Scribacchiando per me

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il blog di un pietramelarese

sabato 16 febbraio 2019

LATTE: UN MONITO DALLA SARDEGNA

Cosa insegnano al nostro territorio le proteste dei pastori dell'ultima settimana in Sardegna? Bisogna premettere che esse non sono una novità, durano infatti da circa una ventina d'anni. Era luglio 2001 quando una delegazione di un centinaio di allevatori sardi raggiunse Genova per trovare visibilità internazionale a sostegno della loro causa in occasione del G8. E, da allora, le azioni eclatanti si sono ripetute con cadenza regolare negli anni.
Sempre gli stessi i problemi denunciati con proteste di piazza, anche molto violente: prezzo del latte troppo basso, fragilità del comparto di fronte alla globalizzazione e alle calamità naturali. Stavolta, però, la protesta è stata amplificata dai social, con i video virali del latte versato ovunque in Sardegna, le immagini dei camion aperti e i loro carichi rovesciati in strada, delle lunghe file di auto bloccate sulle principali arterie dell'isola.
Quali le motivazioni che hanno fatto esplodere il fenomeno?
''La situazione - sottolinea in una nota l’Assolatte - è davvero preoccupante: momenti difficilissimi, dovuti ad una serie di cause concomitanti. Durante la campagna 2017/2018, la produzione di latte di pecora ha avuto un notevole incremento (10-15%). Lo stesso ha fatto quella di Pecorino Romano, principale destinazione del latte sardo, aumentata del 24%. Mentre i consumi interni diminuiscono, anche le esportazioni, motore del settore, sono andate a picco (-33%)”.
Ma come si è arrivati a questo punto? La maggior parte della materia prima prodotta in Sardegna è destinata alla lavorazione di pecorino romano dop: il calo delle esportazioni registrato nel 2018 insieme all’aumento della produzione ha di fatto riempito i magazzini di formaggio, abbattendone il prezzo di vendita all’ingrosso. Come conseguenza, anche il corrispettivo pagato ai pastori, che di latte di pecora vivono, si è ridotto notevolmente, costringendoli alle barricate.
Una situazione analoga a quella di qualche anno fa vissuta dai nostri allevatori bufalini: prezzi che a malapena riuscivano a coprire il costo di produzione, con la conseguente chiusura di molte stalle di fatto marginali, nonostante la forte richiesta dei mercati per la mozzarella, specie per quella con il marchio DOP “Mozzarella di Bufala Campana”.
Dalle nostre parti oggi i rapporti di forza si sono ribaltati, rispetto a quanto succedeva appena uno/due anni fa! Due i fattori che hanno determinato la svolta: prima gli abbattimenti di capi affetti da brucellosi, poi l’entrata a regime di un sistema di tracciabilità del latte, più efficiente rispetto al passato. Ieri si doveva “pregare” il titolare di un caseificio a ritirare (e pagare) il proprio latte, oggi sono loro, i caseificatori, a girare per campagne e contrade per vedere di “acchiappare” qualche quintale di latte bufalino in più al giorno. Si sta riducendo anche l’adozione del doppio prezzo “estate/inverno” per il latte, e può anche prevedersi che in futuro possa annullarsi: i caseifici, infatti, pagano sensibilmente di più il latte durante l’estate, quando la domanda di mozzarella è forte, mentre ritirano a un prezzo più basso quando la domanda cala; si ha notizia di caseificatori che per fidelizzare i propri conferitori, offrono un unico prezzo per l’intero anno.
Tutti risolti i problemi del comparto bufalino, quindi?... oppure si deve temere qualcosa di analogo a quello che oggi succede in Sardegna? Chissà?...Premesso che, almeno per il momento non c’è sovrapproduzione di mozzarella, che l’export continua a tirare, il futuro dipende in gran parte da quanto sapranno fare gli allevatori per elevare la qualità media del latte, per produrre più latte nella stagione primaverile/estiva, per imporre la propria rappresentativa presenza nel Consorzio di Tutela.

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