…Ci risiamo! Al culmine dell’estate, torna la Festa del Santo Patrono Rocco: luminarie, musica, andirivieni di gente. Ad un osservatore distratto, dopo tanti anni , potrebbe anche sembrare che nulla cambia e che nulla sia cambiato. Il mio cinquantennio, abbondante di ricordi, mi dice che non è così.
Non è sicuramente il San Rocco degli anni ’60 e 70, con gli emigrati che facevano ritorno in paese per passare le vacanze estive in famiglia, e i loro macchinoni dalla targa bianca facevano da contraltare alle utilitarie locali, esigue per numero e per dimensioni; in occasione della festa le famiglie si ricomponevano, i figli ritrovavano i genitori, i fratelli i fratelli .
Non è il San Rocco della mia adolescenza, tempo di innamoramenti, di amori, di cocenti delusioni, quando tra la folla oceanica della sera del concertino, inseguivo con lo sguardo un volto che mi aveva colpito; una Pietramelara nuova era in costruzione, anche fisicamente. Una certa euforia pervadeva chiunque, ricco o povero, giovane o vecchio: la voglia di fare, di creare si avvertiva “ a pelle” e tutto, o quasi, appariva possibile.
Vedi, osservatore distratto: la differenza è proprio questa: a San Rocco, oggi, non è più la stessa la gente di Pietramelara. Sembra definitivamente tramontata quell’epoca povera ma felice in cui qualcuno addirittura attendeva la festa per un pranzo più abbondante; la mia gente era contenta di uscire, di riempire le strade del centro del paese, accalcate, vocianti, a volte addirittura rumorose. Era davvero difficile incontrare persone preoccupate, non serene; le incombenze quotidiane, anche le più gravose, cedevano il passo alla festa e venivano rimandate a dopo.
Le auto degli abitanti dei paesi vicini venivano parcheggiate già nei pressi del campo sportivo, per assistere all’evento clou, con il cantante di grido, la vedette del momento. Un dantesco contrappasso: le auto di allora, mezzi destinati a portare gente d’altri posti in paese, le auto di oggi, costosi veicoli condotti da imberbi ragazzotti, che non pensano ad altro che ad uscire, a lasciare il paese, anche nel giorno in cui nessuno dovrebbe mancare.
I giovani, si sa, sono sempre alla ricerca di qualcosa, perlopiù ignoto anche a loro.
E' un'analisi profonda e convincente di una triste realtàLa " cosiddetta civiltà" ci ha riservato qnche questo.Bravo Complimenti
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