Scribacchiando per me

Scribacchiando per me
il blog di un pietramelarese

domenica 26 settembre 2021

IL ROMANZO DI PIETRAMELARA

 

Illustri clinici, un giornalista di grido, un parterre interessato, le autorità: questa la cornice dell’evento celebratosi ieri sera nel Chiostro di Sant’Agostino. Il chiostro, un tempo nucleo del Monastero Agostiniano di Santa Maria della Carità, sembrava la location ideale per presentare il libro dato alle stampe dal Prof. Gaspare Bassi, dal titolo “Il romanzo di Pietramelara- venti secoli di guerre ed eroi”, tratto da appunti del proprio nonno ed omonimo Don Gaspare Bassi, deceduto nel 1949. Riprendo le espressioni dell’autore, relative all’opera data alle stampe essa è: “espressione del grande amore che il nonno aveva verso i suoi concittadini, dei quali nel libro, con orgoglio, sottolinea sempre le doti di bontà, di religiosità, e di rispetto delle tradizioni”. E’ questo, a parere di chi scrive, un approccio di grande forza per chi vuole descrivere un luogo e una comunità che vi dimora e che vi ha dimorato nei secoli; approccio che, tra l’altro, condivido in pieno nelle cose che scribacchio. Venti secoli di storia locale sintetizzati in un quaderno di appunti, per lungo tempo disperso e poi, quasi per caso, ritrovato dal Bassi junior, il quale guidato dall’amore per il nonno e per i luoghi natii, ha pensato di darlo alle stampe per farne dono a Pietramelara e ad ogni suo amico e collega interessato alla cosa.
La storia parte dalle guerre sannitiche e dalle stragi e distruzioni che ne seguirono, e di dipana lungo le guerre puniche, con la campagna di Annibale nell’Italia meridionale, quindi il tramonto dell’Impero Romano e le lotte tra Carlo Magno e i saraceni con il contributo di Nicolò Monforte, la presenza dei Cavalieri di Malta in Pietramelara, durata fino al XIX secolo, la distruzione e il sacco avvenuta nel 1496, il tramonto politico dei Monforte e l’avvento di Faustina Colonna, con il dominio asburgico di Carlo V, l’Inquisizione e il correlato sorgere delle Congregazioni e confraternite religiose. La lunga descrizione si interrompe agli inizi del Settecento… non se ne conosce il motivo ma, non vi è dubbio che la volontà del Bassi era quella di giungere fino ai suoi giorni, al risorgimento e l’unità nazionale; forse dovette esserci un motivo di forza maggiore ad impedire il completamento dell’opera.
Dalla sommaria scorsa che ho potuto dare all’opera, di cui sono venuto in possesso ieri pomeriggio, emerge un fatto incontrovertibile: Don Gaspare Bassi, vissuto tra l’ottocento ed il novecento in Pietramelara è un intellettuale che si è   documentato come ha potuto dalle fonti archivistiche disponibili, date le caratteristiche del periodo; certo, se avesse posseduto un PC connesso al web, avrebbe documentato in modo ancor più rigoroso il suo lodevole lavoro. Comunque l’autore di “Frammenti” (questo è il nome originariamente dato alla ricerca) è il prodotto di un humus culturale diffuso in Pietramelara anche in periodi più bui dell’attuale. Basti pensare che nel settecento, come già riportato in precedenti pezzi su questo blog scribacchiato “operavano in paese 4 notai, servendo un’area geografica probabilmente molto più vasta, alcuni “dottori fisici”, così si chiamavano i medici allora, avvocati e innumerevoli sacerdoti, canonici e chierici” (cfr. ERRICO LEONE E IL PUNTO DI PARTENZA, 25 MAGGIO 2019 http://scribacchiandoperme.blogspot.com/2019/05/errico-leone-e-il-punto-di-partenza.html). In tale clima dovette maturare la coscienza civica e storiografica di Don Gaspare, o come lo chiamavano tutti in paese “Ron Gasparrinu”. Al nipote fedele, ed ancorato alla tradizione familiare, Professor Gaspare Bassi il plauso di tutta Pietramelara, per aver ribadito, dando alle stampe l’opera, ancora una volta il ruolo di tale comunità nell’Alto Casertano.

venerdì 17 settembre 2021

L'ARCO DI SANTA MARIA

 

Nonostante manchi da circa 77 anni, ancora sopravvive chi lo ricorda bene, anche se… certo, costui avrà più di ottantacinque anni! Parlo dell’Arco di Santa Maria (vedi foto di copertina), principale ingresso del centro storico di Pietramelara fino al 23 ottobre 1943, giorno in cui fu minato dalle truppe tedesche per ostacolare in qualche modo l’avanzata alleata che, dopo aver attraversato il Volturno nel caiatino, era risalita per le alture di Liberi ed aveva ormai raggiunto Roccaromana. Aver minato l’arco, a ben pensarci, fu un’operazione bellica del tutto priva di senso tattico e strategico, data la potenza della macchina bellica alleata, ma dettata forse solo dalla volontà di imprimere un’ulteriore sfregio alla nostra cittadina, già provata in ogni modo dalla guerra.

La storia di questo monumento, la cui denominazione è dovuta alla vicinanza con il Monastero di Santa Maria della Carità, oggi sede municipale, si fonde ed interseca con quella del Regno di Napoli nel Rinascimento, e quella di un suo protagonista assoluto, Carlo V d'Asburgo (Gand, 24 febbraio 1500 – Cuacos de Yuste, 21 settembre 1558). Il giovane sovrano, a soli sedici anni, ereditò dal nonno anche il trono d'Aragona, concentrando nelle sue mani tutta la Spagna, compreso il Regno di Napoli, che le apparteneva. Sbarcato a Messina, Carlo V risalì il meridione e il 25 novembre 1535 entrò in Napoli dalla Porta Capuana, prendendone possesso.
Era trascorso meno di un quarantennio dal quel tragico 13 marzo 1496, giorno in cui Pietramelara fu messa a “foco ed a sacco”, per il tradimento dei Monforte nei confronti degli aragonesi, motivo per il quale qualche sopravvissuto alla cruenta strage doveva essere ancora presente. Deve essere stata iniziata in quegli anni la costruzione della porta, e la presenza sulla chiave dell’arco dell’aquila asburgica di Carlo V stava a suggellare almeno due cose: che la città era stata riabilitata presso la corte dopo l’infamante bando a cui era stata sottoposta, e che in essa non erano presenti eresie. Carlo, infatti, fu il più acceso nemico dello scisma luterano, fino ad essere definito Difensor Ecclesiae da papa Leone X. Lo stemma quasi nella sua interezza fu recuperato dopo il crollo e sito nell’androne del nostro comune. Mancano le due teste coronate dell’aquila e parte dell’ala destra; lo scudo contenuto nello stemma porta i simboli di ogni possedimento di Carlo, che si vantava del fatto che sul suo Impero “non tramontava mai il sole”.
La costruzione dell’arco è da mettere in relazione con un’altra presenza storica importante a Pietramelara, quella dei Cavalieri di Malta, che cessò solo dopo l’unità nazionale, con l’alienazione dei beni che furono messi all’asta ed acquistati dal Barone Giovanni Sanniti. Nel 1524, infatti, Carlo aveva offerto ai Cavalieri Ospitalieri l'isola di Malta, e non è un caso che gli antichi e vasti possessi dei cavalieri in Pietramelara iniziavano proprio dall’arco fino ad estendersi alle falde del Monte Maggiore. Un legame fisico ed ideale che rafforzava il rapporto fra il potere imperiale e l’importante opera sociale dell’Ordine, che in paese aveva realizzato uno “xenodochio” (albergo per stranieri e viandanti), posto lungo la via Francigena del Sud, che congiungeva Roma a Gerusalemme.
Per la storia recente, negli anni 80, in occasione di una Sagra al Borgo, fu realizzato un simulacro scenografico dell’arco, a dimensioni reali, da parte del compianto Nunzio Marco Della Torre, un segno fugace del legame di Pietramelara con la sua porta più importante.
 



martedì 14 settembre 2021

IN UNA TESI L’AMORE PER UN TERRITORIO

 
Chi non si è mai lamentato dei giovani del nostro paese e del loro poco amore per i luoghi e per i valori connessi con esso? È vero … le giovani generazioni a volte dedicano scarso interesse per cose definite “superate”, ma le eccezioni esistono, per fortuna.
Il caso che vi voglio raccontare è quello di un giovane, che con il tempo e con l’impegno ha saputo costruirsi una preparazione e una professionalità. Si tratta di Franco Mainolfi, neo-dottore forestale (cfr. foto di copertina), il quale per il suo lavoro di tesi magistrale ha scelto un tema strettamente connesso al territorio di Pietramelara e dintorni: ANALISI DEGLI HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO DELLA Z.S.C. “CATENA DI MONTE MAGGIORE. Per la cronaca la laurea magistrale è stata conferita nello scorso agosto dall’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE, Dipartimento Agricoltura, Ambiente e Alimenti. Veramente interessante il lavoro svolto, per l’approccio scientifico, per i risultati di studio conseguiti e per i possibili sviluppi divulgativi per gli interessati. Ma va sicuramente anche lodato il grande attaccamento per un territorio e l’amore per la terra che ci ha generato.
Rete Natura 2000 attualmente è composta da Zone di Protezione Speciale (ZPS), Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone Speciali di Conservazione (ZSC); essa è un insieme di aree destinate alla tutela di habitat e di specie (animali e vegetali) ritenuti meritevoli di protezione a livello europeo. Il tutto per garantire la vitalità a lungo termine di alcuni habitat e di alcune specie di rilievo europeo.
Obiettivo del lavoro di tesi è stato il monitoraggio degli habitat di interesse comunitario, tramite rilevamenti della vegetazione, in un sito della rete Natura 2000 della Campania: la Zona Speciale di Conservazione “Catena di Monte Maggiore”, contrassegnata dal codice identificativo comunitario IT8010006, che racchiude la parte montana dei comuni di Roccaromana, Pietramelara, Riardo, Rocchetta e Croce, Formicola e Liberi. I rilievi di campo anno abbracciato un periodo di un anno esatto, da luglio 2020 a giugno 2021. Va detto che altro merito della tesi è stato quello di colmare una lacuna, cioè di aver studiato un habitat non presente nel formulario standard della Zona Speciale di Conservazione “Catena di Monte Maggiore”; l’habitat studiato per la prima volta in zona è stato quello contrassegnato con il codice 9340: Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia (leccete), e che non si tratti di cosa di poco conto lo dimostra anche la sola grande diffusione delle leccete nel nostro Monte Maggiore. Nella tesi sono stati capillarmente descritti gli habitat di interesse comunitario presenti, in altre parole le note singolari che fanno dei nostri boschi ambienti unici e particolarmente pregiati: le faggete, i castagneti e le citate leccete.
Confortante il punto di arrivo del lavoro, citando testualmente il Mainolfi: “Lo stato di conservazione degli habitat è giudicato complessivamente molto buono in quanto non è stata rilevata alcuna presenza importante di specie bioindicatrici di fattori di disturbo antropici”. In altre parole il nostro territorio montano non ha subito impatti da parte delle azioni umane, che possano aver compromesso le sue molteplici funzioni: economico/produttiva, di riequilibrio ambientale, di fruizione turistica, ecc.
Il Monte Maggiore è uno dei gioielli di cui la Campania dispone, le comunità dei paesi e villaggi che gli fanno da corona hanno, sinora, saputo mantenere una sorta di sacro rispetto nei suoi confronti. L’auspicio, anche per dare un senso sociale al lavoro di Franco, è che le future scelte politiche relative al territorio sappiano muoversi in tale direttrice.