Sicuramente molti di voi hanno visto in TV la pubblicità della RAI, l’ultima…quella in cui le persone tentano di dialogare fra loro usando dialetti incomprensibili: bella e divertente, vero?
Essa mi fa riandare con la mente all’infanzia, dove mi imbatto nel ricordo di persone che usavano una lingua, il nostro dialetto, nella forma più arcaica e vernacolare: pochi, al giorno d’oggi, riuscirebbero a seguirli comprendendo in pieno il senso del discorso: un po’ come succede per i personaggi della pubblicità RAI. I vetri alle finestre erano “l’ lastr’”, il coltello da cucina “a trincia”, gli occhi “gl’uocci”, e così via… potremmo continuare per tanto ancora nell’elenco.
Pertanto se, per assurdo, ci fosse data la possibilità di usare una macchina del tempo anche per un breve viaggio, fino alla Pietramelara degli anni ‘50/’60, dubito che, incontrando qualche pittoresco personaggio del tempo, si sarebbe potuto stabilire un dialogo: l’incomprensibilità dei linguaggi, per noi e per lui, sarebbe tale a tanta che, dopo poco e tanti sforzi reciproci, comincerebbe a montare la rabbia.
Ma…mi domando a questo punto: è ancora utile conoscere il dialetto? Oggi, ai giovani che si scambiano SMS usando un linguaggio semplificato, cacofonico e privo di vocali, gioverebbe comprendere o sostenere un dialogo in “pietramelarese stretto”?
Il filosofo del pensiero debole che alberga in me, malato terminale di “pietramelarite”, esprimerebbe un “sì” convinto ed immediato ad ambedue le domande. Qualche altro, colpito in modo meno grave da quella malattia, opterebbe per un “forse”. Altri ancora, risponderebbero che a loro del dialetto non importa nulla: questione di punti di vista!
Nel tempo, inoltre, altri dubbi e curiosità sono sorti in me: mi sono chiesto, ad esempio, per quale motivo a Riardo e a Baia si parli quasi lo stesso dialetto, anche se le due comunità sono separate fra loro da Pietramelara, che ne usa uno molto diverso ma simile a quello di Roccaromana. Forse bisognerebbe fare studi di “glottologia”… chissà!
Al giorno d’oggi è chiaro, si avverte, che l’uso del dialetto va sempre più scemando; sono convinto, tuttavia, che la conoscenza e la salvaguardia di un patrimonio così prezioso, permetta a chiunque di conoscere meglio chi è, da dove viene, perché è fatto in un determinato modo; per usare un’espressione alla moda: aiuterebbe chiunque a prendere coscienza della propria identità.
Tra le tante cose che il tempo ed i media hanno travolto o stanno travolgendo c’è questo pezzo importante, questo tassello fondamentale di cultura locale: il nostro dialetto. Non lasciamo che esso divenga uno sconosciuto perduto nel tempo, di cui a malapena si ricorda il nome.
Scribacchiando per me
venerdì 25 febbraio 2011
mercoledì 23 febbraio 2011
FUOCHI DI PAGLIA? Impressioni di un blogger cinquantenne
Dal numero, dalla cadenza e dall’abbondanza di stampa locale, un distratto osservatore della realtà culturale pietramelarese potrebbe essere indotto a pensare che, tutto sommato, le cose vanno bene, che il livello della scolarizzazione e della cultura ha raggiunto livelli veramente elevati.
Da oltre un quarantennio a Pietramelara moltissime istituzioni politiche, sociali o religiose hanno cercato di uscire all’esterno con un foglietto, un volantino che desse conto delle attività portate avanti, che esprimesse idee più o meno condivise e condivisibili. Fatto sta che, dopo poco, i fuochi (generalmente di paglia) si affievoliscono, la cadenza delle uscite si fa sempre più infrequente ed immancabilmente le iniziative, sia pur lodevoli, si perdono nell’oblio, sostituite da altre, a volte ancora più lodevoli negli intenti. Tante le motivazioni di questo intenso e rapido turnover: impegno che viene a mancare, frizioni fra i componenti dei gruppi, insostenibilità del costo di pubblicazione, o altro.
Anche qualche esperienza vissuta da chi scrive si è rivelata deludente: basti pensare che la collaborazione con il quotidiano locale più letto, in paese e dintorni, si arenò a causa di un’incolmabile differenza di vedute con il direttore del giornale, legato quasi esclusivamente alla cronaca.
Chi scrive per il paese (gruppi, istituzioni o singoli) deve farlo solamente per il gusto di esserci, di comunicare, senza secondi fini, più o meno individuabili; inoltre ritengo la carta stampata un mezzo di comunicazione ormai datato, antieconomico ed inaccettabile dal punto di vista ambientale.
Al contrario, bisogna avvalersi delle nuove tecnologie sfruttandone al pieno ogni potenzialità!
Appunto:l’esperienza di questo Blog, nata qualche notte fa, prima di andare a dormire, mi sta dando enormi soddisfazioni: gli accessi sono numerosissimi, sicuramente superiori alle più rosee aspettative, e si concentrano in prossimità dell’uscita dei nuovi post; penso che se andranno così le cose continuerò ancora per tanto a “bloggare” sulla rete, avvalendomi di un altro strumento rivelatosi validissimo per far conoscere i miei scritti: Facebook.
Da oltre un quarantennio a Pietramelara moltissime istituzioni politiche, sociali o religiose hanno cercato di uscire all’esterno con un foglietto, un volantino che desse conto delle attività portate avanti, che esprimesse idee più o meno condivise e condivisibili. Fatto sta che, dopo poco, i fuochi (generalmente di paglia) si affievoliscono, la cadenza delle uscite si fa sempre più infrequente ed immancabilmente le iniziative, sia pur lodevoli, si perdono nell’oblio, sostituite da altre, a volte ancora più lodevoli negli intenti. Tante le motivazioni di questo intenso e rapido turnover: impegno che viene a mancare, frizioni fra i componenti dei gruppi, insostenibilità del costo di pubblicazione, o altro.
Anche qualche esperienza vissuta da chi scrive si è rivelata deludente: basti pensare che la collaborazione con il quotidiano locale più letto, in paese e dintorni, si arenò a causa di un’incolmabile differenza di vedute con il direttore del giornale, legato quasi esclusivamente alla cronaca.
Chi scrive per il paese (gruppi, istituzioni o singoli) deve farlo solamente per il gusto di esserci, di comunicare, senza secondi fini, più o meno individuabili; inoltre ritengo la carta stampata un mezzo di comunicazione ormai datato, antieconomico ed inaccettabile dal punto di vista ambientale.
Al contrario, bisogna avvalersi delle nuove tecnologie sfruttandone al pieno ogni potenzialità!
Appunto:l’esperienza di questo Blog, nata qualche notte fa, prima di andare a dormire, mi sta dando enormi soddisfazioni: gli accessi sono numerosissimi, sicuramente superiori alle più rosee aspettative, e si concentrano in prossimità dell’uscita dei nuovi post; penso che se andranno così le cose continuerò ancora per tanto a “bloggare” sulla rete, avvalendomi di un altro strumento rivelatosi validissimo per far conoscere i miei scritti: Facebook.
lunedì 21 febbraio 2011
Non ti nascondere dietro un dito!
Ritengo che per chi scrive il principio guida, a cui ispirarsi, sia quello della chiarezza. Non mi riferisco tanto alla chiarezza grammaticale e sintattica, che comunque rimangono importanti, quanto alla chiarezza intesa come apertura mentale, trasparenza ed inequivocabilità dei concetti espressi.
Ciò premesso, è successo, a volte, che nella vicenda del mio scrivere mi sia imbattuto in qualcuno che, forse piccato da qualche giudizio espresso con eccesso di franchezza, o, magari, per confutare scorrettamente idee altrimenti inattaccabili, si sia rivolto a me con espressioni del tipo “non ti nascondere dietro un dito”. A costoro rispondo dicendo che il sottoscritto non ha mai esitato a salire sui palchi per esporre quanto pensava, che non ha mai dimenticato di apporre la propria firma su manifesti, esposti, articoli e quant’altro prodotto dalla penna propria e/o quella dei gruppi a cui si è onorato di appartenere.
Se si vuole che le proprie idee, i propri dissensi destino un effetto pratico e tangibile, bisogna uscire allo scoperto e scrivere, dire, parlare e gridare nelle sedi e nei modi opportuni; a tutti coloro che protestano mugugnando a bassa voce e nelle retrovie, va rivolto l’invito pressante “non ti nascondere dietro un dito”.
Certo… quando si è fatta la scelta della chiarezza, si deve mettere anche nel conto la possibilità di ricevere, quando meno te lo aspetti, uno sgambetto, un invettiva o, al limite, una diffamazione bella e buona. E’ tipico, ad esempio, di qualche amministratore del Nostro Comune, tacciare di demagogia chiunque non la pensa come lui.
La vita pubblica è fatta di queste cose: è questo il rovescio della medaglia, lo scotto che si paga per la grande soddisfazione di dire, raccontare e descrivere le cose nel modo in cui le si vedono.
venerdì 18 febbraio 2011
Sviluppo sostenibile: sì…ma come?
La lenta decadenza di Pietramelara, a cui assistiamo da più di un ventennio, proiettata in uno scenario di “medio-lungo periodo” condurrebbe, nel giro di meno di un secolo, alla definitiva scomparsa di una città la cui storia dura da almeno tre millenni! La stima non è esagerata… specie se confrontata con realtà limitrofe alle nostre: Roccaromana in affanno anche solo per conservare una sezione di scuole medie, il borgo di Croce, a pochi chilometri da noi, ormai del tutto disabitato ecc. Senilizzazione, spopolamento, trasporti pubblici inesistenti, carenza di occupazione, specie per i giovani, conducono inesorabilmente ad un progressivo abbandono anche dei luoghi che a noi tutti sono tanto cari.
Ma se l’imperativo è “porre un freno” all’esodo delle giovani generazioni, quali le misure da adottare per il caso?
Chi ne ha la responsabilità deve ricordarsi che il territorio è la nostra unica e vera risorsa, l’unica possibilità di creazione di occupazione stabile e remunerativa. Lo sviluppo economico “sostenibile”, espressione usata ed abusata da tutti, quello che fa perno sulle risorse umane e ambientali già esistenti in determinato luogo, si rivela allora l’ “uovo di colombo”: la soluzione semplice, geniale e a portata di mano per risolvere il problema alla radice.
Detto così la cosa può apparire facile ed immediata, l’obiettivo conseguibile, e quasi viene la voglia di chiedersi perché non ci si sia pensato prima!
In realtà, affinché ciò possa avvenire, in primo luogo bisogna passare ad una mentalità meno individualista, che ci permetta anche di progettare iniziative gestite in maniera associata; inoltre, se è vero che il territorio è una risorsa, esso merita un rispetto maggiore, da parte delle istituzioni e dei singoli: in tale chiave esso va non solo conservato, ma anche valorizzato.
La ricetta “bell’e pronta” forse non la possiede nessuno, ma sono sicuro che, se esiste, essa impone di non farsi più abbagliare da miraggi industriali che durano quanto un risveglio, di limitare l’abuso di costruire in zone agricole (anche quando non ve ne è alcuna necessità), di dare al nostro millenario borgo una dignità diversa, di monitorare e di controllare l’ambiente, tenendo a bada la piaga dell’abbandono dei rifiuti e degli scarichi inquinanti.
mercoledì 16 febbraio 2011
Sono diventato un blogger
Non è un viaggio con molte tappe quello della mia penna: un paio di giornali locali, la collaborazione con qualche gruppo impegnato in attività di tipo politico o sociale. Nulla di speciale! Scrivere mi ha sempre interessato e stimolato, mi dà il modo ci comunicare con le persone e, specialmente quando si avverte il ritorno, il feedback, per usare un anglismo alla moda, la soddisfazione è forte.
Non sempre, è vero, il feedback è positivo, ma anche in quel caso non vi nascondo che il solo fatto di aver indotto qualcuno a scrivermi “non sono d’accordo”, “stai sbagliando” mi rende felice.
Il confronto è fatto di questo: la comunicazione produce un flusso di informazioni bidirezionale tra chi scrive ed il destinatario.
Il progresso della tecnologia impone a chiunque di aggiornarsi, dalla carta si deve passare, per tanti motivi a mezzi di comunicazione più rapidi, più efficienti, e forse anche meno dannosi all’ambiente.
Sono diventato così un blogger, uno di quelle persone che, per il solo gusto di comunicare e senza alcuna pretesa di universale consenso, creano una propria finestrella sulla Rete.
martedì 15 febbraio 2011
Arrustu:tra storia ed antropologia
Il mese di febbraio rappresenta generalmente la fine di una stagione un tempo molto importante: quella dell’uccisione del maiale. Oggi non è possibile, per motivi più che ovvi, allevare un suino in casa e le abitudini alimentari sono orientate a modelli più salutistici. Pertanto la tradizione dell’uccisione del maiale va sempre più riducendosi ed è avviata, a parere di chi scrive, ormai al tramonto. Collegata ad essa vi era un’usanza estremamente significativa: lo scambio del cosiddetto “arrustu” . Si trattava di un assaggio di carne del porco appena macellato che veniva inviato, come gesto di cortesia, a parenti ed amici stretti. Alla carne si accompagnava qualche sanguinaccio, un fegatello, con le immancabili rete e foglia d’alloro, e qualche cotica destinata alle braciolette per il ragù domenicale.
Ma…vi siete mai chiesti quali sono le motivazioni culturali alla base di questa simpatica usanza? Solidarietà fra famiglie, un modo per tener vivi rapporti di vicinato, certo… ma io, da filosofo del “pensiero debole”, ritengo che una motivazione, sicuramente più prosaica ed in qualche modo antropologica, risieda nel fatto che l’arrustu è un espediente scaturito dall’esigenza di prolungare nel tempo il consumo di carni fresche. Mi spiego meglio: fino agli anni ’50, il consumo di carni fresche era ristretto a pochissime fauste occasioni, fra le quali, appunto, l’uccisione del maiale; i redditi erano bassi, la conservabilità della carne era limitata a causa della bassa diffusione dei frigoriferi; ed allora sacrificare parte delle carni del proprio maiale serviva ad assicurasi che, di li a poco, la cortesia sarebbe stata ricambiata, a stretto giro: tanti arrusti distribuiti equivalevano, con ogni probabilità, ad altrettanti in entrata, in un periodo di tempo che in tal modo dilatava il consumo di carne fresca.
Lo so…a questo punto qualche altro esponente della scuola filosofica del “pensiero debole” potrebbe obiettare che con questo ragionamento ho banalizzato un usanza molto suggestiva, caratterizzata anche da aspetti di filantropia; in realtà io penso che il comportamento singolo e collettivo della gente di un tempo era orientato ad un essenziale pragmatismo: gli uomini erano dotati di uno spiccato senso pratico e, anche senza volerlo e saperlo, si comportavano di conseguenza.
Iscriviti a:
Post (Atom)