Cosa porterò con me di questo 2017? Cose belle e brutte, come sempre d’altronde! Quali delle due categorie ha prevalso? Le belle, le brutte? Di certo, con gli anni che avanzano, c’è poco da stare allegri; la salute ha cominciato a farmi qualche brutto scherzo, episodi che hanno condizionato anche il mio stile di vita: a volte la preoccupazione di non poter essere quello di sempre, iperattivo, teso alla risoluzione dei problemi, non mi rende tranquillo. Devo purtroppo annotare che in primavera è mancata l’ennesima persona cara, uno degli ultimi punti di riferimento della famiglia … e che con essa se n’è andata anche la funzione di collante che esercitava nei confronti di noi tutti.
Devo dire che però le soddisfazioni non sono mancate, anch’esse nell’ambito familiare, come per un contrappasso; una figlia brillantemente laureata e l’altra avviata alla conclusione con buon ritmo e buona lena. Il lavoro procede, giorni più luminosi, altri più bui, come sempre, da circa trent’anni. La mia creatura nel web “scribacchiando per me” continua a darmi grandi riscontri: accessi che aumentano di giorno in giorno, di mese in mese, da località della terra anche remotissime nello spazio, alcune delle quali addirittura ignote per me.
Un bilancio, quello del 2017 volutamente sintetico, non sono sicuramente tra coloro che annotano ogni quisquilia, ma comunque rimango abbastanza ottimista. Cercherò di andare avanti spedito con l’aiuto degli affetti più immediati, con il conforto degli amici vecchi e di quelli che ho avuto al fortuna di conoscere nel cammino che sto seguendo. Il 2018, che già bussa alla porta, sarà solo la 59sima tappa di tale cammino, di cui non intendo assolutamente variare la direzione.
Scribacchiando per me
sabato 30 dicembre 2017
domenica 17 dicembre 2017
Le chiesette del Borgo
Il nostro borgo, pensato e progettato come unità autonoma fortificata, doveva per forza di cose disporre anche di alcuni servizi, tra cui la presenza di luoghi di culto. Si già scribacchiato su questo blog della carenza di spazio, che ha indotto in modo diretto anche una certa scarsità nelle dimensioni della chiesette nel tempo realizzatevi. Eh si… doveva essere così perché se, come attestano le fonti, già nel tardo medioevo la popolazione pietramelarese ammontava a più di 1.500 anime, concentrata quasi solo all’ interno della cinta muraria, l’esigenza di riunirsi per una messa domenicale , per un funerale o per una qualsiasi funzione liturgica era in qualche modo ostacolata dalla scarsa superficie e recettività delle chiesette site nel borgo . Piccole le case, piccole le chiese, quindi per lo stesso motivo.
Ma quali erano e dove si trovavano queste chiesette? Cosa se ne conserva ancora?
Va detto prima di tutto che sono state da tempo sconsacrate, hanno perso, quindi, ogni funzione religiosa.
La cappella che ci è pervenuta nel migliore stato di conservazione è quella di San Nicola (cfr. foto di copertina), sita nel luogo detto “muro scassato”. Restituita alla pubblica fruizione qualche anno fa, ha pianta quadrata e conserva pregevoli elementi architettonici, tra i quali un altare in stucco in stile tardo barocco e la volta a crociera. L’ingresso principale, di fronte a detto altare, è stato da tempo murato e a ridosso vi è stato costruito un forno, il cui uso ha annerito di nerofumo le pareti e la volta. In chiave di volta si notano tracce di un affresco che potrebbe rivenire alla luce una volta rimosso il nerofumo.
Di dimensioni maggiori, anche se di pregio artistico sensibilmente minore, è la “cappella delle monache”, sita ‘ncoppa a corte, nel piano terreno dell’ex asilo San Rocco. La pianta e rettangolare , l’entrata sul lato lungo, attualmente è adibita a deposito. In alto a destra, rispetto all’entrata si notano le tracce di una piccola cantoria, dalla quale le monache potevano assistere alle celebrazioni senza passare dalla piazzetta; conserva un altare di fattura piuttosto grezza e una nicchia a ridosso di esso, con decorazioni floreali di buon gusto. L’archetto sito sulla facciata dell’asilo reggeva una piccola campana, oggi rimossa.
Un’altra cappellina doveva trovarsi più in basso, nei pressi della Madonna della Libera, a immediato ridosso del palazzo Adipietro. Pare che crollò in seguito a eventi bellici, non rimangono di essa che due barbacani, ultimo residuo dei muri perimetrali, e il supporto per una campanella. Attualmente lo spazio viene utilizzato in occasione di eventi sul borgo, come punto musica e/o attività espositive.
Nei palazzi delle famiglie nobili siti sul borgo si segnalano le cappelline private, a volte veri e propri preziosi altarini “a scomparsa”, di pregevolissima fattura, contenenti anche reliquiari ed altri elementi.
Ma quali erano e dove si trovavano queste chiesette? Cosa se ne conserva ancora?
Va detto prima di tutto che sono state da tempo sconsacrate, hanno perso, quindi, ogni funzione religiosa.
La cappella che ci è pervenuta nel migliore stato di conservazione è quella di San Nicola (cfr. foto di copertina), sita nel luogo detto “muro scassato”. Restituita alla pubblica fruizione qualche anno fa, ha pianta quadrata e conserva pregevoli elementi architettonici, tra i quali un altare in stucco in stile tardo barocco e la volta a crociera. L’ingresso principale, di fronte a detto altare, è stato da tempo murato e a ridosso vi è stato costruito un forno, il cui uso ha annerito di nerofumo le pareti e la volta. In chiave di volta si notano tracce di un affresco che potrebbe rivenire alla luce una volta rimosso il nerofumo.
Di dimensioni maggiori, anche se di pregio artistico sensibilmente minore, è la “cappella delle monache”, sita ‘ncoppa a corte, nel piano terreno dell’ex asilo San Rocco. La pianta e rettangolare , l’entrata sul lato lungo, attualmente è adibita a deposito. In alto a destra, rispetto all’entrata si notano le tracce di una piccola cantoria, dalla quale le monache potevano assistere alle celebrazioni senza passare dalla piazzetta; conserva un altare di fattura piuttosto grezza e una nicchia a ridosso di esso, con decorazioni floreali di buon gusto. L’archetto sito sulla facciata dell’asilo reggeva una piccola campana, oggi rimossa.
Un’altra cappellina doveva trovarsi più in basso, nei pressi della Madonna della Libera, a immediato ridosso del palazzo Adipietro. Pare che crollò in seguito a eventi bellici, non rimangono di essa che due barbacani, ultimo residuo dei muri perimetrali, e il supporto per una campanella. Attualmente lo spazio viene utilizzato in occasione di eventi sul borgo, come punto musica e/o attività espositive.
Nei palazzi delle famiglie nobili siti sul borgo si segnalano le cappelline private, a volte veri e propri preziosi altarini “a scomparsa”, di pregevolissima fattura, contenenti anche reliquiari ed altri elementi.
mercoledì 13 dicembre 2017
PROTAGONISTA DI UN TERRITORIO
Nato un cinquantennio fa da una “costola” dell’omologo matesino, il Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci”, ha rappresentato e rappresenta un’istituzione culturale di elevato spessore per l’intero territorio dell’Alto Casertano. Chi scrive fa parte del nutrito gruppo di ex allievi iscrittosi nei primi anni 70: l’autonomia scolastica era stata appena conquistata, e pertanto ci si era affrancati da quella sudditanza (anche solo psicologica) con Piedimonte Matese. L’appartamento nel condominio di Via Napoli non bastava più, e allora ci fu il trasferimento nello stabile di un albergo dismesso, sulla stessa via, a ridosso di una stazione di servizio, infine dopo circa un ventennio la sede attuale, definitiva, ariosa e congrua alle funzioni didattiche.
Dicevo dell’importanza assunta da questa scuola nell’intero Alto Casertano: gli allievi pervenivano un po’ dappertutto, anche se alcuni comuni come Pietramelara e Sparanise, più popolosi, facevano la parte del leone; ma erano altresì degnamente rappresentati la stessa Vairano, Marzano Appio, Calvi Risorta, Pietravairano ed altri.
Reputo fondamentale il contributo del nostro liceo alla formazione di una classe dirigente locale, impostasi nel tempo grazie ad una solida preparazione umana e culturale, che ha reso agevole il successivo percorso universitario. Medici, ingegneri, avvocati, brillanti funzionari e dirigenti nelle pubbliche amministrazioni sono stati il prodotto di una mentalità, di un metodo di studio collaudato che non ha tardato ad imporsi in tutta la sua positività. Anche coloro che hanno mantenuto magari un profilo più basso, impiegati e casalinghe, hanno conservato in se il tratto distintivo derivante da quella formazione sana e disciplinata, in grado di coniugare ad un tempo una civiltà rurale già allora al tramonto, con le sfide di una modernità che faceva sentire le sue spinte in modo sempre più impellente.
Scegliere il Da Vinci non è mai stato un ripiego, al contrario, si è trattato sempre di una scelta consapevole, in direzione di quel collaudato metodo e nel contesto di un territorio che ha voluto crescere culturalmente e socialmente, astraendosi da quelle negatività che purtroppo negli ultimi anni hanno caratterizzato la nostra provincia, mediaticamente passata da “terra di lavoro” a “terra dei fuochi” (…e può bastare!). E’ vero, il nostro liceo è stato tacciato anche di provincialismo, ma quanto è servito anche il provincialismo a tener lontane le negatività tipiche di parallele realtà cittadine e metropolitane? Lascio a voi il giudizio.
Protagonisti di questa scuola sono stati i presidi e i docenti che, storicamente, ne hanno retto le sorti, insieme alla grande schiera di studenti che con motivazione, impegno e spirito di sacrificio hanno condiviso il percorso.
Si celebrerà il prossimo sabato il cinquantenario della nostra scuola, sarà sicuramente una festa bellissima, percorsa forse da una sottile vena di nostalgia: si rincontreranno persone che non si vedevano da decenni, si abbracceranno sorridendo delle mille disavventure grandi e piccole vissute tra le mura scolastiche, ricorderanno i loro professori, specialmente i tanti che non sono più in vita. A loro la gratitudine per la generosità, la motivazione, la professionalità che mettevano nelle lezioni, ma anche per qualche rimprovero particolarmente forte e severo, in grado di correggere sul nascere eventuali deviazioni.
Francesco, blogger ed ex allievo
Dicevo dell’importanza assunta da questa scuola nell’intero Alto Casertano: gli allievi pervenivano un po’ dappertutto, anche se alcuni comuni come Pietramelara e Sparanise, più popolosi, facevano la parte del leone; ma erano altresì degnamente rappresentati la stessa Vairano, Marzano Appio, Calvi Risorta, Pietravairano ed altri.
Reputo fondamentale il contributo del nostro liceo alla formazione di una classe dirigente locale, impostasi nel tempo grazie ad una solida preparazione umana e culturale, che ha reso agevole il successivo percorso universitario. Medici, ingegneri, avvocati, brillanti funzionari e dirigenti nelle pubbliche amministrazioni sono stati il prodotto di una mentalità, di un metodo di studio collaudato che non ha tardato ad imporsi in tutta la sua positività. Anche coloro che hanno mantenuto magari un profilo più basso, impiegati e casalinghe, hanno conservato in se il tratto distintivo derivante da quella formazione sana e disciplinata, in grado di coniugare ad un tempo una civiltà rurale già allora al tramonto, con le sfide di una modernità che faceva sentire le sue spinte in modo sempre più impellente.
Scegliere il Da Vinci non è mai stato un ripiego, al contrario, si è trattato sempre di una scelta consapevole, in direzione di quel collaudato metodo e nel contesto di un territorio che ha voluto crescere culturalmente e socialmente, astraendosi da quelle negatività che purtroppo negli ultimi anni hanno caratterizzato la nostra provincia, mediaticamente passata da “terra di lavoro” a “terra dei fuochi” (…e può bastare!). E’ vero, il nostro liceo è stato tacciato anche di provincialismo, ma quanto è servito anche il provincialismo a tener lontane le negatività tipiche di parallele realtà cittadine e metropolitane? Lascio a voi il giudizio.
Protagonisti di questa scuola sono stati i presidi e i docenti che, storicamente, ne hanno retto le sorti, insieme alla grande schiera di studenti che con motivazione, impegno e spirito di sacrificio hanno condiviso il percorso.
Si celebrerà il prossimo sabato il cinquantenario della nostra scuola, sarà sicuramente una festa bellissima, percorsa forse da una sottile vena di nostalgia: si rincontreranno persone che non si vedevano da decenni, si abbracceranno sorridendo delle mille disavventure grandi e piccole vissute tra le mura scolastiche, ricorderanno i loro professori, specialmente i tanti che non sono più in vita. A loro la gratitudine per la generosità, la motivazione, la professionalità che mettevano nelle lezioni, ma anche per qualche rimprovero particolarmente forte e severo, in grado di correggere sul nascere eventuali deviazioni.
Francesco, blogger ed ex allievo
mercoledì 6 dicembre 2017
FORMICHE O CICALE? (breve riflessione)
C’è un modo di dire, un espressione ancora abbastanza in uso da noi : “Sparagnammu e cumparimmu” che, tradotto vuol dire “risparmiamo e (al tempo stesso) facciamo bella figura”. La cosa ha da sempre spinto il mio interesse, perché in essa sono racchiusi due capisaldi fondamentali del vivere contadino di un tempo, la civiltà rurale che, per certi versi, ancora ci permea: la parsimonia e il decoro personale nelle azioni, nel lavoro, nella casa. Due paroline ed una congiunzione in grado di esprimere tutta una filosofia, un modo di vivere la realtà, volto si al risparmio, al mettere da parte nell’abbondanza, aspettando tempi più grami, ma anche ad apparire, rifuggire dalla miseria, soprattutto quella morale.
“La cicala e la formica” è una favola famosissima, scritta da Esopo e arrivata a noi grazie a Jean de La Fontaine, in cui l’operosa e diligente, ma dura, formica rifiuta in inverno di aiutare la cicala che ha passato l’estate a cantare (vedi immagine di copertina). Risparmiare ed accumulare permette di affrontare le difficoltà con maggiore serenità, ma a volte rende duri ed egoisti.
Sparagnammu e cumparimmu supera, in qualche modo, anche le due categorie stabilite dalla favola. Si, perché, se è vero com’è vero, che il comportamento che ha portato a coniare il detto di cui si discute è tipico della nostra gente, anche l’atavica abitudine e propensione al risparmio non giustifica l’accostamento netto con la categoria delle formiche. Cumparimmu indica infatti anche un’apertura verso gli altri, uno spirito solidaristico presente nella civiltà rurale tanto quanto il risparmio.
“La cicala e la formica” è una favola famosissima, scritta da Esopo e arrivata a noi grazie a Jean de La Fontaine, in cui l’operosa e diligente, ma dura, formica rifiuta in inverno di aiutare la cicala che ha passato l’estate a cantare (vedi immagine di copertina). Risparmiare ed accumulare permette di affrontare le difficoltà con maggiore serenità, ma a volte rende duri ed egoisti.
Sparagnammu e cumparimmu supera, in qualche modo, anche le due categorie stabilite dalla favola. Si, perché, se è vero com’è vero, che il comportamento che ha portato a coniare il detto di cui si discute è tipico della nostra gente, anche l’atavica abitudine e propensione al risparmio non giustifica l’accostamento netto con la categoria delle formiche. Cumparimmu indica infatti anche un’apertura verso gli altri, uno spirito solidaristico presente nella civiltà rurale tanto quanto il risparmio.
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