Venerdì sera ho partecipato ad un evento interessante: la “Sfantasiart”, un appuntamento presso il ristorante “La Fortezza Normanna” di Vairano Patenora, in cui veniva riproposto il connubio, sempre più frequente, fra arte ed enogastronomia. Ricco e variegato il menu, interessanti le opere esposte e le poesie declamate, ed un “parterre” di elezione, con giornalisti enogastronomici, titolati chef, gourmet locali e non, e tanta gente normale…come me.
Il successo riservato all’evento era testimoniato in modo più che evidente dal numero di persone che vi hanno partecipato (la sala era piena), ma soprattutto dal clima disteso ed amichevole che si è subito stabilito, anche tra commensali che prima non si erano mai conosciuti.
Due le sensazioni che ho letto nel mio animo: prima di tutto il piacere di parteciparvi, di stare insieme a tanta gente e - perché no -di gustare autentiche prelibatezze generate da ingredienti di semplicità assoluta.
Poi un dubbio, una perplessità, una domanda: ma questi dotti che con tanta competenza disquisiscono di aromi, polifenoli, sensazioni al palato, lo immaginano che dietro l’olio, che stanno centellinando da un bicchierino da degustazione, c’è l’ansia, il sacrificio, la fatica di uomini che si svegliano nel pieno della notte per guardare il cielo, per osservare se cala la nebbia, se il temporale che si avvicina, in agosto e settembre, porterà la grandine? Lo sanno che il prelibato pecorino che hanno nel piatto, nasce da pecore che, oggi come duemila anni fa, debbono pascolare con la canicola estiva e con il gelo delle mattine invernali, custodite da taciturni pastori?
L’enogastronomia ed il turismo enogastronomico nascono dalla terra e dalla nostra antica civiltà contadina, ed essi sono, per la verità, un modo moderno ed intelligente di promuovere e sviluppare territori un tempo definiti “marginali”, con una sentenza frettolosamente “passata in giudicato”, ma… il giornalista enogastronomico di grido le mani di terra, se l’è mai sporcate?
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