E’ una delle cose della mia infanzia che ricordo con più fastidio: d’estate il dover andare a dormire dopo pranzo. Una vera tortura, ma alla fine le mie rimostranze furono ascoltate e arrivò la sospirata “dispensa”: mi fu permesso di trascorrere il pomeriggio senza “siesta”. Ma i problemi, purtroppo, non erano finiti: rimaneva quello di impiegare quell’ora, ora e mezza. Le condizioni non erano delle migliori: i pomeriggi di luglio e agosto dalle nostre parti sono torridi e, anche volendo uscire non si incontrava per strada che qualche cane randagio in cerca di ombra.
Sento ancora risuonare la domanda ricorrente e stupita di mia madre: “…ma dove vai, cu ‘sta calandrella?” … ma, di cosa si trattava? … è ancora fortemente presente nella memoria, è il fenomeno ottico che nel nostro dialetto chiamiamo ancora “calandrella”; ho fatto ricerche sul web, ma sono risultate infruttuose, e sono giunto alla conclusione che non esista un nome scientifico attribuibile ad esso. La cosa funziona più o meno così: sopra una qualsiasi fonte di calore, come l’asfalto o il suolo roventi, l' aria si scalda e comincia a salire verso l'alto, rimpiazzata da quella fredda che entra dal basso, e questo moto convettivo reso invisibile dal fatto che l'aria é trasparente diventa visibile quando si guarda un'immagine attraverso lo strato caldo.
I raggi luminosi vengono distorti seguendo la diversa densità dello strato e l'immagine risulta tremolante.
Ed erano proprio queste figure tremule ad eccitare di più la mia fantasia: auto che, mentre percorrevano la strada, sembravano quasi dissolversi, intere pareti di palazzi compromesse nella loro stabilità, quasi interessate da un terremoto, figure umane danzanti senza musica. Nell’ingenuità di un bambino cercavo di rincorrerle ed avvicinarmi di più a loro, ma esse alla stregua di un miraggio, si allontanavano sempre di più fino a sparire.
In uno dei “voli pindarici” della mia mente ‘a calandrella, oggi, dopo anni, mi appare come uno dei fattori che maggiormente hanno compromesso lo sviluppo economico del Mezzogiorno d’Italia: per forza! …nelle ore più calde del pomeriggio da noi si determina quasi un’impossibilità materiale di lavorare.
Stanco di vagare in bicicletta rincasavo, e mi attendeva qualche lettura o un disco da ascoltare, la TV cominciava le trasmissioni solo nel tardo pomeriggio ed allora non rimaneva altro che aspettare che il pomeriggio terminasse, l’aria divenisse un po’ più fresca e, con il risveglio della famiglia, riprendessero le consuete attività.
Si vede che non sei mai stato a Bologna nei mesi di Luglio e Agosto. Sapessi che calandrella!
RispondiEliminaQuesto è un bellissimo ricordo caro Francesco, che seppur qualche decade dopo, ho vissuto anch'io quasi in modo identico. Solo che la parola calandrella non ricordo di averla mai sentita. Similmente mia madre, o mio padre, mi dicevano "mó addó vai ci 'stu càuru?".
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