Il proclama del Capo del Governo Badoglio, firmato il 6 settembre ma reso noto solo due giorni dopo a causa di tentennamenti vari, comunica agli italiani che: «Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza. »
La fuga dalla Capitale dei vertici militari, del Capo del Governo Pietro Badoglio, del Re Vittorio Emanuele III e di suo figlio Umberto dapprima verso Pescara, poi verso Brindisi, e la confusione, provocata soprattutto dall'utilizzo di una forma che non faceva comprendere il reale senso delle clausole armistiziali e che fu dai più invece erroneamente interpretata come indicazione della fine della guerra, generarono ulteriore confusione presso tutte le forze armate italiane in tutti i vari fronti sui quali ancora combattevano: lasciate senza precisi ordini, si sbandarono. 815 000 soldati italiani vennero catturati dall'esercito germanico, e destinati a diversi Lager con la qualifica di I.M.I. (internati militari italiani) nelle settimane immediatamente successive.
In uno scritto di Don Roberto Mitrano, testimone oculare, seppur giovane, di quello che avveniva qui da noi: “I tedeschi presero possesso di Pietramelara il successivo 12 settembre” da tale giorno al 23 ottobre in cui le truppe alleate fecero ingresso in paese, ben quaranta lunghi giorni, continua Don Roberto “la cronaca parla di circa 40 vittime, più una trentina di case incendiate e quasi tutte le atre colpite dalle cannonate. Oltre venti abitazioni minate. Sulle macerie e i disastri i sopravvissuti versarono lacrime di dolore per le vittime innocenti, per i cari scomparsi a causa di una guerra insulsa, come tutte le guerre del resto, e si rimboccarono le maniche per la ricostruzione”.
Evidentemente furono quaranta giorni drammatici: quasi l’intera comunità fu costretta a rifugiarsi nei boschi del Monte Maggiore, in cui si sentiva al sicuro, soprattutto dai rastrellamenti che iniziarono quasi immediatamente e che portarono alla deportazione in Germania di un numero consistente di uomini destinati a lavorare nelle fabbriche in condizioni disumane (alcuni di loro non hanno fatto più ritorno). E’ evidente che i lutti, il dolore per le perdite morali e materiali ebbero un effetto di scuotimento su ognuno, perché , come apprendiamo sempre dallo stesso scritto, quello che seguì “Fu un periodo miracoloso. Governi illuminati, uomini politici di gran talento e saggezza, amministratori locali onesti, volenterosi e preparati, sacerdoti del tempo coraggiosi, insieme ad un popolo desideroso di risorgere, senza grandi mezzi, ma con la volontà decisa di riuscire , si misero a lavorare con serietà e responsabilità e in pochi anni ottennero risultati sorprendenti (…) Noi giovani eravamo accanto agli anziani e partecipammo alle lotte politiche con entusiasmo consapevole convinto”
E’ questo lo spirito forte di noialtri, sapientemente descritto dal grande sacerdote, per decenni coscienza critica collettiva del paese. La Fenice che risorge dalle sue ceneri ma, mi domando: è proprio necessario un periodo di sciagure e lutti per dimostrare chi siamo realmente?
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