E’ questo un giorno
importante per Napoli e per noi campani: il 15 febbraio 1898 nasceva a Napoli
Antonio de Curtis, in arte Totò. Tanti lo ricordano come attore, in realtà fu
un artista poliedrico: in quasi cinquant'anni di carriera spaziò dal teatro
(con oltre 50 titoli) al cinema (con 97 pellicole) e alla televisione (con 9
telefilm e vari sketch pubblicitari), lavorando con molti tra i più noti
protagonisti del panorama italiano e raggiungendo, con numerosi suoi film, i
record d'incasso. La sua carriera, per quanto coronata da un successo di
pubblico amplissimo, non ebbe grande fortuna con la critica: spesso fu stroncato
dalla maggior parte dei critici cinematografici e, ironia della sorte, fu
ampiamente rivalutato dopo la morte, tanto da risultare ancor oggi il comico
italiano più popolare di sempre.
Il padre Giuseppe de Curtis, non lo riconobbe per mantenere segreta la relazione clandestina con la madre Anna Clemente, trascorse l’infanzia nel popolare quartiere della Sanità. Dopo il riconoscimento del padre e la regolarizzazione della famiglia, insieme alla madre Anna si trasferirono a Roma, città nella quale avvennero i primi esordi non particolarmente entusiasmanti. Dopo un periodo piuttosto grigio sia in senso emotivo che professionale, incontrò Giuseppe Jovinelli, un impresario teatrale nativo di Caiazzo, che aveva la fama di uomo duro, con il quale dopo una serie di successi teatrali firmò il suo primo contratto. Fu scritturato nel ’27 da Achille Scala, nella cui compagnia conobbe Mario Castellani, destinato a diventare in seguito una delle sue "spalle" più fedeli ed apprezzate. Negli anni trenta giunse al successo diffuso, apprese allora l'arte dei guitti, ossia quegli attori che recitavano senza un copione ben impostato, arte alla quale Totò aggiunse caratteristiche tutte sue, pronto a sbeffeggiare i potenti quanto a esaltare i bisogni e gli istinti umani primari: la fame, la sessualità, la salute mentale; il tutto espresso con distinti doppi sensi senza mai trascendere nella volgarità. A plasmare questa sua forma d'espressione fu il fatto di aver vissuto per anni in povertà, difatti lui stesso era del pensiero che «la miseria è il copione della vera comicità...» che «non si può essere un vero attore comico senza aver fatto la guerra con la vita», tesi che si riscontrano in pieno nel personaggio di Felice Sosciammocca, di “Miseria e nobiltà”.
Nella stagione 1949/1950 ottenne l'ultimo successo a teatro con la rivista "Bada che ti mangio", dopodiché Totò si allontanò dal palcoscenico per dedicarsi esclusivamente al cinema. Dopo "I pompieri di Viggiù", lavorò anche con Eduardo De Filippo nel suo film "Napoli milionaria", che accettò di interpretare senza compenso, in segno dell'affettuosa amicizia che lo legava ad Eduardo. Gli anni cinquanta e sessanta furono quelli del largo successo e della popolarità nazionale, a tale periodo va riferita la trilogia scarpettiana: "Un turco napoletano" (ritenuto scabroso per il tema dell'eunuco), "Miseria e nobiltà" e "Il medico dei pazzi". Una lunga malattia caratterizzò la sua ultima fase artistica. Morì nella sua casa di Roma il 15 aprile 1967 all'età di 69 anni, stroncato da un infarto.
Cos’abbia rappresentato il personaggio di Totò, artista e uomo, per Napoli e la Campania, riguarda una molteplicità di aspetti: l’ironia nel linguaggio e nella prontezza della risposta identificano, l’uomo con la sua città natale; la filantropia che lo riavvicinò a quelle fasce della popolazione da cui aveva tratto origine, e per tutta la sua vita compì molteplici gesti d'altruismo, che includevano sostegno e offerte di viveri ai più bisognosi (vedi foto di copertina); la poesia dei versi composti tra cui spicca il forte richiamo all’uguaglianza contenuto nell’indimenticabile A’ Livella, e tant’altro ancora.
Il padre Giuseppe de Curtis, non lo riconobbe per mantenere segreta la relazione clandestina con la madre Anna Clemente, trascorse l’infanzia nel popolare quartiere della Sanità. Dopo il riconoscimento del padre e la regolarizzazione della famiglia, insieme alla madre Anna si trasferirono a Roma, città nella quale avvennero i primi esordi non particolarmente entusiasmanti. Dopo un periodo piuttosto grigio sia in senso emotivo che professionale, incontrò Giuseppe Jovinelli, un impresario teatrale nativo di Caiazzo, che aveva la fama di uomo duro, con il quale dopo una serie di successi teatrali firmò il suo primo contratto. Fu scritturato nel ’27 da Achille Scala, nella cui compagnia conobbe Mario Castellani, destinato a diventare in seguito una delle sue "spalle" più fedeli ed apprezzate. Negli anni trenta giunse al successo diffuso, apprese allora l'arte dei guitti, ossia quegli attori che recitavano senza un copione ben impostato, arte alla quale Totò aggiunse caratteristiche tutte sue, pronto a sbeffeggiare i potenti quanto a esaltare i bisogni e gli istinti umani primari: la fame, la sessualità, la salute mentale; il tutto espresso con distinti doppi sensi senza mai trascendere nella volgarità. A plasmare questa sua forma d'espressione fu il fatto di aver vissuto per anni in povertà, difatti lui stesso era del pensiero che «la miseria è il copione della vera comicità...» che «non si può essere un vero attore comico senza aver fatto la guerra con la vita», tesi che si riscontrano in pieno nel personaggio di Felice Sosciammocca, di “Miseria e nobiltà”.
Nella stagione 1949/1950 ottenne l'ultimo successo a teatro con la rivista "Bada che ti mangio", dopodiché Totò si allontanò dal palcoscenico per dedicarsi esclusivamente al cinema. Dopo "I pompieri di Viggiù", lavorò anche con Eduardo De Filippo nel suo film "Napoli milionaria", che accettò di interpretare senza compenso, in segno dell'affettuosa amicizia che lo legava ad Eduardo. Gli anni cinquanta e sessanta furono quelli del largo successo e della popolarità nazionale, a tale periodo va riferita la trilogia scarpettiana: "Un turco napoletano" (ritenuto scabroso per il tema dell'eunuco), "Miseria e nobiltà" e "Il medico dei pazzi". Una lunga malattia caratterizzò la sua ultima fase artistica. Morì nella sua casa di Roma il 15 aprile 1967 all'età di 69 anni, stroncato da un infarto.
Cos’abbia rappresentato il personaggio di Totò, artista e uomo, per Napoli e la Campania, riguarda una molteplicità di aspetti: l’ironia nel linguaggio e nella prontezza della risposta identificano, l’uomo con la sua città natale; la filantropia che lo riavvicinò a quelle fasce della popolazione da cui aveva tratto origine, e per tutta la sua vita compì molteplici gesti d'altruismo, che includevano sostegno e offerte di viveri ai più bisognosi (vedi foto di copertina); la poesia dei versi composti tra cui spicca il forte richiamo all’uguaglianza contenuto nell’indimenticabile A’ Livella, e tant’altro ancora.
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