Certo che è rimasto chi continua a farle! … e, come in tutte le tradizioni, in esse vanno ricercate motivazioni sociali ed economiche.
Fare la provvista di sugo di pomodoro, o per dirla alla pietramelarese, “fà ‘e buttiglie”, è una pratica sicuramente plurisecolare, dovuta alla necessità di poter contare su una consistente e continuativa disponibilità (per un anno intero in famiglia) della base per il condimento principale del nostro alimento base: la pasta.
Il pomodoro è un frutto che trae origine dalla zona dell'America centrale, compresa oggi tra i paesi del Messico e Perù. Gli Aztechi lo chiamarono "xitomatl". Alcuni affermarono che il pomodoro aveva proprietà afrodisiache, sarebbe questo il motivo per cui i francesi anticamente lo definivano "pomme d'amour", pomo d'amore. Questa radice è presente anche in Italia: in certi paesi dell'interno della Sicilia, è indicato anche con il nome di pùma-d'amùri (pomo dell'amore).
La data del suo arrivo in Europa è il 1540 quando lo spagnolo Hernán Cortés rientrò in patria e ne portò gli esemplari; ma la sua coltivazione e diffusione attese fino alla seconda metà del XVII secolo. Arrivò in Italia nel 1596 ma solo più tardi, trovando condizioni climatiche favorevoli nel sud del paese, si ha il viraggio del suo colore dall'originario e caratteristico colore oro, che diede appunto il nome alla pianta, all'attuale rosso, grazie a selezioni e innesti successivi.
Certo che oggi, rispetto a qualche decennio fa, il numero di famiglie in cui ancora la tradizione di “fà ‘e buttiglie” viene perpetuata è in drastico calo: la disponibilità di pomodoro fresco durante l’intero anno e l’accettabile rapporto prezzo/qualità dei sughi presenti sugli scaffali dei supermercati, hanno in qualche modo indotto il progressivo abbandono di tale tradizione.
Bisogna inoltre considerare che chi continua a “fà ‘e buttiglie” con l’obiettivo di consumare un alimento autoprodotto e pertanto sano, non deve ignorare che i pomodori del commercio provengono da aziende che non disdegnano pratiche agronomiche quali l’ormonizzazione per favorire la raccolta contemporanea di tutti i frutti presenti sulla pianta. Prima non era così: quando i pomodori venivano coltivati in famiglia essi venivano raccolti man mano che maturavano, in piccoli quantitativi, con il vantaggio di un frutto raccolto al punto in cui era ricchissimo in zuccheri e in altri preziosi apporti (vitamine, sali minerali e antiossidanti). Quelli di oggi sono solo rossi … ma non per questo maturi!
La “tecnologia” impiegata prevede varianti nel metodo di cottura: si va dal più diffuso “bagno maria”, alle bottiglie infornate, pratica ormai del tutto desueta, alla bottiglie “sott’ a cuperta”, metodo efficace ma alquanto pericoloso; le scuole di pensiero diverse rispetto a tale aspetto hanno dato luogo a interminabili dispute fra massaie.
La tradizione di fare le bottiglie, tuttavia racchiude un portato che sa di vicinato, di rapporti familiari e quando ci si riunisce per dare una mano essa viene ricambiata, a stretto giro, dopo qualche giorno; qualcuno che vive fuori cerca ancora di abbinare il rientro estivo per le ferie in paese, alla possibilità di recare con se le bottiglie appena fatte, perché quel sapore anche in luoghi lontani ricorda l’infanzia ed evoca affetti e rapporti troncati dalla necessità quotidiana.
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