto o, forse, solo così come lo ricordo.
Guardare la televisione era un passatempo da poche ore al giorno: la “TV dei Ragazzi” e… a letto dopo Carosello! I pomeriggi in qualche modo dovevano pur trascorrere, ed allora giochi per strada e nei campi attorno al paese; ma ciò che più di tutto eccitava la fantasia erano i “cunti”: si trattava di storie più o meno lunghe che avevano dei personaggi fissi o ricorrenti, uomini o anche animali (antropizzati), ed a narrarle persone anziane con un grande bagaglio di esperienza, a cui il tempo e gli acciacchi avevano ristretto, ma non tolto, la possibilità di essere utili alla società.
I più belli erano quelli narrati da un mio vicino di casa, da tempo invalido. Ci si sedeva, insieme altri coetanei del vicinato, su un muretto del suo giardino e cominciava il racconto. Il fascino e l’ immaginazione che suscitavano quelle storie colorite sono ancora vivissimi nella mia mente: i protagonisti erano lupi, volpi, pastori, briganti, carbonai, caratteri di una società contadina che, al tempo, pur essendo entrata nella sua fase conclusiva, non era ancora del tutto spenta. L’abilità principale del nostro narratore, poi, consisteva nel collocare le storie in luoghi e contrade del paese, ben conosciute al punto che chi ascoltava, incantato come me, viveva i “cunti” non come spettatore distante e distinto, ma al pieno centro della vicenda.
La proverbiale ed eterna lotta fra pastori e lupi poteva svolgersi tanto all’Ariola quanto ai Pantani; il capo di avidi briganti aveva nascosto un ricchissimo tesoro in un particolare punto del Monte Maggiore, laddove quel sasso proietta l’ombra a mezzogiorno; tra i ruderi di una masseria abbandonata, poco distante, “asciva ‘a paura”, cioè si materializzava un fantasma e… tanto altro.
La cultura contadina, mai codificata, ma tutta basata sull’udire e tramandare, aveva fatto sì che, , quelle storie immaginate nella notte dei tempi, di bocca in bocca, fossero giunte alle mie orecchie, ma io ora… a chi le posso raccontare?
Guardare la televisione era un passatempo da poche ore al giorno: la “TV dei Ragazzi” e… a letto dopo Carosello! I pomeriggi in qualche modo dovevano pur trascorrere, ed allora giochi per strada e nei campi attorno al paese; ma ciò che più di tutto eccitava la fantasia erano i “cunti”: si trattava di storie più o meno lunghe che avevano dei personaggi fissi o ricorrenti, uomini o anche animali (antropizzati), ed a narrarle persone anziane con un grande bagaglio di esperienza, a cui il tempo e gli acciacchi avevano ristretto, ma non tolto, la possibilità di essere utili alla società.
I più belli erano quelli narrati da un mio vicino di casa, da tempo invalido. Ci si sedeva, insieme altri coetanei del vicinato, su un muretto del suo giardino e cominciava il racconto. Il fascino e l’ immaginazione che suscitavano quelle storie colorite sono ancora vivissimi nella mia mente: i protagonisti erano lupi, volpi, pastori, briganti, carbonai, caratteri di una società contadina che, al tempo, pur essendo entrata nella sua fase conclusiva, non era ancora del tutto spenta. L’abilità principale del nostro narratore, poi, consisteva nel collocare le storie in luoghi e contrade del paese, ben conosciute al punto che chi ascoltava, incantato come me, viveva i “cunti” non come spettatore distante e distinto, ma al pieno centro della vicenda.
La proverbiale ed eterna lotta fra pastori e lupi poteva svolgersi tanto all’Ariola quanto ai Pantani; il capo di avidi briganti aveva nascosto un ricchissimo tesoro in un particolare punto del Monte Maggiore, laddove quel sasso proietta l’ombra a mezzogiorno; tra i ruderi di una masseria abbandonata, poco distante, “asciva ‘a paura”, cioè si materializzava un fantasma e… tanto altro.
La cultura contadina, mai codificata, ma tutta basata sull’udire e tramandare, aveva fatto sì che, , quelle storie immaginate nella notte dei tempi, di bocca in bocca, fossero giunte alle mie orecchie, ma io ora… a chi le posso raccontare?
venerdì 1 aprile 2011
Piazza San Rocco
Cosa rappresenta Piazza San Rocco per un pietramelarese? Oltre ad essere un bene comune, uno snodo nevralgico per chi si muove all’interno del paese, essa da sempre è stata un luogo di incontro. Incontro, che significa anche e soprattutto scambio: di merci, di servizi, di notizie, di informazioni.
Da bambino, quando il mercato domenicale si teneva ancora lì, in piazza vi era un angolo in cui i benestanti, i “padroni” del tempo, usavano incontrare operai e salariati (i ‘jurnatari) per retribuirli ed eventualmente prenotarli per i prossimi lavori agricoli necessari, secondo la stagione: a fine inverno la potatura di vigne ed oliveti, in estate la mietitura del grano , in autunno la provvista di legna da ardere e, così via. La piazza era vita, era brusio continuo, l’aria era attraversata dall’odore del caffè che varcava la porta dei bar, ma anche da quelle tipiche e colorite imprecazioni dei giocatori di carte al tavolo che, a volte, non approvavano il modo di giocare del proprio compagno. In piazza, fra la gente, la frequentazione e l’incrociarsi degli sguardi hanno fatto nascere storie che poi, ironia della sorte, a volte si sono concluse nello stesso luogo.
Cosa rimane di tutto questo? Poco: un declino, lento ma inesorabile, dell’importanza della piazza è cominciato da tempo e, purtroppo, continua senza cenno ad arrestarsi; passare oggi da quelle parti diventa sempre più deprimente. Se si prescinde dagli “inconsapevoli filosofi” di un mio precedente passaggio su questo blog, raramente si trovano all’imbrunire persone con la voglia e la disposizione a fare due chiacchiere. Dei “giovani”, poi, manco a parlarne! …e le virgolette sono d’obbligo. Essi sono convinti che le piazze virtuali, offerte dal web, possano esaudire fino in fondo la voglia di socialità che è in tutti noi. Tra l’altro, loro preferiscono uscire in macchina, raggiungere qualche città nei paraggi, e lì fermarsi per ore in qualche locale per rincasare a notte fonda. La piazza?... sì, ma giusto un quarto d’ora per raggrupparsi e partire.
A noialtri adulti, la mancanza di tempo libero ha tolto il gusto di vedere ed incontrare amici, in mezzo alla gente; il nostro individualismo ha fatto il resto, e ci ha convinti che, tutto sommato, si sta meglio a casa, per i fatti propri, magari davanti alla TV!
Da bambino, quando il mercato domenicale si teneva ancora lì, in piazza vi era un angolo in cui i benestanti, i “padroni” del tempo, usavano incontrare operai e salariati (i ‘jurnatari) per retribuirli ed eventualmente prenotarli per i prossimi lavori agricoli necessari, secondo la stagione: a fine inverno la potatura di vigne ed oliveti, in estate la mietitura del grano , in autunno la provvista di legna da ardere e, così via. La piazza era vita, era brusio continuo, l’aria era attraversata dall’odore del caffè che varcava la porta dei bar, ma anche da quelle tipiche e colorite imprecazioni dei giocatori di carte al tavolo che, a volte, non approvavano il modo di giocare del proprio compagno. In piazza, fra la gente, la frequentazione e l’incrociarsi degli sguardi hanno fatto nascere storie che poi, ironia della sorte, a volte si sono concluse nello stesso luogo.
Cosa rimane di tutto questo? Poco: un declino, lento ma inesorabile, dell’importanza della piazza è cominciato da tempo e, purtroppo, continua senza cenno ad arrestarsi; passare oggi da quelle parti diventa sempre più deprimente. Se si prescinde dagli “inconsapevoli filosofi” di un mio precedente passaggio su questo blog, raramente si trovano all’imbrunire persone con la voglia e la disposizione a fare due chiacchiere. Dei “giovani”, poi, manco a parlarne! …e le virgolette sono d’obbligo. Essi sono convinti che le piazze virtuali, offerte dal web, possano esaudire fino in fondo la voglia di socialità che è in tutti noi. Tra l’altro, loro preferiscono uscire in macchina, raggiungere qualche città nei paraggi, e lì fermarsi per ore in qualche locale per rincasare a notte fonda. La piazza?... sì, ma giusto un quarto d’ora per raggrupparsi e partire.
A noialtri adulti, la mancanza di tempo libero ha tolto il gusto di vedere ed incontrare amici, in mezzo alla gente; il nostro individualismo ha fatto il resto, e ci ha convinti che, tutto sommato, si sta meglio a casa, per i fatti propri, magari davanti alla TV!
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