La profonda differenza fra il modo di esser stato giovane quarant’anni or sono e quello di oggi, la si può capire anche da cose e situazioni in apparenza secondarie che, invece, la dicono lunga su come siamo cambiati. Ad esempio, il modo di impiegare il tempo libero, di passare una serata sono mutati, in dipendenza di una serie di cause, nell’arco di quattro decenni; e se volessimo proporre ad un attuale adolescente o giovane di oggi l’esperienza che vi vado a raccontare, costui non vi troverebbe alcun interesse, al contrario di noi, adolescenti e giovani di allora, che accorrevamo numerosi perché anche quell’uomo (per noi) “faceva spettacolo”.
A tal proposito ricordo, e sicuramente i miei quattro lettori ricorderanno, un personaggio non pietramelarese, che periodicamente ritornava dalle nostre parti, generalmente nella tarda primavera. Doveva essere di Napoli o dell’hinterland partenopeo, poco più che cinquantenne, sbarcava il lunario organizzando e gestendo una sorta di rurale lotteria a premi: arrivava generalmente in Piazza Sant’Agostino e metteva su un baraccone pieno di oggetti e cose, biciclette, motorini, elettrodomestici piccoli e grandi, qualche autoradio, mangiadischi ed altro, esposti in bella vista ed illuminati. Restava in paese una o due settimane, e vestiva a suo modo con eleganza: immancabile cravatta sul gessato a doppio petto, tipico del guappo, capelli alla mascagna tenuti insieme da abbondate brillantina, voce tipica del fumatore incallito, ma con una parlantina capace di catturare l’attenzione di un gran numero di persone. Si serviva di un microfono, anche se comunque la gente si accalcava nei primi metri intorno al baraccone, e veniva coadiuvato nella vendita dei biglietti da un aiutante più giovane, che lui, con una certa ironia, chiamava “o’ ragiuniere” : era evidente che si trattava di una sorta di apprendista che voleva far propria quella sua particolare arte .
Il copione era sempre lo stesso: ogni giocatore con cento lire (duecento più di recente) comprava dal ragioniere un biglietto con nove numeri, e il vincitore risultava colui che trovava sul proprio il numero estratto da un cestino, tipo tombola. Chi aveva vinto quella manche allora doveva scegliere una busta da un mazzo, che rimaneva chiusa: essa conteneva l’indicazione del premio esposto nel baraccone. A questo punto si sviluppava il fine gioco di psicologia tra il banditore e il giocatore, fatto di offerte e, dall’altra parte, accentazioni o rifiuti; un po’ l’antesignano quindi del popolare gioco televisivo serale “Affari Tuoi”. Era evidente che il nostro personaggio disponeva di qualche sistema che gli permetteva di conoscere il contenuto della busta, e che pertanto, lui a differenza del giocatore andava sul sicuro; quindi se la busta conteneva un motorino o un premio importante faceva offerte in danaro, mentre altre volte bleffando induceva, invece, a far credere che nella busta vi era un premio importante, e offriva in cambio di essa somme notevoli per l’epoca: di fronte all’ostinazione della controparte nel voler aprire la busta, acconsentiva e ne usciva solo un bigliettino con su scritto “cinquanta lire”. Che tipo!
Lo spettacolo era proprio questo, assistere al fine duello fra uno sprovveduto ragazzotto di campagna, che non voleva apparire tale, e il furbo banditore che, invece, la sapeva lunga assai. Nella trattativa il linguaggio usato dai contendenti era generalmente il dialetto, ma il nostro aveva il vezzo di italianizzare il suo napoletano e ciò rendeva lo spettacolo ancora più godibile; in particolare rivolgendosi al vincitore del momento e, fatta un offerta, per sapere se l’accettava, usava dire “la vuola?”, ripeteva questa domanda un’infinità di volte, e tale espressione arrivò a caratterizzarlo a tal punto che noi tutti finimmo per identificare come “la vuola” il colorito personaggio. Date le rare novità del tempo e l’attrazione che determinava, quando si spargeva voce del suo arrivo in paese, qualcuno compiaciuto diffondeva la voce: “wuagliù… è turnatu a venì la vuola”.
Sono anni ormai che il baraccone non viene più montato e anche se oggi questo potesse succedere, dubito che intorno ad esso si formi la calca di quel tempo; i ragazzi di allora, vergini di PC, Play station e telefonini , erano in possesso di un prezioso dono, a loro stessi sconosciuto: l’incanto e la meraviglia anche nei confronti di fatti, personaggi e situazioni tutto sommato “di poco conto”.
Scribacchiando per me
sabato 29 ottobre 2016
lunedì 24 ottobre 2016
PRO LOCO: RICUCIRE I MILLE COCCI
La notizia è recente, ancora calda: con Decreto Dirigenziale n. 85 del 13/10/2016, pubblicato in data 17 ottobre 2016 sul n. 69 del Bollettino Ufficiale della Regione Campania, è stata decretata la “Cancellazione dall'Albo regionale delle Pro Loco della Pro Loco Pietramelara - CE 53”. Le motivazioni del provvedimento sono in sostanza due, di seguito elencate: l’ Associazione non ha prodotto, per gli anni 2015 e 2016, la documentazione prevista all'art. 5, comma 2 del Regolamento regionale n. 2/2015 (bilanci consuntivi e preventivi,relazione sull’attività svolta nell’anno precedente e in programmazione per l’anno in corso) ; con nota del 26/07/2016, l’amministrazione Regionale ha provveduto a dare comunicazione di avvio del procedimento per la cancellazione d'ufficio dall'Albo regionale e, a seguito della ricezione della comunicazione di avvio del procedimento in data 02/08/2016, come comprovato dalla ricevuta di ritorno agli atti, l’Associazione non ha provveduto ad integrare la documentazione richiesta . Omissioni ed errori, perseverati nonostante il chiaro sollecito.
Che dire?...già in tempi non sospetti questo blog ha sottolineato la crisi istituzionale, operativa e progettuale di tale importantissimo organismo (“UNA PRO LOCO IN CRISI” 30/07/2014, cfr. http://scribacchiandoperme.blogspot.it/2014/07/una-pro-loco-in-crisi.html), soprattutto per dare lo svegliarino a chi di dovere, per sollecitare un’attività più intensa e continuativa, purtroppo tutto è caduto nel vuoto e chi doveva ricevere il messaggio ha continuato imperterrito nella propria linea di condotta, e oggi ci troviamo con in mano i mille cocci di qualcosa che, partito negli anni 70, in forte anticipo sui paesi circostanti, ha colto in passato lusinghieri traguardi. Come non ricordare quegli eventi? …le sagre, il carnevale di allora, la voglia di partecipare, di dare una mano, il coinvolgimento di larghissimi strati della popolazione. Per una serie di motivi, che non ritengo il caso di ritornare ad elencare, siamo giunti a questo punto, che qualcuno potrebbe giudicare di non ritorno: non è così, o almeno non è del tutto così, la nostra Pro Loco è solo stata cancellata dall’Albo, ma non per questo ha cessato di esistere, in quanto soggetto giuridico ed istituzionale. Cosa fare, allora?
Non è pensabile che una Pro Loco possa operare al di fuori dell’Albo, infatti l’inserimento in esso consente l’accesso a strumenti finanziari ed altro, senza i quali l’operatività è fortemente compromessa. Correttezza imporrebbe, allora, le immediate dimissioni di presidente e consiglio di amministrazione, ma ritengo che sia meglio essere prudenti: ciò potrebbe creare un vuoto imbarazzante. Il mandato è alla scadenza e pertanto sarebbe maggiormente auspicabile un tesseramento aperto, pubblico, trasparente e (soprattutto) pubblicizzato con i mezzi più potenti: manifesti, sito web, facebook e stampa locale, ed elezioni immediate, a tesseramento completato. Allargando infatti la base sociale dell’associazione si immetterebbero nuove energie a disposizione di essa, si potrebbe cercare in qualche modo di ricucire i cocci, recuperando il tempo perduto, e producendo la documentazione richiesta e sollecitata dai competenti organi regionali, in vista di una eventuale riammissione nell’Albo. D’altronde lo stesso regolamento regionale annovera fra le finalità istituzionali delle pro loco quelle di mettere in campo “iniziative idonee a favorire, attraverso la partecipazione popolare, il raggiungimento degli obiettivi sociali del turismo”. Invece, se guardiamo al passato più prossimo è proprio questa partecipazione popolare ciò che è mancato. L’Associazione si è chiusa in un ghetto, che poi fatalmente è diventato il suo stesso patibolo. Se diamo un’occhiata al contesto, la prima considerazione che emerge è questa: il proliferare a Pietramelara di tanti organismi associativi giovanili, che a volte in forte rivalità fra loro prendono il posto della Pro Loco, trova anch’esso spiegazione nell’incolmabile vuoto che si è creato con tanti anni di mediocrità palese.E’ innegabile a questo punto la necessità di voltar pagina, di riformare il modo di pensare e di porsi, e tale cambiamento deve precedere quello delle persone. Le strade da percorrere ci sono, basta la buona volontà e l’apertura mentale.
Che dire?...già in tempi non sospetti questo blog ha sottolineato la crisi istituzionale, operativa e progettuale di tale importantissimo organismo (“UNA PRO LOCO IN CRISI” 30/07/2014, cfr. http://scribacchiandoperme.blogspot.it/2014/07/una-pro-loco-in-crisi.html), soprattutto per dare lo svegliarino a chi di dovere, per sollecitare un’attività più intensa e continuativa, purtroppo tutto è caduto nel vuoto e chi doveva ricevere il messaggio ha continuato imperterrito nella propria linea di condotta, e oggi ci troviamo con in mano i mille cocci di qualcosa che, partito negli anni 70, in forte anticipo sui paesi circostanti, ha colto in passato lusinghieri traguardi. Come non ricordare quegli eventi? …le sagre, il carnevale di allora, la voglia di partecipare, di dare una mano, il coinvolgimento di larghissimi strati della popolazione. Per una serie di motivi, che non ritengo il caso di ritornare ad elencare, siamo giunti a questo punto, che qualcuno potrebbe giudicare di non ritorno: non è così, o almeno non è del tutto così, la nostra Pro Loco è solo stata cancellata dall’Albo, ma non per questo ha cessato di esistere, in quanto soggetto giuridico ed istituzionale. Cosa fare, allora?
Non è pensabile che una Pro Loco possa operare al di fuori dell’Albo, infatti l’inserimento in esso consente l’accesso a strumenti finanziari ed altro, senza i quali l’operatività è fortemente compromessa. Correttezza imporrebbe, allora, le immediate dimissioni di presidente e consiglio di amministrazione, ma ritengo che sia meglio essere prudenti: ciò potrebbe creare un vuoto imbarazzante. Il mandato è alla scadenza e pertanto sarebbe maggiormente auspicabile un tesseramento aperto, pubblico, trasparente e (soprattutto) pubblicizzato con i mezzi più potenti: manifesti, sito web, facebook e stampa locale, ed elezioni immediate, a tesseramento completato. Allargando infatti la base sociale dell’associazione si immetterebbero nuove energie a disposizione di essa, si potrebbe cercare in qualche modo di ricucire i cocci, recuperando il tempo perduto, e producendo la documentazione richiesta e sollecitata dai competenti organi regionali, in vista di una eventuale riammissione nell’Albo. D’altronde lo stesso regolamento regionale annovera fra le finalità istituzionali delle pro loco quelle di mettere in campo “iniziative idonee a favorire, attraverso la partecipazione popolare, il raggiungimento degli obiettivi sociali del turismo”. Invece, se guardiamo al passato più prossimo è proprio questa partecipazione popolare ciò che è mancato. L’Associazione si è chiusa in un ghetto, che poi fatalmente è diventato il suo stesso patibolo. Se diamo un’occhiata al contesto, la prima considerazione che emerge è questa: il proliferare a Pietramelara di tanti organismi associativi giovanili, che a volte in forte rivalità fra loro prendono il posto della Pro Loco, trova anch’esso spiegazione nell’incolmabile vuoto che si è creato con tanti anni di mediocrità palese.E’ innegabile a questo punto la necessità di voltar pagina, di riformare il modo di pensare e di porsi, e tale cambiamento deve precedere quello delle persone. Le strade da percorrere ci sono, basta la buona volontà e l’apertura mentale.
lunedì 17 ottobre 2016
OTTOBRATA
Il cielo di una bella giornata di ottobre è blu, più che azzurro; il verde della montagna non è ancora del tutto spento ma volge al rosso delle foglie, ormai rinsecchite e sul punto di cadere dai rami; laddove il pendio si smorza ed inizia la campagna, i colori variano dal bruno della terra appena lavorata, pronta per le semine, fino al verde intenso dei medicai ravvivato dalle recenti piogge unite al tempo mite. Le vigne, appena vendemmiate, offrono al passante uno spettacolo malinconico, ma non propriamente triste, nel senso stretto della parola, essendo state private dai grappoli maturi. La luce del sole intensa, quasi abbacinante, si riflette nelle pozzanghere e colpisce gli occhi con violenza, ed insieme al risciacquio dell’acqua in un fosso, sta lì a ricordarti che la pioggia è passata appena da qualche ora e che potrebbe ripresentarsi quanto prima, senza tanti preavvisi; nell’osservare tale immagine consideri quanto sia aderente alla vita tale metafora: la gioia della bellezza, vissuta con serenità ma, con la consapevolezza, tuttavia, di un problema imminente.Sembra che l’estate“di San Martino” sia giunta con quasi un mese di anticipo sulla regolare “tabella di marcia”.
È grande l’armonia di questi momenti: nelle strade ed i vicoli del paese è ancora possibile imbattersi nel sentore di vinaccia e dei mosti in fermentazione, portato dal vento d’autunno: questo da noi avviene in misura minore rispetto al passato, ma comunque avviene! La suggestione allora induce di sera a mettere al fuoco le caldarroste (le vrole), da sposare con uno di quei mosti di cui si diceva prima, secondo la tradizione del posto; la temperatura magari è ancora sensibilmente alta, e si sa che per gradire meglio le vrole, ci vorrebbe qualche grado in meno, magari al tepore di un focolare che riscaldi l’anima, prima che il corpo.
Nei borghi e nei paesi tutt’intorno è in atto una rinascita: eventi, sagre, feste che vedono riunire la gente di ogni origine, ceto e provenienza intorno a tradizioni antiche, a sapori dimenticati, a cibi poveri ma buonissimi. Al di la dell’inevitabile retorica è questa la vera bellezza di ottobre e dell’autunno in generale.
È grande l’armonia di questi momenti: nelle strade ed i vicoli del paese è ancora possibile imbattersi nel sentore di vinaccia e dei mosti in fermentazione, portato dal vento d’autunno: questo da noi avviene in misura minore rispetto al passato, ma comunque avviene! La suggestione allora induce di sera a mettere al fuoco le caldarroste (le vrole), da sposare con uno di quei mosti di cui si diceva prima, secondo la tradizione del posto; la temperatura magari è ancora sensibilmente alta, e si sa che per gradire meglio le vrole, ci vorrebbe qualche grado in meno, magari al tepore di un focolare che riscaldi l’anima, prima che il corpo.
Nei borghi e nei paesi tutt’intorno è in atto una rinascita: eventi, sagre, feste che vedono riunire la gente di ogni origine, ceto e provenienza intorno a tradizioni antiche, a sapori dimenticati, a cibi poveri ma buonissimi. Al di la dell’inevitabile retorica è questa la vera bellezza di ottobre e dell’autunno in generale.
domenica 9 ottobre 2016
VINCENZO E FRANCO
Voglio adesso illustrarvi il caso di una realtà vicina alla nostra che soffriva di un male quasi identico a quello di Pietramelara, l’abbandono e il degrado del centro storico, ma che, a giudicare da quanto si vede, ce l’ha fatta!
Parlo di Caiazzo: sino a due o tre anni fa il centro storico di questo paese (un po’ più grande del nostro), era solitario ed abbandonato, le facciate dei suoi palazzi storici narravano di un passato florido legato ad un’agricoltura fiorente e a commerci sviluppati, tuttavia l’immagine che davano di se era comunque triste; per strade e vicoli pochi passanti costretti, più che altro, a rimanere in quei luoghi. E dire che sono veramente pochi i chilometri da Caserta!
Da qualche tempo tuttavia la situazione si è invertita ed il centro storico è divenuto il nucleo di una frequentazione intensa, specie nelle sere dei fine settimana. Ci sono stato ieri sera con amici, il tempo non era neanche troppo buono e piovigginava ad intermittenza, ma già la difficoltosa ricerca di un parcheggio libero la diceva lunga; per strade e vicoli donne, uomini, giovani e bambini avevano ravvivato ciò che, sino a qualche tempo fa, mostrava l’inizio di uno stato di progressivo abbandono.
Era evidente che qualcosa di positivo era successo! Di che si tratta? A mio parere, soprattutto dell’intraprendenza di un ristoratore locale che ha fatto della sua pizza non solo un prodotto dell’enogastronomia apprezzato da tutti, ma anche e soprattutto un fenomeno mediatico presente con lusinghiere recensioni sia sulla carta stampata che sul web. Le pizze di Franco Pepe sono ormai note al vasto pubblico che apprezza l’enogastronomia, ma hanno per fama anche sfidato e superato quelle sfornate nei vari "templi" dei vicoli di Napoli (Sorbillo, Di Matteo, Il presidente, ecc.). Incuriositi e/o interessati, sono centinaia i buongustai che vogliono gustarle, ma non è raro neppure incontrarvi attori, calciatori famosi e personaggi vari dello “jet set”. Tale insperata rianimazione ha ingenerato un processo positivo che si è tradotto in negozi aperti fino a tarda ora, insieme al sorgere di iniziative analoghe, basate sull’enogastronomia di qualità che si sono sviluppate negli immediati paraggi. Il mio amico e collega Vincenzo Coppola, ad esempio, proprio li vicino ha realizzato “Terrae Motus”, coronando un sogno fatto di futuro coniugato con la tradizione millenaria di quelle terre: un ketchup che ha per base un pomodoro locale, da poco recuperato, bruschette che sanno di ceci caiazzani, provole e carni provenienti dagli allevamenti caiatini. Il panino, poi, tanto apprezzato dai giovani, emblema altrove di una ristorazione globale e massificata, da Terrae Motus è stato rivisto e corretto con una filosofia molto “slow”, che ne ha stravolto la natura ed anche il significato, in una armonia di sapori e profumi che sanno soprattutto di territorio. Va detto che i protagonisti di questa storia, Vincenzo e Franco (nella foto di copertina) sono amici nella vita, ed hanno da tempo intrapreso un percorso comune, volto alla qualità, da ricercare soprattutto nella tipicità delle materie prime.
Sono questi gli esempi da imitare, i percorsi da seguire, se si vuole realmente che anche la nostra Pietramelara, con il suo borgo millenario si salvi dall’abbandono e dal degrado. Tradizione e futuro in uno, paradigma di una ripresa e di un recupero che non possono più attendere, componenti di una mentalità imprenditoriale da troppo tempo assente dalle nostre parti, devono indurre la creazione di elementi e prospere realtà che facciano da traino al risorgere della nostra, come di tante altre realtà locali.
Parlo di Caiazzo: sino a due o tre anni fa il centro storico di questo paese (un po’ più grande del nostro), era solitario ed abbandonato, le facciate dei suoi palazzi storici narravano di un passato florido legato ad un’agricoltura fiorente e a commerci sviluppati, tuttavia l’immagine che davano di se era comunque triste; per strade e vicoli pochi passanti costretti, più che altro, a rimanere in quei luoghi. E dire che sono veramente pochi i chilometri da Caserta!
Da qualche tempo tuttavia la situazione si è invertita ed il centro storico è divenuto il nucleo di una frequentazione intensa, specie nelle sere dei fine settimana. Ci sono stato ieri sera con amici, il tempo non era neanche troppo buono e piovigginava ad intermittenza, ma già la difficoltosa ricerca di un parcheggio libero la diceva lunga; per strade e vicoli donne, uomini, giovani e bambini avevano ravvivato ciò che, sino a qualche tempo fa, mostrava l’inizio di uno stato di progressivo abbandono.
Era evidente che qualcosa di positivo era successo! Di che si tratta? A mio parere, soprattutto dell’intraprendenza di un ristoratore locale che ha fatto della sua pizza non solo un prodotto dell’enogastronomia apprezzato da tutti, ma anche e soprattutto un fenomeno mediatico presente con lusinghiere recensioni sia sulla carta stampata che sul web. Le pizze di Franco Pepe sono ormai note al vasto pubblico che apprezza l’enogastronomia, ma hanno per fama anche sfidato e superato quelle sfornate nei vari "templi" dei vicoli di Napoli (Sorbillo, Di Matteo, Il presidente, ecc.). Incuriositi e/o interessati, sono centinaia i buongustai che vogliono gustarle, ma non è raro neppure incontrarvi attori, calciatori famosi e personaggi vari dello “jet set”. Tale insperata rianimazione ha ingenerato un processo positivo che si è tradotto in negozi aperti fino a tarda ora, insieme al sorgere di iniziative analoghe, basate sull’enogastronomia di qualità che si sono sviluppate negli immediati paraggi. Il mio amico e collega Vincenzo Coppola, ad esempio, proprio li vicino ha realizzato “Terrae Motus”, coronando un sogno fatto di futuro coniugato con la tradizione millenaria di quelle terre: un ketchup che ha per base un pomodoro locale, da poco recuperato, bruschette che sanno di ceci caiazzani, provole e carni provenienti dagli allevamenti caiatini. Il panino, poi, tanto apprezzato dai giovani, emblema altrove di una ristorazione globale e massificata, da Terrae Motus è stato rivisto e corretto con una filosofia molto “slow”, che ne ha stravolto la natura ed anche il significato, in una armonia di sapori e profumi che sanno soprattutto di territorio. Va detto che i protagonisti di questa storia, Vincenzo e Franco (nella foto di copertina) sono amici nella vita, ed hanno da tempo intrapreso un percorso comune, volto alla qualità, da ricercare soprattutto nella tipicità delle materie prime.
Sono questi gli esempi da imitare, i percorsi da seguire, se si vuole realmente che anche la nostra Pietramelara, con il suo borgo millenario si salvi dall’abbandono e dal degrado. Tradizione e futuro in uno, paradigma di una ripresa e di un recupero che non possono più attendere, componenti di una mentalità imprenditoriale da troppo tempo assente dalle nostre parti, devono indurre la creazione di elementi e prospere realtà che facciano da traino al risorgere della nostra, come di tante altre realtà locali.
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