Scribacchiando per me

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il blog di un pietramelarese

domenica 24 marzo 2013

LA SETTIMANA SANTA (o quasi)


Per noialtri “rurales”, ragazzotti cresciuti per strade e vicoli di paese, il ricordo della settimana santa si concretizza in tutto un rincorrersi di appuntamenti sospesi “fra il sacro ed il profano”.
Si cominciava già da molto tempo prima a preparare le “Vie Crucis”, da recitare in piedi su una sedia (ed a memoria) nelle sere di lunedì, martedì e mercoledì. La preparazione, severa ed accurata, si teneva presso la dimora patrizia delle signorine de Ponte, sul paese alto; poi in occasione delle brevi (si fa per dire) processioni ognuno di noi, a turno, recitava le riflessioni che aveva mandato giù a memoria; la statura bassa e la grande folla partecipante avevano indotto l’uso della sedia, un po’ podio ed un po’ palcoscenico ambulanti, e per questo motivo, infatti, ad un adulto veniva affidato l’incarico di recare con se la sedia per l’intera durata.
Poi le funzioni, giovedì, venerdì e sabato santo, precedute dalle cosiddette “prove” imposteci dal compianto Don Pasqualino in mattinata: il parroco non disdegnava di passare alle maniere spicce quando qualcuno di noi chierichetti si dimostrava eccessivamente disinteressato, discolo o distratto. Ancor prima, ad ognuno di noi era stata affidata la “cotta” che, a cura delle mamme veniva previamente lavata ed accuratamente stirata. La sera del giovedì era tutto un andirivieni di famiglie al completo che visitavano, nelle tre chiese i “sepolcri”, addobbati con il caratteristico grano filiforme, fatto germogliare ed allevato nell’oscurità (vedi foto).
La sera del venerdì santo la solenne processione del Cristo Morto insieme all’Addolorata; si trattava di un cammino lungo e faticoso e, siccome si teneva di notte, i partecipanti venivano muniti di fiaccole; dovete sapere, miei cari quattro lettori, che si trattava di fiaccole vere e proprie, capaci di una luce molto intensa, e non delle attuali candele. Qualcuno di noi, dopo la processione, portava con sé la fiaccola non ancora del tutto consumata, perché nel giorno di lunedì in albis, aveva intenzione di farsi luce, mentre esplorava le “rutti” (le grotte di Seiano) circondate, allora come oggi, da un alone di leggenda.
Tutto terminava, infine, con la Pasqua la Pasquetta; quest’ultima giornata era (ed è) dedicata alle uscite in campagna ed in montagna: le “rutti”, appunto e, per i più avventurosi ed atletici, la Madonna a Fradejanne e San Salvatore, passando per le “Fosse della neve” (va sottolineato che allora la panoramica non esisteva neppure come tracciato). Passando accanto ai luoghi dove bivaccavano le comitive si poteva apprezzare l’odore e, a volte, il sapore di quello che avevano portato con sé: avanzi del ricco pranzo pasquale, salumi fatti in casa, frittatoni di asparagi che, solo a vederli, inducevano una abbondante salivazione. E se poi, come di frequente, pioveva, si provava a riparare in qualche masseria abbandonata; “galeotta” quella interruzione della pasquetta per motivi meteorologici! Era frequente infatti il caso di coppie che approfittavano della cosa per appartarsi tra mura crollate e solai semipericolanti, mettendo a repentaglio la propria e la altrui incolumità.

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