Il mese di febbraio rappresenta generalmente la fine di una stagione un tempo molto importante: quella dell’uccisione del maiale. Oggi non è possibile, per motivi più che ovvi, allevare un suino in casa e le abitudini alimentari sono orientate a modelli più salutistici. Pertanto la tradizione dell’uccisione del maiale va sempre più riducendosi ed è avviata, a parere di chi scrive, ormai al tramonto. Collegata ad essa vi era un’usanza estremamente significativa: lo scambio del cosiddetto “arrustu” . Si trattava di un assaggio di carne del porco appena macellato che veniva inviato, come gesto di cortesia, a parenti ed amici stretti. Alla carne si accompagnava qualche sanguinaccio, un fegatello, con le immancabili rete e foglia d’alloro, e qualche cotica destinata alle braciolette per il ragù domenicale.
Ma…vi siete mai chiesti quali sono le motivazioni culturali alla base di questa simpatica usanza? Solidarietà fra famiglie, un modo per tener vivi rapporti di vicinato, certo… ma io, da filosofo del “pensiero debole”, ritengo che una motivazione, sicuramente più prosaica ed in qualche modo antropologica, risieda nel fatto che l’arrustu è un espediente scaturito dall’esigenza di prolungare nel tempo il consumo di carni fresche. Mi spiego meglio: fino agli anni ’50, il consumo di carni fresche era ristretto a pochissime fauste occasioni, fra le quali, appunto, l’uccisione del maiale; i redditi erano bassi, la conservabilità della carne era limitata a causa della bassa diffusione dei frigoriferi; ed allora sacrificare parte delle carni del proprio maiale serviva ad assicurasi che, di li a poco, la cortesia sarebbe stata ricambiata, a stretto giro: tanti arrusti distribuiti equivalevano, con ogni probabilità, ad altrettanti in entrata, in un periodo di tempo che in tal modo dilatava il consumo di carne fresca.
Lo so…a questo punto qualche altro esponente della scuola filosofica del “pensiero debole” potrebbe obiettare che con questo ragionamento ho banalizzato un usanza molto suggestiva, caratterizzata anche da aspetti di filantropia; in realtà io penso che il comportamento singolo e collettivo della gente di un tempo era orientato ad un essenziale pragmatismo: gli uomini erano dotati di uno spiccato senso pratico e, anche senza volerlo e saperlo, si comportavano di conseguenza.
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