Io e la mia bicicletta siamo compagni inseparabili nelle passeggiate dei pomeriggi d’estate; non è un articolo extra lusso il mio, ma neppure quello che si definirebbe un “chiodo arrugginito”. Leggera, silenziosa e, soprattutto, priva di quegli ammennicoli che la tecnologia moderna propina, mi segue quasi ovunque: per le vie del paese, come nelle campagne. E’ una compagna fedele e discreta, non chiede mai il perché di aver preso una direzione, anziché un’altra; risparmiosa e pulita, l’unico carburante di cui ha bisogno sono un paio di gambe ben allenate, ma si accontenta per andare avanti sicura anche di arti stanchi e bisognosi di riposo. E’ una vera alleata del genere umano: non inquina, non sporca e fa molto bene alla salute. Sono convinto che raramente un’invenzione della mente umana abbia racchiuso tanta genialità in sè: tanti vantaggi ed assenza assoluta di problemi.
Non è la prima che posseggo…e penso che, data la mia età, la cosa sarebbe poco verosimile a credersi: ho davanti agli occhi la bici dell’infanzia e quella dell’adolescenza, prodotti buoni di un’industria nazionale che raccoglieva successi, anche in questo campo, e non conosceva ancora la concorrenza dirompente dei cinesi. Quelle bici si presentavano lise dal tempo e dall’uso sconsiderato di un ragazzo degli anni ’60 e ’70, insieme ai suoi tanti compagni e coetanei, anch’essi ciclisti per forza e per abitudine, nel tempo libero, nell’andare a scuola e, d’estate, “al mastro”; toccava poi a ‘Ntuniuccio, storico riparatore di biciclette pietramelarese, di cercare con ogni mezzo di rimetterle in sesto, dopo le torture vere e proprie a cui venivano sottoposte.
Ricordo nettamente quel momento in cui sono salito in bici (senza rotelle) a cinque anni, grazie alle braccia sicure di mio padre, e posso serenamente affermare che, superato il cinquantennio, oggi mi sembra di non essere mai sceso da essa; le ginocchia ed i gomiti scorticati, per le frequenti cadute e disarcionamenti, non hanno fatto altro che legarmi sempre di più alla mia carissima amica .
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