E’ una vecchia storia
quella che descrive i rapporti tra Riardo e Pietramelara, fatta di rivalità
ataviche, di campanilismo, di ironia, ma anche di stime reciproche, matrimoni
misti, di amicizie che durano una vita. Sono certo, con la consapevolezza
derivante da sei decenni di vita, e posso affermare che elementi buoni e
cattivi, positivi e negativi sussistano in ambedue i paesi: in definitiva credo
che si tratti di due “popoli fratelli”, con i pregi e i difetti tipici dei
borghi rurali. Ma, come erano nel passato regolati questi rapporti?
Ero impegnato tempo fa
in una ricerca via web relativa a documenti custoditi presso l’Archivio di
Stato di Caserta, e per pura casualità ho avuto contezza di una vicenda inizi
ottocento, riguardante la separazione amministrativa tra i due comuni
confinanti. Si tratta di un carteggio risalente all’epoca della monarchia
murattiana, che va dal 1812 al 1813.
Ritengo che
l’annessione di Riardo a Pietramelara sarà stata cosa di qualche anno, non di
più; sono portato a pensarlo perché da varie fonti emerge che l’Università di
Riardo (questo il nome che assumevano i comuni nel medioevo e rinascimento) è
sempre esistita; e va detto che emerge con chiarezza che, anche nel periodo
dell’annessione, la comunità riardese ha sempre goduto di ampia autonomia. Una
parentesi, quella dell’annessione, dovuta a qualcuno dei frequenti cambi di
dinastia nel regno di Napoli: è costume diffuso che chi subentra al potere, al
posto di qualcun altro, desidera, sempre e comunque, lasciar segni di
cambiamento e di razionalizzazione (vera o presunta) della macchina
amministrativa. Dovette essere così, forse proprio nel periodo murattiano, che
a qualcuno venne lo schiribizzo di riunire sotto la stessa amministrazione le
due comunità che, comunque, continuarono a camminare ognuna per la propria
strada. Va detto che Gioacchino Murat, per la propria formazione militare,
tenne sempre presente il rigore finanziario ed amministrativo, cosa che lo
indusse a sopprimere quelle autonomie amministrative ritenute “minori”.
Dal carteggio, in una supplica indirizzata al Sotto
Intendente di Gaeta (funzionario sotto la cui giurisdizione ricadeva il
territorio), trasmessa con nota dell’eletto di Riardo Gaetano Zona, datata 12
settembre 1812, “i sottoscritti Cittadini del Comune di Riardo supplicando
espongono alla vostra Giustizia, qualmente è pervenuto a loro notizia che dalla
Comune di Pietramelara siasi ottenuto che essa di Riardo resti a quella definitivamente
unita. Non senza raccapriccio si è intesa e si intende tal novità per tutta la
popolazione, la quale quando sperava di essere esonerata da tale schiavitù,
dietro gli reclami fatti per una simile pretenzione, si è visto invece punito
il giusto ricorso” nella supplica a firma dei sigg. Rocco Di Nuccio, Pietro
Zeppetella Tommaso Caiazza ed altri, si lamenta che anche avendo le due comunità
ruolo fondiario e bilanci separati, nel decurionato di Pietramelara (attuale
consiglio comunale) un solo posto era stato riservato a Riardo. Con nota data
in Capua il 12 gennaio 1813 l’Intendente di Terra di Lavoro (il capoluogo fu
spostato in Caserta solo nel 1818) comunica al Sotto Intendente di Gaeta che
“Il sig. Ministro dell’Interno si è compiaciuto di approvare che il Comune di
Riardo rimanendo disunito da Pietramelara, formi un amministrazione sola ed
indipendente” ed inoltre dispone che si formi il buggetto (bilancio di
previsione) del comune distaccato, e che si nomini sindaco il sig. Tommaso
Caiazza, primo eletto Rocco Di Nuccio, secondo eletto Pasquale Spaziano e
Gennaro Santagata cancelliere (forse una sorta di segretario comunale di
allora). E’ curioso che tali nomine abbiano interessato proprio i
primi firmatari della supplica.
Come fu sentita la cosa
a Pietramelara? ... dallo stile delle note presenti nel carteggio noto una
certa freddezza, i toni sono estremamente pacati nell’accettazione di quanto
disposto dal potere centrale, tant’è che Vincenzo Papa, sindaco di
Pietramelara, con nota del 24 gennaio 1813 comunica al Sotto Intendente di
Gaeta che “Non prima di questo giorno ho potuto recarmi in Riardo per
l’esecuzione della vostra n. 231,
giacché il sig. Tommaso Caiazza , eletto di colà, si era da me spedito in Capoa…”,
la nota continua poi con l’elencazione degli adempimenti amministrativi
relativi al distacco dei due comuni.
Sono certo che, neanche
allora, nel periodo in cui vigeva l’annessione, nessun pietramelarese abbia ritenuto
Riardo un “popolo vassallo”. Una separazione “consensuale”, quindi priva di
risentimenti da ambedue le parti, forse proprio perché calata dall’alto senza
alcuna sollecitazione locale.