Scribacchiando per me

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il blog di un pietramelarese

mercoledì 1 febbraio 2012

LA MIA LINGUA

E’ l’unica lingua che posso dire di conoscere bene: il mio dialetto! Si parla dalle nostre parti, terra di vecchi contadini ed artigiani che, la sera d’inverno, servendosi di esso, si scambiavano idee ed informazioni alla luce ed al calore del focolare, mentre nella bella stagione amavano più o meno fare lo stesso mentre si “frischiava” (cfr nota), magari su un vecchio sedile di pietra accanto l’aia.
E’ una vecchia conoscenza ed un vecchio amore, quello con la mia lingua, figlia sicuramente di quella napoletana, ma anche fortemente distante da essa per sonorità, qui molto più dure ed accentuate, e per evidenti influenze sannite e longobarde. Uno dei miei tanti progetti incompiuti: quello di raccogliere e salvare dal disuso vecchi termini e verbi. Allora avevo meno di vent’anni e tante idee per la testa…ma non è detto che ciò che non è stato fatto in gioventù non lo si possa rifinire e completare nell’età matura!
Non rinuncio, quindi, mai ad usare il mio dialetto per comunicare - è ovvio- con chi mi capisce con facilità, con chi condivide con me l’avventura di vivere la nostra terra; sarebbe veramente assurdo e velleitario rivolgersi ad un milanese, usando il nostro linguaggio.
Quant’è bello ritrovarsi fra amici che condividono questa passione e passare il tempo a rivangare vecchi modi di dire, nomi di oggetti della civiltà contadina, aggettivi! Sono momenti in cui l’identità comune emerge con forza: allora, il superlativo assoluto di bugiardo è “pezzecchieru”, quello di goloso è “all’ccarissu”. Chi si ricorda come si chiamava quella paletta metallica destinata a ripulire la madia dai residui di pasta di pane? A ‘raritora, da non confondere con la stannatora oggetto simile, ma di dimensioni maggiori, utile a liberare l’aratro dalla terra umida ed argillosa che vi si attaccava…e così via.
L’ilarità si fa forte quando si passa ai soprannomi che alcune famiglie, dopo secoli, non si riescono a scrollare di dosso: perché, anche se in alcuni casi si tratta solo di richiami al mestiere o all’attività esercitata, o semplicemente alla provenienza geografica, in altri il soprannome comporta una feroce carica di derisione, anche per questioni che adesso non sarebbero assolutamente “politically corrects”, come difetti fisici, difetti di pronuncia, caratteri particolari ed altro. Ma, tant’è: nel nostro retroterra culturale non si è mai andati troppo per il sottile ; le ipocrisie, i modi di dire edulcorati non fanno parte di esso, certamente, ma non dobbiamo meravigliarcene: erano tempi, quelli in cui la nostra lingua si è generata, dove dire bianco significava solo e semplicemente bianco e, al contrario, nero.

Ndr: “frischiare” indica l’usanza di godersi il fresco delle sere d’estate, ragionando all’aperto, per strada con le persone della famiglia e del vicinato.

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