E’ proprio vero che la
storia si ripete: Giambattista Vico, grande pensatore del Settecento e nostro conterraneo,
non potrebbe avere per questa sua teoria filosofica più conferme, nell’epoca
attuale. E’ successo anche, ad esempio, che a 45 anni dalla sua pubblicazione, abbia
fatto ritorno uno dei più grandi capolavori della discografia rock italiana: LA
TORRE DI BABELE, album iconico della carriera di Edoardo Bennato. Correva l’ormai
lontano 1976, ed il cantautore di Bagnoli pubblicò quel disco cult, destinato
ad un successo che ha delineato i tratti artistici somatici del grande rocker
italiano. La “Torre di Babele” rappresenta la metafora biblica, ripresa in
musica e versi da Bennato, di un’umanità sempre alla ricerca del progresso
economico, scientifico e tecnologico ma che, alla fine, non riesce neanche più
ad utilizzare un linguaggio comune.
Erano anni quelli caratterizzati da forti inquietudini sociali, la contestazione sessantottina non si era ancora spenta, e si era alle porte di quelli che sarebbero stati definiti gli “anni di piombo”. La copertina dell’ellepì (così chiamavamo i dischi che contenevano più brani, a 33 giri), disegnata dallo stesso Edoardo, ex studente di architettura, rappresentava la progressione dell’uomo nella sua ricerca e costruzione delle armi in tutta la sua fase evolutiva: “costi quel che costi”, gli uomini dovevano costruire una torre che arrivi fino al cielo per sfidare l’entità divina e dimostrare la superiorità dell’uomo “su ogni altro animale” (cfr. foto di copertina).
Erano anni quelli caratterizzati da forti inquietudini sociali, la contestazione sessantottina non si era ancora spenta, e si era alle porte di quelli che sarebbero stati definiti gli “anni di piombo”. La copertina dell’ellepì (così chiamavamo i dischi che contenevano più brani, a 33 giri), disegnata dallo stesso Edoardo, ex studente di architettura, rappresentava la progressione dell’uomo nella sua ricerca e costruzione delle armi in tutta la sua fase evolutiva: “costi quel che costi”, gli uomini dovevano costruire una torre che arrivi fino al cielo per sfidare l’entità divina e dimostrare la superiorità dell’uomo “su ogni altro animale” (cfr. foto di copertina).
Cosa faceva e pensava
Pietramelara in quel periodo? Nonostante il clima generale abbastanza fosco, a
livello nazionale, come già sopra delineato, il nostro paesello defilato e
dedito a pensare cose più concrete, manteneva la sua serenità interna. La
Democrazia Cristiana, dopo decenni di egemonia, aveva ceduto la guida del
Comune a una sinistra che vedeva in Gianni Sorbo un leader credibile, oggetto
di stima e considerazione, anche al di fuori del suo elettorato. Il vostro
blogger scribacchiante, fra tempeste ormonali e alti/bassi frequentava il
quarto anno di liceo, in una Vairano Scalo non ancora trafficata, caotica e
commerciale come quella odierna. Il juke box in piazza risuonava spesso e
volentieri i pezzi tratti da “La torre di Babele”: come dimenticare brani densi
di significato come “Venderò”, “Franz è il mio nome”, “Cantautore” (dedicato da
Edoardo con autoironia a se stesso)? Il
successo del disco fu forte, a tal punto che solo l’anno dopo, nel ’77 usci “Burattino
senza fili”, altro capolavoro che avrebbe consolidato Edoardo Bennato fra i
maggior interpreti del Rock italiano.
Si sostava fra i tavoli in piazza, divertiti
ad osservare le persone più anziane a storcere il muso ascoltando quei pezzi
graffianti; noialtri, giovani di allora, eravamo ben disposti ad investire,
invece, quelle cinquanta/cento lire per riascoltare quegli stessi brani, che
qualche influenza sul nostro ego in via di formazione dovettero pur avere.
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