Non c’è monumento dell’alto casertano che più di esso renda testimonianza di cultura, fede e progresso sociale anche in tempi oscuri come il medioevo: l’importanza dell’ Abbazia delle Ferrara, in agro del comune di Vairano Patenora, è purtroppo pari alla sua ridotta notorietà, i più ne ignorano infatti anche l’esistenza.
Edificata a partire dall’anno 1171, per opera di Giovanni de Ferraris, monaco di Fossanova, i lavori di costruzione terminarono nel 1179, e l’abbazia divenne in breve tempo una potente istituzione, con estesi possedimenti non solo nel territorio di Vairano. La platea dei beni dell’Abbazia redatta dal Notaio De Pernutis nel 1622, riporta beni in anche in Pietramelara e Riardo: il toponimo “Ferrarelle” (piccola ferrara) deriverebbe infatti proprio da beni posseduti in quel comune dall’Abbazia, e non, come comunemente si crede, dal fatto che le acque che vi sgorgano siano ricche di ferro.
L’importanza sul territorio di questa istituzione religiosa si fonda sul principio che “i frati, senza alcuna rinunzia al lavoro, assicurano così il necessario per loro stessi e l’assistenza, insieme con la protezione e l’addestramento a coloro, contadini,pastori e artigiani che gli si votano”. Un vero e proprio volano di progresso e sviluppo economico/sociale, con una diffusione capillare, grazie alle articolazioni territoriali con le “grange”, gestite dai conversi e le “curie” gestite dai mercedari. In altre parole i monaci attraverso lo studio e la sperimentazione facevano proprie le innovazioni e le trasferivano a chiunque veniva in contatto con loro; essi vedevano nel territorio integrazione spinta fra boschi, pascoli e campi coltivati, secondo una concezione ecologica ed agronomica rivoluzionaria per quei tempi, ed oggi quanto mai attuale.
Nella sua millenaria storia l’abbazia ha attraversato varie fasi; certamente, quella caratterizzata dalla gestione dell’abate Taddeo fu quella di maggiore splendore. Infatti, nelle prime tre decadi del XIII secolo l’abbazia poté contare sull'amicizia e sulla devozione all'ordine cistercense dell’imperatore Federico II, che soggiornò nel 1223 e nel 1229 nell'abbazia, incontrando l’amico abate Taddeo.
Posizionata su di un ramo del cammino della via Francigena del Sud, nell'anno 1223 ospitò dei cavalieri dell’ordine teutonico provenienti da Oriente.
Dopo la gestione dell’abate Taddeo iniziò una lungo processo di decadimento, sia morale che economico dell’abbazia, fino alla soppressione avvenuta nel 1807; in seguito l’abbazia venne utilizzata come una comune masseria, modificandone irreparabilmente l’originaria struttura.
Rispetto all’aspetto attuale, l’ingresso era rivolto a Sud, in direzione di Vairano. L’interno era costituito da una chiesa con più altari e campanile con tre campane, ormai completamente distrutti, un chiostro con al centro una grande cisterna, mentre al piano superiore vi erano le celle dei monaci.
Sopravvive, in pessime condizioni strutturali, la cappella della Scala Santa, dove è possibile ammirare un affresco, della fine del XIII sec., che rappresenta i funerali di Malgerio Sorello, “valletto e falconiere” di Federico II, che si ritirò a vivere nell’abbazia fino alla morte. Nell’affresco sono raffigurati la Beata Vergine Maria con il Bambino, S. Benedetto, con il mano il libro della Regola, e S. Bernardo di Chiaravalle, anch’egli con un libro sul quale è possibile leggere «Memento, Domine, animae famuli tui, fratris Malgerii Sorelli, militis» (ricordati Signore dell’anima del tuo servo, fra Malgerio Sorello, soldato). Secondo lo storico avv. Domenico Caiazza nell'affresco è rappresentato anche Pietro del Morrone, passato alla storia come Celestino V, papa del “gran rifiuto” citato nell’Inferno dantesco.
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