Si tratta di uno dei luoghi maggiormente connessi alla pietramelaresità, forse anche perché nelle immediate adiacenze riposano i nostri cari; d’altronde tale legame si rafforza nel periodo natalizio, nella sera della vigilia vi si celebra infatti ancora il rito (precristiano) del “fuoco di Natale”. Parlo del Convento di San Pasquale: per iniziare ritengo doverosa una sintetica digressione storica.
L’ordine francescano fu portato in Campania verso il 1215 da frate Agostino d'Assisi, discepolo di san Francesco. Nel 1670 la Provincia francescana di Terra di Lavoro era divisa in Osservante e Riformata, e fra queste, si inserì anche la Custodia di San Pietro d'Alcantara. Gli Alcantarini diffusero anche la devozione a San Pasquale; forse è questo il motivo per cui con il tempo l’originaria intitolazione del convento a “San Francesco” (riportata fino all’ottocento in documenti ufficiali) fu sostituita fu sostituita con quella a “San Pasquale”.
Nella prima metà dell’ 800 i Frati Alcantarini erano diffusi in più conventi del napoletano e del casertano, ed erano riusciti a scampare alle leggi punitive borboniche e alla soppressione napoleonica, fortuna che non toccò agli agostiniani di S.Maria della Carità, che lasciarono il convento, oggi municipio, nel 1808, in epoca murattiana. Con l’unità d’Italia tuttavia il convento di San Pasquale fu inglobato nel patrimonio del nostro comune. I monaci vi sono comunque rimasti fino ai primi anni ’90 del secolo scorso, quando l’ultimo guardiano, Padre Angelico, perì in seguito ad un incidente stradale. Molte tradizioni legate ad esso sono ormai tramontate: si conserva ancora il pellegrinaggio dei devoti provenienti da S. Elia Fiume Rapido, in occasione della festa si San Pasquale, e il “formaggio dei monaci” preceduto da una benedizione degli animali lattiferi.
L’edificio conventuale annesso all’omonima chiesa sorge intorno ad un significativo chiostro di forma rettangolare, unica la forma a ferro di cavallo degli archetti del chiostro. E’ stato edificato su alcuni speroni calcarei di cui si notano all’interno affioramenti, che si ritrovano nell’attiguo cimitero. I piani sono due: da quello superiore si può accedere alla zona del coro. La chiesa, originariamente doveva essere a navata unica con copertura a capriata visibile, sostituita da una volta a botte, probabilmente nel seicento, furono anche aggiunte allora le cappelle laterali per motivi di consolidamento statico. In testa all’altare una tela cinquecentesca raffigurante San Francesco a colloquio con il Cristo.
Dato lo stretto legame con il popolo, il convento ha vissuto e prosperato della solidarietà e dell’elemosina. Ma anche l’interesse dei cosiddetti signori nei suoi confronti era notevole: a titolo di esempio riporto il decreto borbonico 3975 del 31/04/1857, con il quale si autorizza il vescovo di Teano a esigere i canoni di un “predio rustico” (fondo agricolo) donato da don Biagio Rinaldi al convento, con atto del notaio Del Mastro in Pietramelara, obbligando i frati a utilizzare tali risorse secondo le regole dettate dal donante.
Molti monaci illustri e con fama di santità hanno dimorato nel convento: cito Padre Sempliciano della Natività, al secolo Aniello Francesco Saverio Maresca, che dal 1853 al 1855, è stato di comunità nel convento di San Francesco a Pietramelara, con grande fama di predicatore, dovette allontanarsene per motivi di salute.
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