Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

venerdì 20 dicembre 2024

UNA TASSA SULLA SALUTE DI 170 ANNI FA

 

Gli archivi del nostro comune, a causa di trasferimenti dell’Ente da una sede all’altra (negli anni settanta e ottanta dello scorso secolo), si sono pressoché dissolti ed annientati, la mancanza di sensibilità da parte di chi di dovere ha fatto il resto. Qualche documento, a un appassionato di queste cose come me, è giunto per puro caso, tramite qualche amico venutone in possesso in circostanze altrettanto fortuite.
Vi voglio parlare oggi di un interessante reperto: la lista di carico della “tassa protomedicale” esatta per l’anno 1851 nel nostro comune, che ci può offrire un’immagine del sistema sanitario del tempo.
Leggo dal web che sin dal secolo XVI il Protomedicato generale vigilava sull' "esercizio dell'arte salutare" nel Regno di Napoli, la cui funzione principale era vigilare sugli "esercenti le arti sanitarie" e in particolare sui farmacisti. Con rescritto del 22 settembre 1822 furono nominati in ogni distretto un vice protomedico e uno speziale verificatore perché visitassero le farmacie dei rispettivi comuni. A questi ufficiali spettava verificare la legalità degli esercenti, ispezionare drogherie e spezierie e vigilare sulla percezione della tassa protomedicale, destinata per due terzi alla Casa Santa degli incurabili, per un terzo ai vice protomedici, agli aiutanti e ai farmacisti visitatori a titolo di rimborso spese. Il Protomedicato operante nei domini continentali fu riordinato con r.d. del 24 aprile 1850 e con l'annesso regolamento, della cui esecuzione furono incaricati il Ministro degli affari ecclesiastici e della pubblica istruzione e quello delle finanze. E proprio a tale norma fa riferimento l’intestazione della lista di carico in questione. L’importo totale di cui alla lista ammonta a 14 ducati e 10 grana (pari a un centesimo di ducato). Le commissioni comunali infine, costituite dal giudice di circondario, dal sindaco e dal parroco, vigilavano sulla salute pubblica, accertavano i titoli degli esercenti.
La lista di carico, di cui sopra, consta di ben tre farmacisti, due levatrici e sette “salassatori”. Non è dato sapere se, 173 anni or sono, esistevano sul nostro territorio tre farmacie, o se, molto più probabilmente, i dottori Gaetano Porfirio, Giovanni Belmonte e Beniamino Belmastro, abitavano in Pietramelara e/o esercitavano l’attività professionale anche nei dintorni.
Le levatrici, alla stregua delle moderne ostetriche, assistevano le donne nella delicata fase del parto; il fatto che Maria e Michelina Zarone portassero lo stesso cognome ci fa pensare a una “arte di famiglia”, tramandata da una generazione alla successiva.
Chi era infine il salassatore? La "professione" di Salassatore (o flebotomo) corrispondeva a quella di chi praticava i salassi. In genere era sempre il barbiere che interveniva anche nelle estrazioni dentarie. Nel Meridione, specie nei paesi piccoli dove il medico condotto era costretto a girare di villaggio in villaggio, era sempre il barbiere che interveniva nel primo soccorso in attesa che arrivasse il "Dottor Fisico". Ci si arrangiava come meglio si poteva, come si vede e i signori Giovanbattista Regna, Raffaele Casillo, Tommaso Panella, Antonio Abrucci, Pasquale Centore, Luca Nusco e Francesco Di Somma, barcamenandosi, grazie più all’esperienza che a una vera e propria formazione teorica, riuscivano a sbarcare il lunario.
 

lunedì 16 dicembre 2024

IL PAPPAGALLO EVASO, IPOTESI E RISCHI

 

La simpatica vicenda del pappagallo avvistato e fotografato nei pressi del Monumento a San Rocco, in località Casino, mi pone di fronte a un dilemma: si tratta di un fuggitivo, stanco di accettare la reclusione su un trespolo e in un’angusta gabbia, oppure l’ennesima conferma di avifauna aliena nel nostro territorio? (cfr. foto di copertina, da FB)
Nel caso si trattasse di un fuggitivo, la memoria mi riporta alla sparizione   del pappagallo “Garibaldi”, nel film “Così parlò Bellavista”; nella vicenda apparteneva al portiere del palazzo del professore/filosofo Gennaro Bellavista, e un giorno, forse per amore, forse per desiderio di libertà volò via, generando un’affannosa ricerca a cui parteciparono gli inquilini e gli allievi del professore; uno di loro, il poeta estemporaneo Luigino, pronunciò versi divenuti poi famosi: “… ‘a libertà, ‘a libertà, pure o’ pappavallo l’adda pruvà”. La fama e la diffusione del film, divenuto nel tempo un cult, hanno fatto il resto.
La seconda ipotesi, è molto meno simpatica e suggestiva! Si, perché da tempo si sente parlare di pappagalli e pappagallini, specie di origine sub tropicale che, grazie al mutamento climatico che stiamo vivendo, hanno trovato in Italia, nelle alberature urbane e nelle zone rurali, un habitat più che accettabile. Tali uccelli sono divenuti in molte zone, ad esempio nei pressi di Firenze o nelle zone rurali della Puglia, pericolosi e dannosi. A lanciare l’allarme è Coldiretti Firenze che segnala come questi sgargianti pappagalli stiano provocando perdite di raccolti sempre più pesanti. L’associazione di categoria parla di vera e propria “calamità” destinata a creare problemi anche nelle città e mette in guardia da possibili pericoli anche per la salute dei cittadini, potendo questi uccelli trasmettere malattie come la salmonellosi e l’influenza aviaria.
“L’invasione dei parrocchetti rischia di scappare di mano così come è scappata di mano quella dei cinghiali, dei cani inselvatichiti, dei colombacci, dei piccioni e di altre specie” avverte il presidente di Coldiretti di Firenze. Anche nell’ampio parco che circonda il mio ufficio è ormai normale la loro presenza. Sembra, inoltre che gli stessi possano trasmettere agli uomini malattie come la psittacosi (malattia infettiva), l’influenza aviaria o la salmonellosi. Infine la loro capacità competitiva potrebbe determinare conseguenze devastanti anche per le ripercussioni sull’avifauna autoctona (passeri, merli, pettirossi e usignoli) e portare alla sua estinzione a causa della pericolosa e impari competizione innescata.
L’allarme sociale è giunto al punto che l’Unione Europea dal 2007  vieta l’importazione di alcuni pappagalli.

martedì 3 dicembre 2024

PIETRAMELARA: DA BORGO MARINARO A “CITTA’ DEI MORTI”

 

Divertente… non trovate, la storia di Pietramelara/Borgo Marinaro. Che volete, sono più portato ad assolvere che condannare; sono cose che succedono e non c’è niente di male o di illegittimo nell’usufruire di quella funzione tanto comune nei moderni PC, chiamata “copia e incolla”. Succede quando la fretta detta i tempi, e non c’è modo di riguardare il tutto prima di renderlo ufficiale. L’opposizione consiliare d’altronde fa il proprio mestiere, ed è naturale e doveroso, da parte loro, puntare e colpire ad ogni passo falso ed inciampo della controparte.
Assolvo, dicevo, in questo caso l’Amministrazione; tuttavia condanno la stessa per un motivo, a mio parere, ben più importante: lo scempio di quello che è stato per secoli il “giardino dei monaci” a San Pasquale. La storia di questo appezzamento di terreno, esteso circa tremila metri (un moggio scarso), originariamente coltivato a vigna ed orto dagli stessi frati, si perde nella notte dei tempi: adiacente alla Masseria San Pasquale, era di proprietà dei Duchi Caracciolo, che lo davano in comodato gratuito ai frati per ritrarne sostentamento e vino, destinato alla Messa e alla mensa conventuale; nel giardino si conservava fra l’altro l’ultimo pezzo di quella che era stata la “vigna dei duchi”, definitivamente estirpata negli anni trenta del XX secolo.  La memoria popolare parla di vicende alterne, il “giardino dei monaci” veniva concesso e tolto ai monaci a fasi alterne, e questo per secoli, secondo la volubile volontà dei signori di quel tempo. Negli anni settanta del secolo XX, la svolta: i Paternò, eredi dei Caracciolo, vendettero la masseria e l’annesso orto dei monaci; la nuova proprietà, memore di tali “alterne vicende”, pensò bene e finalmente di donare alla Famiglia Francescana l’appezzamento di cui si parla; vennero poi gli anni dell’abbandono del Convento da parte dei frati e le vicende che tutti conoscono. Ad opera dell’instancabile Don Roberto e alcuni suoi collaboratori, fu fondato un oratorio che aveva sede nel piano terreno del Convento e utilizzava quello che era stato il “giardino dei monaci” come spazio per attività ludiche e sportive.
Alla fine di quest’ultima esperienza, dopo qualche anno, vi è stato l’acquisto da parte dei Comune di Pietramelara dell’intero bene, in testa alla Provincia Francescana, con stipula di un atto di compravendita. L’idea alla base dell’acquisto allargare ulteriormente il cimitero, dopo decenni di allargamenti consecutivi; lo scopo, è lampante, quello di “fare cassa”, per un Ente in perenne difficoltà ed affanno, con i proventi derivanti dalla vendita dei loculi e delle zonette per le cappelle; d’altronde le numerose fosse vuote nel cimitero stanno a dimostrare che l’esigenza di allargare il cimitero si riduce ad una sorta di “artificio contabile”. Tutto qua? ... vi chiederete voi; beh, il ragionamento è più articolato: provate ad immedesimarvi nei panni di un viaggiatore che in auto, in bici o a piedi percorre la provinciale che da Riardo conduce verso Pietramelara. Il primo impatto visivo, a lavori conclusi, che avrà di fronte affrontando la curva sarà un cimitero! Bella storia questa: Pietramelara da Borgo Marinaro, nelle intenzioni dei nostri beneamati amministratori a “città dei morti”. Il nostro paese che dite di amare tanto, a mio modesto parere, non merita un così funereo biglietto da visita, cari amici dell’Amministrazione!