Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

sabato 25 luglio 2020

LA SPERANZA PER UN GIORNO FAUSTO

Stamattina si è verificato un evento di portata storica: è entrata in funzione ed aperta al pubblico la cosiddetta “isola ecologica”, sita in contrada “dodici”, infrastruttura di somma importanza realizzata ormai da oltre un decennio, ma mai entrata in funzione. Conscio come sono che le cose è meglio farle tardi che mai, plaudo oggi agli amministratori attuali e a quelli del passato che si sono interessati al problema che, ricordiamolo, ha portato con se anche un contenzioso con i proprietari dei fondi confinanti. E così per anni l’opera è rimasta li, svilita, fungendo solo da rimessa per gli automezzi destinati alla raccolta dei rifiuti.
Per rendersi conto dell’importanza della cosa, basta fare un giro nelle nostre campagne: ad un paesaggio rurale di rara bellezza, si contrappone un spregio dei beni comuni degno di ogni deprecazione, residui di picnic, del tipo piatti sporchi e bottiglie in vetro, ma soprattutto materassi e ingombranti di ogni tipo. La sensazione di rammarico alla vista di simili brutture è come un colpo allo stomaco, sferrato all’improvviso.
Il problema delineato non si esaurisce nella responsabilità delle istituzioni coinvolte, esso è generato soprattutto dal malcostume e la scarsa sensibilità per le problematiche ambientali delle popolazioni residenti e dei turisti. Cambiare la mentalità di interi strati della popolazione a volte si rivela utopistico e frustrante, tuttavia ritengo che una campagna di sensibilizzazione progettata e portata avanti in tal senso non guasterebbe affatto.
Voglio sperare che oggi sia un giorno fausto, che l’entrata in funzione di quest’opera stimoli in modo positivo chi non si fa scrupolo di abbandonare rifiuti di ogni genere nei fossi e dietro le siepi. Da testimone/utente, posso attestare che il servizio è cortese e puntuale, nonché gratuito (la cosa non guasta). Per il momento l’isola è aperta nella sola mattinata di sabato, ma si spera in un ampliamento temporale che possa incrementare la fruizione di tale importante servizio.

giovedì 23 luglio 2020

ABBASC' A STAZIONE

La stazione ferroviaria Riardo-Pietramelara fu inaugurata il 14 ottobre 1861, in occasione della apertura della tratta fra Capua e Tora-Presenzano. La vita dei cittadini dei due comuni che le danno nome è legata ad essa in modo indissolubile, per quel pendolarismo che accompagna l’intera esistenza e che dipende da quella posizione geografica un po’ defilata, ove i servizi sono pochi e a volte di cattiva qualità. Il treno ha risolto molti problemi, anche se la distanza dal centro di Pietramelara è di circa 5 chilometri, e da quello di Riardo circa due; del pendolarismo dicevo, in gioventù per la frequenza di una scuola, in maturità per recarsi sul posto di lavoro, in vecchiaia per raggiungere luoghi di cura o altro. Il mezzo ferroviario rimane sempre e comunque il più comodo ed economico, quello che dà più sicurezza e puntualità, e inoltre è il meno inquinante.
La nostra stazione si trova sulla ferrovia Roma-Cassino-Napoli, il più antico dei tre collegamenti ferroviari esistenti tra Roma e Napoli. La costruzione iniziò quando ancora il territorio interessato era suddiviso tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie, con l'apertura del tratto tra Napoli e Caserta, nel 1843, quasi contemporaneamente i lavori iniziarono anche da Roma per la realizzazione di una “Strada ferrata da Roma al confine Napolitano presso Ceprano“, e si conclusero poco dopo l’unità nazionale. L'attivazione della Direttissima via Formia, negli anni trenta del Novecento, relegò la linea di Cassino tra quelle di interesse locale, tuttavia negli ultimi decenni del XX secolo, la saturazione della linea via Formia ripropose la necessità a lungo ignorata di un potenziamento tecnologico e strutturale. E così intorno agli anni settanta dello scorso secolo la nostra ferrovia assunse l’aspetto che osserviamo attualmente: a doppio binario, interamente elettrificata a corrente continua a 3 kV.
Più e più volte si è discusso di quanto sarebbe stato meglio se la stazione fosse stata localizzata in territorio di Pietramelara anziché in quello di Riardo, inoltre una diceria attribuisce alle famiglie nobili di Pietramelara la decisione di non aver voluto il passaggio della ferrovia, per non intaccare i propri latifondi; ritengo si tratti di un’argomentazione pretestuosa, per almeno due motivi: primo perché il percorso sarebbe diventato più lungo e tortuoso rispetto all’attuale, secondo perché attraversare nell’ottocento la piana dei “pantani”, acquitrinosa in più punti, avrebbe comportato uno sforzo ingegneristico immane, date le tecnologie disponibili allora.
Il sito attuale della stazione è localizzato dove fino a qualche secolo fa vi era il lago di Riardo, piccolo specchio d’acqua, prosciugato forse proprio per realizzare l’infrastruttura, in quanto la cartografia ufficiale lo riporta fino ai primi dell’ottocento; rispetto alla provinciale si deve scendere di una decina di metri per raggiungerla, infatti nel nostro dialetto ancora parecchi definiscono quel toponimo “ abbasc’ a stazione” (giù alla stazione). Le falde acquifere del lago, comunque fanno avvertire ancora la propria presenza, con affioramenti visibili nonostante la massicciata ferroviaria, specie nei periodi piovosi. Era presente ivi anche uno scalo merci, di cui si scorgono ancora le rovine, perché abbandonato; il vicino stabilimento Ferrarelle se ne avvaleva per logistica, anche se poi gran parte delle merci in entrata ed in uscita da tale stabilimento ha da sempre viaggiato su gomma.
Incrementare l’uso della stazione e del mezzo ferroviario connoterebbe un grande progresso sociale per il territorio e le comunità che vi dimorano se, ad esempio, fosse ripristinato il servizio di navetta, che fino agli anni sessanta ha permesso la fruizione dei treni, grazie alla puntualità e alla frequenza delle corse.


domenica 19 luglio 2020

IL BORGO DI SAN FELICE

L’aspetto è quello di un borgo fantasma, uno di quelli che hanno fatto da scenario a tanti film western, parlo del borgo medievale di San Felice, raggiungibile facilmente dalla superstrada Caianello-Telese, dal cui svincolo dista appena qualche chilometro.
E’ dotato di mura perimetrali munite di varie torrette difensive, a ridosso delle quali si scorgono le prime grandi abitazioni ormai in piena rovina, la piazzetta antistante l'antica chiesa parrocchiale mostra una grande quercia secolare. All’interno del borgo si scorge, anche venendo da lontano, un imponente castello/palazzo signorile. Dalla piazzetta poi si diramano parecchie vie interne, percorribili solo con scarpe adatte e con molta attenzione e delicatezza, poiché le rovine sono in vari punti abbastanza instabili; nelle case, o in quello che di esse rimane, fanno bella mostra forni e camini: in qualcuna si scorgono ancora scaffali a muro. Dal borgo, guardando verso il basso si può ammirare il panorama di una campagna estesa e verdeggiante, percorsa da stradine, rivi, siepi ed alberature, ed in cui si pratica un’agricoltura abbastanza redditizia.
L’abbandono cominciò nel secondo dopoguerra, e si completò agli inizi degli anni ’60, con la costruzione e l’urbanizzazione della nuova San Felice, ai piedi della collinetta. Quali ne furono i motivi? … sicuramente il principale fu la cronica mancanza di acqua che determinava problemi igienici e limitava ogni sviluppo demografico ed economico; si racconta al proposito che, passando di la, chiedere una bevuta d’acqua equivaleva alla richiesta di qualcosa di veramente prezioso. Attualmente San Felice è una frazione del comune di Pietravairano, ma le prime notizie documentate relative all'esistenza di un borgo fortificato sulla cima dell'omonima collina si hanno nel 1117. In un documento è scritto: "… intra fines castri Sancti Felicis…".
Nel 1269 metà del castello era di proprietà di Costanza di Sanfelice, mentre l'altra metà di Andrea de Roccaromana. Nel 1304 fu investito della baronia Filippo de Roccaromana. Nel 1404 Paride di Sanfelice, Cameriere e Familiare di Re Carlo III di Durazzo, da questi nominato Viceré e Capitano Generale di Terra di Lavoro e Contado di Molise, acquistò da Re Ladislao il castello di San Felice, antico dominio della sua famiglia. I Sanfelice detennero nuovamente il feudo fino al 1584 allorquando fu acquistato da Pietro Migliaccio, al quale successe il figlio Giovanvincenzo nel 1590 ed il di lui figlio Francesco.
I legami del popolo sanfeliciano con Pietramelara sono stati sempre solidi e stretti: tanti i matrimoni celebrati fra appartenenti alle due comunità; inoltre la parrocchia locale è stata retta ad hinterim per lungo tempo da sacerdoti officianti a Pietramelara. I legami si fecero così stretti che, verso la fine degli anni ‘50, mentre era già in corso il trasferimento in basso della comunità ivi dimorante, fu organizzata una sottoscrizione per richiedere che la frazione fosse staccata dal comune di Pietravairano, per essere annessa a Pietramelara. Com’è noto, poi non se ne fece nulla, perché anche allora la “politica politicante” fece sentire la propria voce e, complice anche qualche amministratore pietramelarese del tempo, la petizione fu respinta, si disse per impedire che il comune di Pietravairano, persa San Felice, si fosse troppo indebolito demograficamente e pertanto annesso alla vicina Vairano Patenora.
Storie di altri tempi che stanno a dimostrare che poi il mondo, anche dopo decenni e decenni, in fondo cambia poco.





lunedì 6 luglio 2020

OSSERVANDO IL PASSATO

L’Atlante Geografico del Regno di Napoli fu commissionato nel 1781 da Ferdinando IV di Napoli al geografo padovano Giovanni Antonio Rizzi Zannoni.
L'importanza di questo Atlante consiste nell'essere stato il primo tentativo di realizzare per le regioni meridionali una cartografia a grande scala, misurata geodeticamente e rilevata sul terreno, non più basata soltanto su elaborazione di mappe precedenti. Il Rizzi Zannoni, nato a Padova nel 1736 , a Napoli, dove giunse nel 1781, convinse le autorità del tempo sulla necessità di metter mano a una carta del tutto nuova, anziché aggiornare la vecchia carta.
Con tali premesse, ho acquistato recentemente una “ristampa anastatica” dell’atlante, e mi sono messo a curiosare il modo in cui è variato l’assetto del nostro territorio dal 1790 (epoca in cui fu rilevata il foglio 10 denominato Terra di lavoro: Caserta), all’epoca la nostra comunità, stando ai dati di un’altra importante opera coeva la “Corografia di Terra di Lavoro”, di Giuseppe Maria Galanti, contava 1614 abitanti, la vicina Roccaromana 1178 e Riardo 734. Come si può vedere dallo stralcio cartografico riportato, l’estensione del nostro perimetro urbano andava poco al di la della cinta muraria del borgo, e l’aspetto di esso era rotondeggiante; i tre grandi isolati posti a sud est potrebbero identificarsi con il convento agostiniano di Santa Maria della Carità, oggi Municipio, e il Palazzo Ducale, oltre di essi i coltivi presenti per centinaia di ettari dall’abitato alle falde del Monte Maggiore, ove si estendevano i vasti possedimenti dei Cavalieri di Malta; il convento Francescano di San Pasquale, all’epoca era intitolato a San Francesco; un vasto bosco planistico, della superficie di almeno due/trecento ettari era sito a ridosso della Rocca di San Felice, e denominato Mena del Boscarello. La viabilità riportata sulla carta descrive solo un unico asse viario che si diparte da Roccaromana, taglia l’abitato di Pietramelara e si dirige verso la Casilina attraversando Riardo. All’epoca, come si può agevolmente notare l’estensione dell’abitato di Roccaromana era più o meno la stessa di Pietramelara, sensibilmente inferiore l’estensione di Riardo, occupata in gran parte dall’imponente mole del castello. I toponimi sono stati conservati, nonostante il tempo trascorso: palatiello, guarana, boscarello, sono contrade rurali che ancora si chiamano così; l’attuale Acqua Sant’Angelo è riportata semplicemente come “Sant’Angelo” e la carta segnala ivi la presenza di un edificio di culto andato perduto. La fontana “del cerro” segnalata era attiva sino a qualche decennio or sono nei pressi della contrada “Spitalera”, adiacente alla citata Acqua Sant’Angelo, ma in tenimento di Roccaromana.
Il confronto con la realtà attuale ci consegna un territorio ancora integro nelle sue componenti più importanti. Il pericolo più incombente è rappresentato dal consumo di suolo che, a fronte di una popolazione cresciuta di 2 volte e mezza in 230 anni, presenta un’area urbana nel frattempo almeno decuplicata, con una massa di volumi disabitati che comincia a far sentire il suo peso nel borgo, nel centro storico e anche in periferia. I boschi pianistici sono ormai solo un labile ricordo legato alla lettura dell’Atlante.
Lo studio dell’evoluzione del territorio può offrire spunti di riflessione, soprattutto se le fonti sulle quali esso si basa sono scientifiche e palesemente documentabili.