“Radici” è un’espressione in voga sin dagli anni ‘70, dall’uscita dell’omonimo bestseller dello scrittore afroamericano Alex Haley, che trattava la saga di una famiglia, dalle origini in Africa, attraverso al deportazione e la schiavitù, in America. Da allora ogni qual volta ci si vuol riferire alle origini, al legame con i luoghi natii, si ricorre a tale suggestiva espressione: “Ricercare le radici, ritrovare le radici”, quante volte anche nel gergo giornalistico e mediatico ci imbattiamo in essa!
Ma cosa sono per noi e per la nostra gente le radici? A pensarci bene le radici, quelle botaniche così come quelle genetiche, hanno in comune due fondamentali funzioni, quella di ancorare saldamente e quella di nutrire. E chi si allontana, per libera volontà o necessità dai luoghi di origine, sente le “radici” come un vincolo, come un richiamo imperioso : a volte, poi, come mi è capitato ieri, ci si rende conto di queste cose senza nessuna ricerca, quasi fosse un evento del tutto casuale. Il dolore ci libera dalle sovrastrutture culturali che, con il tempo,sono state imposte dalla scuola, dall’ambiente sociale e dalla necessità ed ecco che le radici, con tutto il loro potere emergono prepotentemente. Ed allora un’anziana donna, una vedova, residente a centinaia di chilometri di distanza, che decide di affidare il corpo del proprio caro congiunto alla terra di Pietramelara, a dispetto di sicure difficoltà logistiche, ne è la più chiara dimostrazione. Una scelta sicuramente ragionata e meditata nel corso di una lunga malattia che lasciava presagire una fine vicina, ma nella quale le “radici” hanno giocato un ruolo fondamentale. Questa la sintesi del ragionamento: “Terra di Pietramelara, mi hai generata ed allevata, sono partita e sono stata lontana per decenni, ho studiato, lavorato e progredito, messo su famiglia, ti restituisco ora, quale tributo di affetto ed appartenenza, il corpo dell’uomo che ho amato, ed anche se non era uno dei tuoi figli, sono convinta che lo custodirai con ogni cura”.
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